Repubblica 2.4.15
Un passo avanti, ma serve di più
di Guido Crainz
Leggi monche devono esser integrate con scelte nettissime e costanti sul terreno della moralità e delle regole
L’Italia vive da anni una situazione totalmente anomala
Sommersa da scandali che crescono in modo costante di intensità
C’È
POCO da aggiungere a quello che ha dichiarato nei giorni scorsi
Raffaele Cantone, le norme approvate al Senato sono utili ma solo una
parte di quel che sarebbe necessario. Non c’è da attendersi miracoli
insomma da norme varate dopo un iter tormentatissimo.
UNiter di
oltre due anni e con il governo spesso in grave rischio. Norme,
comunque: torna — per un soffio — il falso in bilancio cancellato negli
anni berlusconiani ma sono state escluse le intercettazioni per le
società non quotate in Borsa. E aumentano le pene per i reati di mafia e
per la corruzione nella pubblica amministrazione, e al tempo stesso i
poteri dell’Authority. Forse era difficile aspettarsi di più e in questo
Parlamento poteva davvero andare peggio, con il Nuovo centrodestra di
Alfano (Angelino, lo stesso del lodo) obbligatoriamente all’interno del
governo e un Movimento cinquestelle perso nelle sue onnipotenti
impotenze.
È evidente la sproporzione fra quel che è rimasto del
testo originario e il salto di qualità, lo scatto morale e legislativo
che sarebbe necessario. Sulle misure legislative possibili pesano ancora
una volta i risultati delle elezioni del 2013, un caso probabilmente
unico: con il partito di maggioranza che perde più di sei milioni di
voti e il partito di opposizione che non ne guadagna neppure uno ma ne
perde a sua volta oltre tre milioni (conseguenza quasi inevitabile di
una campagna elettorale totalmente incapace di rivolgersi agli
italiani).
Per il Partito democratico, costretto ad innaturali
alleanze (anche — di nuovo — per il nullismo grillino), erano le
condizioni peggiori per ripartire e non è possibile dimenticarlo.
Anche
per questo, leggi inevitabilmente monche devono esser accompagnate e
integrate dal centrosinistra con scelte nettissime e costanti sul
terreno della moralità e delle regole della politica. Scelte
generalissime ma innervate da decisioni quotidiane, da gesti limpidi e
da comportamenti coerenti, in un Paese travolto periodicamente da ondate
di spaventosa corruzione. È difficilissimo oggi anche solo indicare gli
ambiti risparmiati sin qui dai miasmi. O ricordare quanto spesso
riemergano quelli già noti, a partire dalle Regioni o dal mondo delle
cooperative.
In questo scenario anche le scelte meno rilevanti
sono significative, e se ne consideri una non proprio marginale: è una
vera indecenza la candidatura in Campania del condannato De Luca, che in
base alla legge Severino non potrebbe neppure esercitare il suo
mandato. In Campania, luogo non irrilevante nella guerra alle
corruttele: e la vicenda suona al tempo stesso come irrisione
all’abituale “decisionismo” di Renzi, che in questo caso è apparso
afasico e in balia degli eventi. È difficile chiedere disciplina di
partito quando si tollera un vulnus così grave, e si consideri anche il
coinvolgimento di alcuni sottosegretari in differenti indagini.
Certo,
nella normalità della democrazia l’avviso di garanzia non è una
condanna (eppure un avviso di garanzia segnò la fine del regno craxiano)
ma l’Italia vive da anni una situazione totalmente anomala. È sommersa
quotidianamente da scandali che crescono costantemente di intensità. Una
anormalità normale, e non ha avuto sufficiente rilievo una notizia di
cronaca che sembra segnare negativamente un cambio d’epoca (e speriamo
davvero che non sia così): un giudice ha appena assolto i consiglieri
regionali della Valle d’Aosta perché... non sapevano di commettere reato
usando denaro pubblico per ragioni privatissime (feste, viaggi di
familiari, divise da calciatore, cene, modesti gioielli e così via).
Andrebbe riletto ogni giorno un lucidissimo articolo di qualche anno fa
di Roberto Saviano che indicava proprio nella “corruzione inconsapevole”
il salto di qualità che si era compiuto: corruzione inconsapevole,
praticare la anormalità come se fosse normale. Smarrire l’idea stessa di
confine. Non è una bella notizia che un tribunale della Repubblica la
assolva.
Lo storico di domani farà qualche fatica a comprendere le
differenti fasi della perversa escalation che abbiamo vissuto:
dall’apparente ritorno alla normalità dopo Mani pulite sino al
riemergere e all’esplodere di fenomeni che hanno offuscato quelli
precedenti. Fenomeni che evocano una colossale e diffusa metastasi
nazionale, quasi senza rimedio agli occhi di molti cittadini. Questa era
la prima realtà che Renzi doveva “rottamare” e anche su questa base
aveva costruito il suo consenso, ma da tempo quella battaglia sembra
sbiadita e appannata. Inadeguata. Non assente, certo, e corroborata da
scelte importanti come quella dell’Authority anti-corruzione. Non
sostenuta però da un tessuto quotidiano di decisioni, dalla riconquista
continua dei cittadini alla fiducia nella democrazia: eppure essa è un
obbligo assoluto in un Paese che ha visto crollare la partecipazione al
voto e quasi trionfare guitti di quart’ordine. Il crescere
dell’astensione e il poco declinante credito di Beppe Grillo dovrebbero
essere per Renzi un drammatico segnale di sconfitta. Dovrebbero imporre
una decisa volontà di rivincita su questo terreno, ma troppo spesso essa
sembra latitare: eppure proprio su questo, non sulle preferenze, si
gioca il futuro della democrazia italiana.
Difficile nascondersi
poi un altro aspetto: non è più rinviabile il risanamento radicale e
drastico di un partito che troppo spesso, da Roma a Ischia, a quel
futuro sembra attentare più che contribuire. Forse l’indagine svolta
nella capitale per il Pd da Fabrizio Barca andrebbe conosciuta meglio ed
estesa ad altre realtà: solo per iniziare.