Repubblica 13.4.15
“Così abbiamo distrutto il palazzo di Nimrud” In un video la furia dell’Is sul Partenone dell’Assiria
Costruito da Assurnasirpal II nel IX secolo a.C. non aveva precedenti nella storia artistica della Mesopotamia
L’abbattimento era stato annunciato dal Califfato il 6 marzo, ma solo oggi arriva l’incredibile sequenza
di Paolo Matthiae
ERA il Partenone dell’Assiria. Oggi è polvere dispersa dal vento. Era per gli assiri il “Palazzo di ginepro”, la reggia costruita da Assurnasirpal II nella prima metà del IX secolo a. C. a Kalkhu, il nome antico dell’odierna Nimrud. Fu inaugurato dal grande conquistatore con uno spettacolare banchetto cui parteciparono 69.574 invitati con 16.000 abitanti della città e 5.000 principi e dignitari di Paesi stranieri, come ricorda una sua celebre iscrizione. Vi risiedettero tutti i maggiori sovrani dell’impero assiro fino alla fine dell’VIII secolo a. C. al tempo di Sargon II che spostò la capitale a Khorsabad. La sua decorazione scultorea su grandi lastre d’alabastro per centinaia di metri con scene di soggetto storico e rituale non aveva precedenti nella storia artistica della Mesopotamia. Era una fabbrica palatina spettacolare di oltre 150 metri per 120, che fu il modello architettonico di tutti i successivi palazzi reali d’Assiria. Chiamato dagli archeologi Palazzo Nord-Ovest di Nimrud, i suoi rilievi, in gran parte oggi al Museo Britannico di Londra, sono dispersi in musei di tutto il mondo, da New York a Cleveland e a Brooklyn, da Philadelphia a Boston, da Parigi e Zurigo a San Pietroburgo, da Berlino e Copenhagen a Stoccolma e fino a Bombay. Era la gemma di un parco archeologico unico che le autorità culturali di Baghdad avevano allestito dagli anni Settanta del secolo scorso con una massa di rilievi, statue e iscrizioni originali in posto, restaurando sala per sala un ambiente palaziale senza uguali.
“Là io fondai un palazzo di bosso, di cedro, di cipresso, di terebinto, di tamarisco, otto settori di palazzo come mia residenza reale, per il mio signorile piacere, e li decorai in modo splendido. Feci immagini di animali delle montagne e dei mari in calcare bianco e in alabastro e le disposi alle sue porte… Presi in grandi quantità e vi riposi argento, oro, stagno, bronzo, ferro, bottino dei paesi su cui avevo esteso il mio dominio… Costruii questo palazzo per l’eterna ammirazione di governatori e principi”. Così orgogliosamente il gran re celebra in una lunga serie di iscrizioni la sua memorabile impresa architettonica della sua nuova capitale.
E alla fine delle sue rievocazioni getta una maledizione terribile su chiunque oserà danneggiare o distruggere la sua opera: “Chi distruggerà questo monumento, lo dismetterà, lo ricoprirà con olio, lo seppellirà nella sabbia, lo brucerà con il fuoco, lo sommergerà con l’acqua, lo porrà sul cammino degli animali selvatici… possa il dio, signore dei destini, maledire il suo destino…. secondo una maledizione terribile per lo sradicamento dei fondamenti della sua regalità e per la distruzione del suo popolo; sia afflitto il suo paese con l’angoscia, la carestia, la fame e l’indigenza…. e per il suo ineluttabile verdetto sia decretata la sua infelicità e nel suo paese sia scatenata una guerra infinita senza tregua.”.
Ecco, oggi ciò che non fecero Nabolassar di Babilonia e Ciassare di Media nel 612 a. C., quando misero fine con le armi all’impero d’Assiria, lo compie con un disegno di inaudita barbarie il fanatismo cieco dell’Is. La distruzione di Nimrud era stata annunciata il 6 marzo, ma solo ora viene divulgato un video agghiacciante in cui non solo si vedono all’inizio scal- pellate e demolite sculture e iscrizioni dell’antico signore di Kalkhu, ma viene documentata l’incredibile sequenza dell’allestimento dei barili di esplosivo disposti lungo tutte le pareti della reggia. Alla fine del farneticante messaggio appare un’immane esplosione e si leva al cielo un’altissima colonna turbinante di detriti e fumo. Poi solo l’immagine della desolazione più sconvolgente e il silenzio del deserto, come se la natura stessa fosse attonita spettatrice incredula di un massacro che non ha che remotissimi paragoni nella storia tormentatissima delle distruzioni del patrimonio culturale dell’umanità.
Dopo tremila anni dalla sua creazione uno dei massimi capolavori dell’architettura e dell’arte di tutti i tempi è annientato e ridotto fisicamente al nulla. Ciò che generazioni di archeologi di diversi paesi del mondo avevano restituito alla conoscenza, dal lontano 1845 quando l’inglese Austen Henry Layard aveva affondato per la prima volta il piccone nel terreno che celava le rovine, straordinariamente ben conservate, di Nimrud, un’esplosione criminale ha ridotto in cenere per il tramite di un “fuoco” ben più micidiale di quanto potesse immaginare la cancelleria di Assurnasirpal II. Gli scavi del Palazzo Nord-Ovest di Nimrud, dopo l’epica impresa pionieristica del Layard, furono ripresi, dal 1949 al 1963, da Max Mallowan e spesso documentati da una fotografa d’eccezione, sua moglie Agatha Christie, fino a quando, dal 1974, prima un archeologo polacco, Janusz Meuszynski, e poi un archeologo iracheno, Muzahim Mahmud Hussein, lo scopritore delle favolose tombe delle regine d’Assiria, completarono le ricerche al fastoso palazzo di Assurnasirpal II. Malgrado la difficilissima situazione dell’archeologia in Iraq, le autorità culturali di Baghdad avevano fatto di Nimrud un sito storico di una fruibilità inusuale, che testimoniava in tutto il suo splendore il valore dell’arte preclassica dell’antico Oriente.
All’annuncio delle distruzioni a Ninive, a Nimrud e a Hatra, all’inizio di marzo, il segretario generale dell’Unesco, Irina Bokova, condannando i massacri come un crimine contro l’umanità, aveva rivolto un appello a tutti i responsabili politici e religiosi del Vicino Oriente per un’aperta condanna di questa nuovissima barbarie. Oggi di fronte all’evidenza tragica della documentazione visiva di questi atti infami, la comunità internazionale non può solo restare sgomenta e interrogarsi sconvolta su quali saranno i prossimi disastri che incombono sul patrimonio culturale universale. Nel video risuonano queste farneticanti parole: «Eccoci, grazie a Dio, cancelliamo i segni dell’idolatria e diffondiamo il monoteismo. Come vedete, distruggiamo ogni statua che fu fatta per essere uguale a Dio”.
Ciò che serve, oggi e subito, è che il mondo islamico levi la sua voce alta e chiara, per il tramite delle massime autorità religiose di ogni Paese, in una ferma e inequivoca condanna di azioni sulle quali ogni silenzio non può che apparire complice. Una voce alta e chiara di civiltà che dichiari con fermezza e sdegno che distruzioni siffatte non possono essere compiute nel nome dell’Islam.