domenica 12 aprile 2015

Repubblica 12.4.15
Se le parole fanno più male dei pugni
di Mariapia Veladiano


VIENE la tentazione di non crederci molto, perché sbuccia un po’ lo stereotipo del bullo maschio che la prepotenza la mostra, nella forma della violenza agita o almeno parlata, nell’offesa scagliata di fronte al branco solidale o codardo. A scuola di sicuro lo si vede meno il bullismo delle ragazze, e quando viene scoperto o denunciato si presenta in tutta la sua natura sdrucciolevole. È spesso un bullismo delle relazioni, invisibile e anche difficilmente denunciabile. Si gioca sulle esclusioni più che sulle azioni. Di essere l’unica esclusa dal gruppo di WhatsApp di cui tutte le altre nella classe fanno parte lo si può anche raccontare a un adulto, ma si rischia di sentirsi dire: “E allora? Cosa sarà mai”. E lo stesso se non si è invitata, unica, a una festa, o ad uscire il pomeriggio. È facile sanzionare la violenza, l’offesa, difficile sanzionare il quotidiano crudele silenzio con cui si è accolte in classe o l’informazione taciuta o la parola cattiva sul nostro corpo, trattenuta, e che però tutti e tutte hanno intuito. Nella relazione fra bullo o bulla e la sua vittima è in gioco l’eterno desiderio di essere riconosciuti nello specchio dell’altro. La violenza, fisica o psicologica, è una scorciatoia grezza che questo desiderio prende, una patologia delle relazioni, che oggi davvero non è né circoscritta all’età giovane e nemmeno alla realtà scolastica, ma sembra una patologia che la società conosce bene. Questa attenzione a un bullismo più affilato, più esercitato e annidato in una gerarchia nascosta delle relazioni può aiutarci ad affrontarlo in termini di cura profonda delle relazioni e non (solo) di controllo. Certo, bisogna voler vedere e non essere omissivi. Si deve credere (e un insegnante che non ci crede può davvero cambiar mestiere) che le buone relazioni possono essere costruite ed eventualmente riparate. E così si dimostra ai ragazzi che non parlano perché “non serve a nulla” o perché “mi faccio gli affari miei” che il bullismo è esattamente un affare nostro, del nostro buon vivere.