lunedì 13 aprile 2015

La Stampa 13.4.15
Anticastristi
L’incubo di restare fuori dai giochi
“Dobbiamo cambiare azione politica”
di Mimmo Càndito


Ai «dissidenti» di Cuba hanno sottratto proprio tutto, ormai, non solo lo spazio politico ma perfino il mestiere. Quella benedetta stretta di mano dell’altro ieri, infatti, tra Obama e Raùl Castro, è parsa la batosta che rischia di vanificare anche le ultime speranze d’una lotta politica lunga e tormentata, mai accompagnata da grandi successi: perché, ora che il regime contro cui da sempre si sono battuti ha potuto appropriarsi d’una legittimazione anche da Washington, riaggiustare la linea dell’«azione politica», come loro puntigliosamente chiamano le loro manifestazioni contro il castrismo, diventa un problema per la cui soluzione mancano strumenti d’uso. «Bisognerà capire anzitutto che cosa si son detti in quella mezz’ora di dialogo a porta chiusa, Raùl e Obama», commenta uno dei dissidenti che a Panama c’era, e ha incontrato il Presidente, e ha anche potuto manifestare in piazza la sua contrarietà ai fratelli Castro senza dover rischiare «el ripùdio popular» che in patria sempre gli tocca, quando non è la galera.
Divisi e litigiosi
Frammentato, litigioso, anche velleitario, il «dissenso» ha inciso davvero poco in questi 60 anni di regime, incapace di costituirsi come forza organizzata di contestazione politica, per l’azione repressiva d’una polizia presente dovunque e per le gelosie e i particolarismi delle cento sigle che dovevano rappresentare un progetto politico ma spesso erano, invece, confusi programmi di interessi personali su cui le infiltrazioni aprivano agevolmente manovre squalificanti. Un dissenso che ha pagato con migliaia di «prigionieri di coscienza» la sua opposizione al regime, prigionieri che hanno scontato anche decenni di galera, quando i loro nomi erano quelli di antichi compagni della lotta guerrigliera nella Sierra. Elisardo Sànchez, presidente da sempre della Commissione per i diritti umani, lo dice oggi come anni fa: «Ci siamo dovuti muovere sempre sotto la minaccia della repressione, bollati come mercenari, o traditori. Forse, ora sarà ancor più difficile, se non sapremo essere noi l’espressione del disagio della nostra società».
Il ruolo della Chiesa
Prima di Obama, a rubare spazio e peso al «dissenso» era stata la Chiesa cattolica, cui il «progetto per un dialogo» del dissidente Osvaldo Payà era certamente legato ma che il cardinale Ortega aveva saputo trasformare in azione concreta, una volta che il riformismo di Raùl aveva segnalato che - se pur nessuno spazio poteva essere concesso a soggetti politici - c’era comunque attenzione verso altre forze rappresentative della società. La Chiesa aveva preso al volo questa opportunità, incrinando per la prima volta la «esclusività politica» del partito comunista (non a caso, il Vertice di Panama è stato preceduto da un messaggio pubblico del Papa). Nessun partito a Cuba, ma sì a una Chiesa autorizzata a essere quasi-partito per le sue forti radici popolari.
Oggi il cardinale continua il suo lavoro di mediazione (sorretto dal Vaticano), ma il problema è come trasformare questo processo di mediazione in un atto dichiaratamente politico, cedendone la paternità progressivamente ad alcune delle espressioni pubbliche della dissidenza. A Miami, centrale del dissenso dell’esilio, molte cose sono mutate e c’è molta più apertura al dialogo e molta meno voglia di sangue. Questo aiuta, però tutto sta lì: «Che cosa si sono detti Obama e Castro in quella mezz’ora senza testimoni».