domenica 12 aprile 2015

Repubblica 12.4.15
Alleanze e rotture
Dai forzisti di “sinistra” all’ex Pd scelto dalla destra le regionali diventano il kamasutra dei cacicchi
di Francesco Merlo


De Luca in Campania attrae seguaci di Cosentino e in Veneto va in frantumi la Lega. In Liguria si spacca il Pd, la Puglia diventa il “frullatore” di Forza Italia e nelle Marche il governatore dem si ricicla nel campo opposto. I territori locali si confermano il regno dei notabili irrottamabili che usano i partiti come taxi

NON bastano le 64 posizioni del kamasutra per illustrare lo scambio di ruoli alle prossime elezioni regionali. In Campania, tanto per cominciare, l’assalto di Forza Italia contro il proprio candidato uscente Stefano Caldoro è già citato come un classico del triangolo, dove il terzo è il famoso impresentabile Vincenzo De Luca, il candidato- condannato del Pd, che sarà votato appunto anche dai forzisti fedeli al boss Cosentino. Ma poiché nel kamasutra i punti da baciare sono gli stessi che si possono mordere, il feroce De Luca sarà apertamente combattuto dal deputato fumantino dello stesso Pd Guglielmo Vaccaro il quale, contro di lui, ha annunziato che voterà Caldoro: tié.
Nelle Marche invece il governatore uscente del Pd si chiama Gian Mario Spacca e già nel nome si ispira a Federico Da Montefeltro, “il bastardo” marchigiano appunto che spaccò il fronte ghibellino e divenne papista in cambio del titolo di Duca di Urbino. Ex uomo dei Merloni (ricordate l’Indesit?), sgrezzato nel tratto e spruzzato di studi, democristiano di sinistra, il duca Spacca ha deciso di ravvivare la passione che nel suo partito si era spenta e ha sedotto il nemico: si ricandiderà ma con Forza Italia e con l’Udc. Ed è l’opposto di quanto accade ad Agrigento dove Silvio Alessi di Forza Italia, popolarissimo presidente della squadra di calcio, ha vinto le primarie del Pd con lo slogan «ad Agrigento non c’è mafia». E ora che quelle primarie sono state annullate Alessi ha deciso di presentarsi comunque (“Agrigento 2020” è la sua lista civica) e sta già godendo dell’aum aum bipartisan.
La verità di questo kamasutra è che c’è un territorio della politica che è abitato dagli irrottamabili, i notabili locali, i cacicchi, quelli che controllano i voti e hanno rapporti concreti e sbrigativi con il proprio mondo. Come meravigliarsi se questi boss usano i partiti come taxi? A loro volta i partiti, finché gli scandali giudiziari lo permettono, si inebriano dei loro miasmi clientelari perché gli alzano le percentuali, gli affollano le sale, gli offrono il popolo come impeccabile coreografia della realpolitik, rendono fragorosi i battimani e sono fumo negli occhi per i dirigenti che arrivano da Roma. Ne va ovviamente di mezzo la morale che diventa schizofrenia: si intrattiene con Gramsci ma si rifugia nel kamasutra di Machiavelli. E infatti venerdì scorso il dioscuro Luca Lotti è andato a farsi i selfie a Napoli con gli impresentabili di De Luca, ma sabato la dioscura Maria Elena Boschi è andata a farsi i selfie “contro” gli impresentabili che a Catania sono passati in blocco (si chiamavano “Articolo 4”) da Cuffaro e Lombardo al Pd (a Regalbuto, provincia di Enna, è entrato nel Pd persino il camerata Francesco Bivona).
In Liguria si esibisce in un kamasutra da punto G Pippo Civati che non solo appoggia il secessionista Pastorino, il quale ha disconosciuto le primarie dopo averle perse, ma addirittura flirta apertamente con Giovanni Toti, che è l’uomo senza qualità del berlusconismo. Per la verità Raffaella Paita a Genova vinse sì le primarie ma con il soccorso, non si sa quanto determinante, degli incappucciati di Forza Italia, che in Sicilia e a Napoli sono stati dannati dal partito, ma in Liguria hanno la furbizia di avere la faccia un po’ così. E dunque le primarie a Genova sono state confermate nonostante la denunzia di Cofferati e nonostante l’evidenza delle prove.
Solo in Puglia però la politica del kamasutra, che è comunque rigore d’armonie acrobatiche, diventa caos e orgia. La Puglia, si sa, è la terra della taranta, di Carmelo Bene, del pensiero meridiano e delle astuzie levantine dove l’imbroglio è ornamento barocco e dove persino la severa scienza giuridica di Aldo Moro produsse la chimera delle convergenze parallele. Dunque, in Puglia va in scena la geometria non euclidea dell’ammucchiata. Adriana Poli Bortone, famosa a destra perché scese in campo contro Berlusconi e lo fece pure perdere, è da ieri sera la candidata di Berlusconi non solo contro Emiliano (Pd) ma soprattutto contro Francesco Schittulli, che sino a ieri pomeriggio era il candidato di Berlusconi. Schittulli è il “protégé” di Raffaele Fitto, che è ancora in Forza Italia benché Berlusconi lo abbia aggiunto alla lista dei traditori. Ma Schittulli è anche il candidato di Alfano che pure sino a venerdì scorso di lui diceva: «Andrebbe chiuso in una gabbia». Commenta Berlusconi: «Schittulli è il candidato dei traditori». Ma scegliendo la Poli Bortone Berlusconi mette a rischio l’alleanza già siglata in Puglia con Salvini. «La signora Poli Bortone non è certo il nuovo che avanza» dice infatti il segretario leghista che in Sicilia ha affidato la sua Lega ai rimasugli di Lombardo, agli ex forconi, agli ex fascisti, tutti sotto la direzione di Angelo Attaguile che a 68 anni sta indossando la sua sedicesima casacca politica, compresa quella del movimento per far diventare la Sicily la 51nesima stelletta della bandiera americana.
Ma va detto che, a dispetto della geografia e dell’antropologia, si somigliano Raffaele Fitto, Vincenzo De Luca, i rivali del Pd genovese Raffaella Paita e Luca Pastorino, il veronese Tosi che ha spaccato la Lega e si è alleato con Alfano… Nel mondo della precarietà e dell’incertezza, questi notabili assicurano infatti una contabilità elettorale che sposta gli zero virgola. Ricordano quelli che nei villaggi russi di fine ottocento contavano le anime, vive e morte. E nella traduzione italiana le anime sono appunto le clientele, i favori, un dominio locale vero che ha resistito alla stagione del potere solido che, come voleva Marx, si è dissolto nell’aria della comunicazione. I signori del kamasutra sono l’Italia profonda della provincia, dei bar che si riempiono nel pomeriggio, l’Italia che se ne infischia della tv, del twitter e spesso anche della lingua, che non a caso è quella dei mille soprannomi di “Giggino a manetta”, “‘o skipper”, “‘o scassatore”, “‘o floppe”, “‘n’coppa a gaffe”… ma è anche l’italiano a strascico di De Luca: «Ho il brivido di essere “pluriquisito”», «i senatori del Pd che vogliono le mie dimissioni sono fallofori». Su tutti questi contorsionisti dell’intreccio politico giganteggia Wladimiro Crisafulli che, assolto, si candiderà con le insegne del Pd a sindaco di Enna, nonostante l’altolà di Debora Serracchiani (a nome di Matteo Renzi). Crisafulli si sarebbe candidato anche se fosse stato condannato. Ha infatti dichiarato a Carmelo Caruso per Repubblica di Palermo: «A Enna il Pd è mio. E non solo il Pd. A Enna io sono nello stesso tempo Peppone e don Camillo».