sabato 11 aprile 2015

Repubblica 11.4.15
Il tesoretto del premier e la strategia del consenso
Al segretario dem serve con urgenza un volano per riaccendere almeno in parte la magia dell’anno scorso
di Stefano Folli


IL “tesoretto” da un miliardo e seicento milioni di euro è poca cosa se paragonato all’immenso tesoro servito a suo tempo per finanziare gli 80 euro, fiore all’occhiello della strategia renziana del consenso. Ma è pur sempre una cifra ragguardevole nella carestia delle risorse. Averla individuata nelle pieghe del bilancio pubblico e del Def aiuta il presidente del Consiglio a destreggiarsi nelle strettoie di primavera.
In un certo senso si può dire che Renzi ha ripreso da ieri sera a tessere il filo del rapporto con il suo elettorato. Filo che non si è mai spezzato, s’intende, ma che nelle ultime settimane si era un po’ allentato. Con l’eccezione della Swg, i sondaggi di opinione, chi più chi meno, hanno preso a registrare una contrazione della popolarità del premier e del sostegno al Pd. Le ragioni sono molteplici e hanno a che fare con quel tanto di logoramento inevitabile per chi governa. Peraltro le ultime settimane non sono state le più brillanti per l’esecutivo e soprattutto per il partito di maggioranza. Le inchieste sulle commistioni fra politica e affari nelle amministrazioni locali proiettano un’ombra sulla leadership: è inevitabile, quali che siano le responsabilità effettive.
E poi c’è la questione di fondo, nodo previsto e tuttavia allarmante: le riforme economiche, a cominciare dal cosiddetto “Jobs Act”, hanno bisogno di tempo per essere percepite dalla pubblica opinione come foriere di risultati tangibili. Idem per il parziale e limitato miglioramento della condizione economica generale. Le tasse non diminuiscono, tutt’altro, e i dati dell’Inps confermano quanto sia lento e farraginoso — è inevitabile — lo sforzo di ridurre la disoccupazione.
ARenzi serve con urgenza un volano per riaccendere almeno in parte la magia dell’anno scorso, quel misto di fiducia, novità e speranza che sfociò nel 41 per cento ottenuto dal Pd (ma in sostanza dal premier) nelle elezioni europee di maggio. Da allora molta acqua è passata sotto i ponti. Il consenso al capo del governo resta ragguardevole, anche in virtù della mancanza di alternative, ma si comincia ad avvertire qualche scricchiolio. A un mese e mezzo dalle regionali, il fenomeno non va sottovalutato. E allora ecco il “tesoretto”. Con esso Renzi avvia di fatto la sua personale campagna elettorale; una campagna di cui il voto del 31 maggio sarà solo una tappa intermedia, ma non per questo irrilevante. Al contrario, le regioni sono sempre un “test” qualificante, in grado talvolta di cambiare il corso della politica.
Il presidente del Consiglio cerca dunque il suo colpo d’ala. Non può rischiare di perdere in Liguria né di restare invischiato nelle lotte di fazione in Campania; come non può rinunciare a lottare fino all’ultimo voto in Veneto. Per non parlare della Puglia, dove il caos intorno a Forza Italia offre un’ottima opportunità al centrosinistra. Il fatto è che dopo un anno di governo le munizioni di Palazzo Chigi si sono inumidite. Occorre rinnovare il repertorio.
Avendo promesso “né tagli né nuove tasse” nel Def, Renzi ha preso un impegno che è quasi un azzardo. Ma non ha risolto il problema di fondo: disporre di un argomento forte sul piano mediatico per sostenere il suo messaggio ottimistico e rendere credibile l’immagine di un paese che domani si pretende più ricco e sicuro di se stesso di quanto non sia oggi. Un miliardo e seicento milioni, se bene impiegati, possono fare un piccolo miracolo e rilanciare il partito del premier. Poi si vedrà.
Non c’è dubbio, del resto, che il premier sia un abile comunicatore e sappia come si conduce una campagna elettorale. I suoi interlocutori sono dal primo giorno gli elettori, singoli e come categorie. Cerca di non scontentarli, dai sindaci ai pensionati, e di sicuro dedica loro molta più attenzione di quanta ne riservi agli esponenti del ceto politico-parlamentare. È una buona strategia? Difficile dirlo, ma è palesemente l’unica che Renzi conosce. Ancora una volta, punterà su se stesso.