Il Sole 11.4.15
Un bonus che Renzi può “spendere” per le elezioni regionali e per la battaglia sull’Italicum
di Lina Palmerini
Un dono elettorale, come dice l’opposizione, ma anche una scelta che mette in difficoltà la sinistra Pd sull’Italicum. E rende più complicato fare agguati contro Renzi dopo aver votato un Def con un bonus destinato al welfare.
Il fatto che il tesoretto da un miliardo e mezzo sia scritto nel capitolo “stato sociale” e che il Def sarà votato prima della legge elettorale, rende più complicato per la minoranza tentare – subito dopo - agguati al Governo con i voti segreti e rischiare di buttarlo giù. E dunque sarà pure una mancia elettorale quella che ha preparato il premier ma di certo aiuta anche a smontare l’opposizione interna che si attrezza per la battaglia finale sui capilista bloccati e premi. Davvero si potrà mandare sotto il Governo affossando anche misure sul welfare? Davvero si potrà fare durante la campagna per le regionali? Risponde anche a questi interrogativi il bonus deciso ieri.
È chiaro che le minacce sul voto di fiducia fatte più o meno esplicitamente dai renziani restano tali. Difficile che al Quirinale possano vedere di buon occhio una mossa così azzardata, uno strappo così netto su una legge che deve definire le regole elettorali per tutti i partiti. È vero che ci sono stati precedenti ma questo non vuol dire che la forzatura sia gradita dalle parti del Colle. E dunque dove non funzionano le minacce, o non possono essere attuate, può funzionare la tattica politica. Con il tesoretto da un miliardo e mezzo ascrivibile a politiche sociali, il premier riesce a prendere due piccioni con un solo bonus: da un lato aprirsi la strada verso la campagna elettorale per le regionali; dall’altra mettere in una condizione più difficile la sinistra del partito. Che infatti già ieri dibatteva sulla destinazione più opportuna del bonus.
Piuttosto erano le altre opposizioni, da Forza Italia al Movimento 5 Stelle ad attaccare la mossa di Renzi. Una operazione che ricalcherebbe gli 80 euro promessi nella campagna per le europee che, in effetti, portarono molto bene al leader Pd. Questa volta la scommessa sembra la stessa. Del resto, il test delle regionali non è affatto banale per Renzi che subito dopo si troverà a un bivio: decidere se proseguire la legislatura fino alla scadenza naturale (2018) oppure anticipare le urne al 2016, magari in concomitanza con il referendum costituzionale (se la riforma sarà varata). E magari approfittando anche di primi eventuali risultati postivi in economia.
Il fatto è che per andare avanti a governare il premier non può accettare una situazione di continuo scontro parlamentare come è accaduto al Senato sulle riforme e come sarà alla Camera sull’Italicum. In poche parole non può continuare a governare con una larga fetta di gruppi parlamentari che gli remano contro. Addirittura con un capogruppo alla Camera che è tra i capi della minoranza interna, con un presidente della commissione Bilancio apertamente contro di lui, con un presidente della commissione Attività produttive che è l’ex segretario Pd Epifani, anche lui tra gli esponenti di spicco dell’area bersaniana.
La sfida elettorale delle regionali servirà anche a questo: a cambiare gli equilibri parlamentari, soprattutto se Renzi avrà in mente di governare fino alla fine della legislatura. E vincere la sfida vuol dire innanzitutto mantenere le Regioni che sono già del centro-sinistra, a partire dalla Liguria, la più incerta, quella più in bilico perché attraversata dagli scontri interni. Conterà anche la Puglia ma il vero colpo potrebbe essere il Veneto, dove il Pd è arrivato al 37,5% alle ultime europee. Una vittoria lì gli darebbe tutta la forza per modificare gli assetti romani.