martedì 21 aprile 2015

Repubblica 21.4.15
Esiste un’altra Russia
Per realizzare il Paese del futuro bisogna creare un nuovo rapporto con i vicini che parlano la stessa lingua e condividono la storia
di Timothy Garton Ash


LA RUSSIA ha perso un impero senza aver ancora trovato il suo ruolo. Solo i russi possono decidere quale dovrà essere e servirà tempo. La nuova Russia non si materializzerà certo il 9 maggio, quando il Cremlino di Vladimir Putin celebrerà il settantesimo anniversario della fine della Grande Guerra Patriottica. Può darsi che non emerga fino al 9 maggio 2025 o addirittura 2045, ma non bisogna mai perdere la speranza in questa Russia diversa e continuare ad avere fiducia nei russi impegnati a realizzarla.
L’espressione “ha perso un impero senza aver ancora trovato il suo ruolo” è stata coniata in riferimento alla Gran Bretagna da un ex segretario di Stato americano. I britannici sanno quanto sia sgradevole perdere un impero e difficile ritagliarsi un nuovo ruolo. C’è chi dirà che la Gran Bretagna non l’ha ancora trovato e, detto per inciso, il destino dell’impero originale, centrale, che ha forgiato le quattro nazioni di queste isole, Inghilterra, Galles, Scozia e Irlanda nella forma di un Regno teoricamente Unito è tuttora irrisolto. Sarà un tema centrale delle prossime elezioni politiche. Però queste iso- le tanto complesse all’interno almeno erano circondate dall’acqua, così che la gran parte dell’impero britannico si trovava “oltremare”. L’impero russo invece è stato un impero di terra, estesosi nei secoli terreno dopo terreno. Nel saggio Russia: People and Empire lo storico Geoffrey Hosking sostiene che storicamente la Russia ha il problema di non riuscire a distinguere tra nazione e impero. In effetti, dice, «la costruzione dell’impero impedì la formazione della nazione». Inoltre mentre la dissoluzione dell’impero britannico avvenne lentamente, l’impero russo-sovietico fu smantellato in poco più di due anni, tra il 1989 e il 1991 — una delle sparizioni più spettacolari della storia.
Sarebbe strano se un evento del genere non avesse suscitato confusione e irritazione in Russia. Sotto il governo attuale questa reazione ha assunto una forma pericolosa. Sbagliano quelli che ormai in Europa sono definiti i Putinversteher (che si vantano cioè di capire Putin). Confondendo Putin con la Russia, fanno il classico errore del “capire vuol dire giustificare”. Gli uomini d’affari tedeschi sembrano inclini a confondere i termini della questione. Vladimir Voinovich, autore di due dei più validi romanzi satirici della letteratura europea del ventesimo secolo, è il protagonista di un aneddoto divertente. Negli anni Ottanta, in esilio, un banchiere tedesco lo invitò nella sua villa, lo mandò a prendere con una Mercedes, gli offrì una cena sontuosa e gli spiegò perché il trauma vissuto dalla Russia andava compreso. Nel corso della storia la povera Russia era stata invasa da mongoli, polacchi, francesi e, cosa peggiore di tutte, dai tedeschi. Bisognava verstehen. Alla fine Voinovich, non potendone più, disse «e perché allora è così grande?». Oggi Voinovich è ancora una voce ironica, ma anche coraggiosa dell’altra Russia. Ha criticato l’annessione della Crimea e la guerra in Ucraina orientale. Ha affermato che c’è bisogno di un «cambio di mentalità». La colpa non è solo di Putin, «anche la società è responsabile perché gli consente di fare ciò che vuole».
Voinovich esprime una verità complessa. Esiste un’altra Russia. È rappresentata dal defunto Boris Nemtsov e dalla gente che depone fiori sul ponte su cui è stato assassinato. Se il suo omicidio e l’atmosfera di intimidazione hanno creato timore in molti, hanno raddoppiato l’ardire di pochi coraggiosi ribelli. Il blogger Alexei Navalny ha imputato al regime di Putin la responsabilità della morte di Nemtsov. L’omicidio ha agito da collante, galvanizzando un’opposizione frammentata, e ha dato vita a una nuova alleanza elettorale tra i partiti fondati da Nemtsov e Navalny. L’altra Russia è rappresentata anche da attivisti che hanno organizzato una “marcia per la pace e la libertà”; dal gruppo teatrale Teatr Doc; dalla grande Lena Nemirovskaya, che dirige la Moscow School of Political Studies, sotto attacco; da Pavel Durov, fondatore di Vkontakte il primo dei social network russi, oggi espatriato; da Mikhail Khodorkovsky, l’oligarca poi prigioniero politico che oggi, dall’esilio, lotta per una Russia migliore; e tanti altri, ciascuno a suo modo. Quando Thomas Mann arrivò in America esule dalla Germania nazista disse «la Germania è là dove io sono». Questi russi hanno il diritto di dire “la Russia è là dove io sono”.
Ma quando Khodorkovsky, a Londra, dice «Putin non è la Russia, la Russia siamo noi», fa un’affermazione di principio che non corrisponde esattamente alla realtà. Putin gode di un consenso popolare e in questo senso Putin è anche la Russia. I tedeschi sanno meglio di chiunque altro come le nazioni si sbronzano e poi si svegliano con un mal di testa feroce. Per realizzare la Russia del futuro, tracciare un nuovo confine tra nazione e impero, bisogna creare un nuovo rapporto con i vicini che parlano la stessa lingua e condividono il medesimo retaggio storico e culturale. Putin ha fatto un uso improprio del termine russkiy mir (mondo russo), trasformandolo in uno slogan politico: “se parli russo appartieni alla Russia”. Ma non deve necessariamente essere così e i Paesi confinanti non sono d’accordo. Tre settimane fa ero a Minsk come membro di un gruppo di studio e il ministro degli esteri bielorusso si è detto speranzoso di trasformare la Bielorussia in una sorta di Svizzera. C’è ancora un po’ da fare, direi… ma il concetto è chiaro. In Svizzera molti parlano tedesco ma non per questo il Paese deve far parte della Germania. Lo stesso vale per tutte le realtà di lingua spagnola, francese, portoghese e inglese. I legami culturali, economici e politici sono stretti, ma non si accetta di far parte di uno Stato o di un impero comune. I miei cugini sono in maggioranza canadesi, non britannici. La relazione tra Gran Bretagna e Canada è speciale quanto quella tra Russia e Ucraina. Nel mio caso, e lo stesso vale per molti russi e ucraini, è in famiglia. Però (si rassicurino i miei cugini canadesi) a Londra non si ipotizza l’annessione di Toronto né la restaurazione del Nord America britannico. I nostri Paesi stanno meglio assieme da divisi. Lo stesso varrà per la Russia e i suoi cugini. Se i mondi di lingua spagnola, francese, portoghese e inglese sono stati in grado di compiere la transizione dal complesso passato imperiale alle affinità elettive odierne può riuscirci anche il mondo di lingua russa. E un giorno lo farà.
(Traduzione di Emilia Benghi)