domenica 19 aprile 2015

Repubblica 19.4.15
Lo spettro crisi nei voti segreti
Speranza: Matteo rischia grosso
di Goffredo De Marchis

ROMA Quando Renzi incontrerà Roberto Speranza, domani o dopodomani, dovrà scoprire le carte sulla legge elettorale. La minoranza, ormai guidata dal capogruppo dimissionario, è ferma sulle sue posizioni. La proposta è sempre la stessa: facciamo due piccole modifiche all’Italicum e il Pd garantisce una blindatura al Senato in modo da approvarlo a luglio. Speranza continua a ripetere ai suoi amici: «Il documento dei 21 senatori in mio sostegno dovrebbe essere una garanzia per Matteo. Significa che il nuovo testo non avrà problemi a Palazzo Madama. Secondo me stavolta il premier sta facendo la scelta sbagliata ».
Questa scelta consiste nel legare il secco no a modifiche sulla legge elettorale all’apertura, ancora da definire, sul Senato. «Il governo può prendere un’aspirina facendo minime correzioni all’Italicum e sceglie invece la strada del Senato elettivo che è come un intervento a cuore aperto — è il ragionamento di Speranza con i parlamentari di Area riformista — . Non so se funzionerà ». Invece è proprio questa l’offerta del segretario ai dissidenti. La sua base di trattativa.
Il premier pensa di poter alimentare ulteriormente le divisioni interne alla minoranza, garantendosi un avvicinamento più tranquillo al momento del voto e rispondendo all’obiezione di un assetto costituzionale senza contrappesi efficaci. Per questo vuole dialogare con Speranza, con Cuperlo e con Bersani. Ma non è detto che l’ex segretario accetterà un incontro. Durante il pranzo con Vasco Errani e nel successivo incontro con Renzi fuori dal ristorante, mercoledì scorso, Bersani ha spiegato al premier che in caso di dimissioni da capogruppo, Speranza sarebbe diventato l’interlocutore per la minoranza. Ovvero, l’interlocutore unico. «Non mi faccio intrappolare nello schema di Renzi. Lui che tratta con la vecchia guardia. C’è Speranza che parla per tutti. È pure più giovane di lui», avverte l’ex segretario.
Renzi insomma si prepara a dialogare con tutti, a cominciare dal Pd. Cuperlo ha 20 deputati, Pippo Civati 4, Rosy Bindi altri 4, Area riformista 80. Questa componente, la più numerosa, vive un conflitto interno. Molti non sono disposti a seguire la linea oltranzista fino in MARCIA M5S PER IL REDDITO MINIMO “780 euro per chi non ha lavoro, partecipare è un fatto di civiltà”. Beppe Grillo annuncia la data della marcia per il reddito di cittadinanza: si svolgerà il 9 maggio da Perugia ad Assisi fondo. Però le dimissioni di Speranza sono un segnale anche per la corrente. Il momento di rendersi autonomi e di pesarsi in vista del congresso prossimo venturo (comunque molto lontano) è arrivato. Il premier perciò monitora le convulsioni dell’opposizione dem, senza rinunciare alla sua diffidenza. Palazzo Chigi fa sapere infatti che la fiducia sarà quasi obbligata. Lo confermano le parole del ministro Boschi. I rischi sono alti, ma il gioco vale la candela.
La questione di fiducia verrà posta una volta sola, ma per garantire il risultato i deputati dovranno passare nelle cabine allestite in aula almeno tre volte, dicono i tecnici. Le opposizioni si sono organizzate per non offrire una sponda a Renzi.
Gli emendamenti saranno 40-50 non di più. Nessuno farà ostruzionismo evitando di giustificare la mossa renziana. A quel punto il voto di fiducia scatenerà una bagarre in aula. I grillini sono già attrezzati. E aumenterebbe il disagio di molti dem. Disagio che potrebbe scaricarsi sul voto finale al provvedimento, su cui la fiducia non si può porre e che sarebbe segreto.
L’alternativa è affrontare le forche caudine di alcune votazioni segrete. In caso di successo, Renzi ne uscirebbe più forte di prima. Ma i numeri sono ballerini. Il problema non sono soltanto i dissidenti Pd. Alla Camera, Scelta civica, precipitata nei consensi elettorali, conta su 25 deputati. Il segretario Enrico Zanetti presenterà degli emendamenti e dice no alla fiducia. I ribelli dem raccontano che i renziani stanno avvicinando alcuni onorevoli di Sc. Soprattutto quelli che potrebbero essere interessati, in futuro, a un contenitore politico più grande: Alberto Bombassei, Stefano Dambruoso, Valentina Vezzali, Andrea Mazziotti di Celso. Ma uscite dell’ultimo minuto vengono escluse da tutti: Scelta civica rimarrà unita.
Sono malignità, probabilmente, ma raccontano di un clima di tensione. Che nelle prossime ore potrebbe avere un nuovo attore. Enrico Letta infatti torna a farsi sentire nel dibattito pubblico attraverso il suo libro “Andare insieme andare lontano”. Stasera sarà ospite da Fabio Fazio a Che tempo che fa su Raitre. Ma in questi giorni caldissimi per la legge elettorale, i suoi interventi televisivi si moltiplicheranno così come le presentazioni ufficiali. E non potrà parlare solo del libro. Dice una deputata amica dell’ex premier: «Enrico si sta preparando al Big Bang della politica italiana».

La Stampa 19.4.15
L’Italicum è il male minore
di Giovanni Orsina

Alla fine di questo mese la Camera dei deputati comincerà l’esame della legge elettorale che il Senato ha già votato, e sulla quale il Partito democratico si è profondamente diviso nei giorni scorsi. In questo articolo cercherò di spiegare per quali ragioni, a mio avviso, l’approvazione di quella legge sia per il nostro Paese il male minore.
Alla proposta di riforma è stato dato il soprannome di «Italicum». È un nomignolo sbagliato: se proprio vogliamo continuare a usare il «latinorum» per battezzare i sistemi elettorali (un’idea di Giovanni Sartori, e non certo fra le sue migliori), questo in realtà dovremmo chiamarlo «Prorenzum».
Un importante premio di maggioranza alla lista, che soltanto il Pd potrebbe sperare di cogliere al primo turno; un eventuale ballottaggio al quale, con Renzi, a tutt’oggi arriverebbe un grillino; la possibilità di designare dall’alto una quota importante di parlamentari; una soglia di sbarramento modesta, tale che l’opposizione ne uscirebbe con ogni probabilità frammentata e impotente.
Questa legge è un abito tagliato su misura per il presidente del Consiglio.
E non basta. L’approvazione della riforma, perfino a prescindere da suoi contenuti, renderebbe Renzi politicamente ancora più forte. Là dove al contrario, e soprattutto, la sua bocciatura lo indebolirebbe non poco. Poiché questa è la posta in gioco, si capisce allora perché nel Partito democratico e fuori di esso sia venuta montando l’opposizione: se il divario di potere fra il presidente del Consiglio e gli altri soggetti politici, che è già amplissimo, continua a crescere, poi a quello chi lo prende più? Conviene cercare di fermarlo, o almeno di mettergli delle condizioni, adesso.
Ma se così stanno le cose – si dirà – non bisognerebbe allora giungere alla conclusione che questa riforma dev’essere respinta come il peggiore dei mali? E perché all’inizio di questo articolo s’è detto invece che la sua approvazione sarebbe il male minore? La risposta breve a queste domande è che le alternative appaiono ancora peggiori. Una risposta più articolata richiede che quelle alternative siano considerate con un po’ di attenzione.
La prima possibilità è che, con un gioco di navetta fra Camera e Senato, la legge sia infine approvata in una forma diversa dall’attuale. La seconda è che si vada al voto col sistema proporzionale che la Corte costituzionale ha creato nel momento in cui ha dichiarato illegittima la legge Calderoli. Ora, nulla vieta di sperare che, se dovesse verificarsi il primo caso, sia approvata una riforma migliore dell’attuale. E che, se dovesse invece verificarsi il secondo, si apra infine una legislatura costituente: eletta con la proporzionale, come le legislature costituenti dovrebbero, e dotata d’una legittimità senz’altro maggiore di quella del parlamento attuale, che è nato da un’elezione incostituzionale.
Nulla vieta di sperarlo, però quasi tutto spinge con forza a dubitarne. Basta dare un’occhiata alle scene a dir poco surreali cui stanno dando vita le elezioni regionali, e non certo soltanto a destra: scissioni, sconfessioni e ricomposizioni; alleanze a geometria variabile; candidati d’uno stesso partito o schieramento l’un contro l’altro armati; governatori uscenti che si ripresentano col sostegno dello schieramento opposto a quello col quale hanno governato finora; elezioni primarie contestate e delegittimate; impatto destabilizzante delle questioni giudiziarie. Questo non è certo il quadro di un sistema partitico che sia in grado di decidere alcunché. Al contrario, è il quadro d’un sistema partitico in avanzatissimo, e chissà se reversibile, stato di decomposizione. E che infatti – per chi se ne sia dimenticato – gira da anni a vuoto intorno alla riforma elettorale e a quella costituzionale.
L’approvazione del «Prorenzum» genera il timore, nient’affatto infondato, che il presidente del Consiglio diventi troppo potente. Il suo fallimento lascia sperare che possano essere trovate soluzioni più equilibrate. A mio avviso, però, oggi in Italia il pericolo della paralisi decisionale è assai più prossimo e grave di quello dell’eccesso di autorità; e, date le condizioni di drammatica balcanizzazione politica, soluzioni alternative avrebbero scarsissime probabilità di materializzarsi. Da qui la convinzione che questa riforma elettorale rappresenti per l’Italia il male minore. Alla quale si aggiunge la speranza che, col tempo, un assetto istituzionale un po’ più solido promuova la nascita, in forme che oggi è difficile prevedere, di un’opposizione degna di questo nome.