Repubblica 18.4.15
Gianni Cuperlo “Sì ad un confronto sulla composizione del Senato
Ci dividerebbe? Non avrebbe senso immolarsi sull’altare delle preferenze, a me interessa la Costituzione
“Vedere per credere Renzi parli alle Camere se cambia la riforma diciamo sì all’Italicum”
Non voglio pensare che la legge elettorale serva così com’è per accelerare nuove elezioni. Quello sì è un tuffo nel passato
intervista di Giovanna Casadio
ROMA «Trattiamo». Gianni Cuperlo, leader della Sinistra dem, vede uno spiraglio nel scontro sulle riforme che ha spaccato il Pd.
Cuperlo, crede o no alla mossa di Renzi?
«Mi verrebbe da dire: prima vedere e poi credere. Le riforme le voglio e nei tempi dati».
Una trattativa allora è possibile?
«La Costituzione non è una merce di scambio dentro un partito. Il punto non è azzerare tutto e partire daccapo ma dotare il Paese di un assetto istituzionale che stia in piedi e assicuri il buon funzionamento della democrazia. Cosa che il combinato tra Italicum e nuova Costituzione ancora non garantisce».
Ripristinare il Senato elettivo sarebbe un bilanciamento rispetto all’Italicum?
«Ho sostenuto per mesi che la sfida era dare una logica al sistema. Un vero Senato delle autonomie, come abbiamo sempre chiesto, e non l’ibrido che si è votato, una riforma del Titolo V meno centralistica. Garantire la governabilità assieme alla rappresentanza evitando che una maggioranza tra deputati e senatori venisse nominata dall’alto».
Quindi l’apertura del segretario va accolta?
«Se il confronto è su questo, porte aperte.
Ma non è materia da due battute ai giornali.
Il premier venga in Parlamento e dica come pensa di migliorare l’impianto complessivo».
E quali sono le condizioni che lei pone?
«Ad esempio si riapra l’articolo 2 sulla composizione del Senato e il modo di eleggerlo. Si rileggano funzioni e regole, magari sulla falsariga del Bundesrat tedesco. Solo a quel punto l’Italicum com’è adesso avrebbe un equilibrio diverso. E comunque la sua entrata in vigore andrebbe agganciata al completamento della riforma costituzionale».
Dareste a quel punto il via libera sulla legge elettorale così com’è?
«Io dico che quello sarebbe un cambiamento serio e avremmo un sistema più bilanciato».
Renzi è certo che alla fine lei e i deputati di SinistraDem voterete comunque l’Italicum.
«Se è per questo diceva anche “Enrico stai sereno”. Io non cerco la polemica, voglio dare una mano. E con qualche sofferenza ho votato sia la riforma elettorale che quella costituzionale nei passaggi parlamentari precedenti. L’ho fatto per non chiudere il confronto e unire il Pd. Ma adesso ripeto la domanda che ho fatto a Renzi l’altra sera. Perché ti vuoi chiudere nel recinto della sola maggioranza di governo, e neanche tutta, quando puoi allargare il sostegno a riforme destinate a durare per i prossimi cinquant’anni? Puoi uscire da questo passaggio con un governo più forte e in grado di agire sull’economia e i bisogni di chi fatica. Cosa ti trattiene?» Cosa trattiene il premier, secondo lei?
«Non voglio pensare che l’Italicum serva così com’è per accelerare nuove elezioni. Perché quello sì vorrebbe dire ignorare il futuro e fare un tuffo nel passato ».
Le dimissioni di Speranza vanno respinte?
«L’altra sera a caldo ho chiesto a Roberto di ripensarci. Lui ha compiuto un gesto che gli fa onore. Deciderà in coscienza e con la coerenza che lo caratterizza».
La minoranza però è divisa.
«Io voglio guardare avanti e so che contano le coerenze. A me più delle minoranze sta a cuore la Costituzione. In questo senso non ha senso immolarsi sull’altare delle preferenze. Si corre il rischio di apparire per quel che non siamo, gente preoccupata di conservare un seggio. Senza contare le ricadute sulla vera emergenza che ci investe e che dovrebbe suonare l’allarme sulla sorte del Pd».
In che senso?
«Nel senso che ha ragione Scalfari, una sinistra senza popolo scompare e non basta sventolare il 41 per cento delle europee. Perché quel popolo vive nelle urne ma prima ancora in un sentimento comune. Se viene meno devi capire chi sei. Io la campagna elettorale la farò come ho sempre fatto. Ma se guardo allo stato del mio partito in tante realtà vedo quella crisi esplosa da tempo e la soluzione non è commissariare a dritta e manca. Bisogna distinguere il buono dal guasto. E capire che un partito non è solo potere, ma cultura, etica, campagne dal basso. Posso farle un esempio? Possibile che dopo il massacro in Kenya o quello dei palestinesi a Yarmuk non vi sia stata una nostra mobilitazione diffusa? Attorno a noi il mondo si infiamma, dallo Yemen alla Libia o con dei disperati che pregano Allah e che nel loro fanatismo gettano a mare altri disperati che invocano il Dio cristiano, e la sinistra, fatto un comunicato di cordoglio, torna a spicciare i suoi affari. Ecco, questa è la malattia da curare»