sabato 11 aprile 2015

Repubblica 11.4.15
La carta del bonus e le forbici rinviate
di Federico Fubini


DECENNI di vita repubblicana hanno insegnato agli italiani almeno una verità di fondo: mai tenere il fiato sospeso per un programma di governo a cinquanta giorni da un’elezione. A fine maggio 17 milioni di cittadini sono chiamati alle urne in sette Regioni e oltre mille Comuni, e bastava questo a delimitare la portata del Documento di economia e finanza (Def) che il Consiglio dei ministri ha varato ieri sera. In una situazione del genere qualunque politico, in qualunque Paese, prende impegni quanto più vaghi possibile.
NON era questo il momento di entrare nel vivo dei tagli di spesa (in teoria) fino a 10 miliardi che il governo deve precisare entro l’autunno, se vuole evitare una nuova impennata delle tasse o un passo indietro sui propri impegni europei. Anche così, la sorpresa non è mancata: un “bonus” da 1,6 miliardi da distribuire ad alcune categorie di italiani, anche se non è ancora chiaro esattamente a quali. Matteo Renzi è già circondato da un numero sufficiente di consiglieri a Palazzo Chigi, quasi tutti di prima qualità, ma già solo un’occhiata ai dati dell’Istat può dare al premier un’idea di cosa fare di quel denaro. In Italia vivono ormai sei milioni di persone che rispondono alla definizione statistica di povertà. La carenza di un’alimentazione abbastanza buona colpisce centinaia di migliaia di famiglie (non solo al Sud) e se serviva la prospettiva di un voto che si avvicina a convincere un governo ad occuparsene, tanto meglio. Le elezioni servono anche a questo, se portano a investire risorse dove sarebbero ben spese.
Vale però la pena di fermarsi un attimo a vedere meglio da dove viene quel “bonus” di così incerta destinazione: dal calo degli interessi sul debito, seguiti al piano di acquisti di titoli di Stato della Banca centrale europea. Chi dubita che gli attuali rendimenti dei titoli di Stato italiani siano sostenibili a lungo, nota che i Btp decennali oggi rendono 64 punti base meno dei corrispondenti titoli degli Stati Uniti. Sembrerebbe quasi che fra i due sia l’Italia il Paese più solido, più dinamico e con il debito più basso. Ovviamente è vero il contrario e già solo questo spread invertito fra Italia e America dà la misura di quanto oggi questo Paese stia vivendo in un clima artificialmente sedato. Il siero lo sta iniettando la Bce, il suo effetto non può durare più di un paio d’anni, ma ora dà al governo la copertura necessaria per passare alla parte più rischiosa del suo compito. La revisione della spesa, quella vera, entrerà nella sua fase operativa non appena le urne delle amministrative saranno sigillate.
Le linee di fondo sono già scritte, almeno per il 2016. Dalla fine di deduzioni e detrazioni fiscali si potrà ricavare 1,5 o 2 miliardi; dal trasporto pubblico locale circa 500 milioni; dall’applicazione dei cosiddetti “costi standard” a tutte le strutture sanitarie, un miliardo; dalle nuove grandi centrali per gli acquisti dell’amministrazione pubblica, di nuovo un miliardo; un altro dovrebbe venire dalla cancellazione dei sussidi alle imprese ma, poiché andrebbero colpite soprattutto le commesse della Marina e dell’Aviazione, sono già in vista duri scontri con Finmeccanica. Lo stesso poi vale per le Ferrovie dello Stato per ulteriori, eventuali risparmi.
Come si vede, in totale non si arriverà a 10 ma al massimo forse a 7 miliardi di tagli sul 2016. Il meno che si possa dire è che la sfida del premier di portare a un cambio di direzione radicale non è ancora vinta, anche se l’Italia è sottoposta a un esame europeo di cui a stento sembra rendersi conto in questi mesi. Jens Weidmann, Wolfgang Schaeuble o altri dignitari tedeschi sospettano che questo Paese si adagi non appena gli si dà un po’ di spazio e gli si permette di vivere in un ambiente sedato. Sono convinti che l’Italia vada messa spalle al muro, per costringerla ad autoriformarsi nell’emergenza. Renzi e il suo ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan sostengono, in buona fede, che non è così. Ma anche loro sanno che dare ragione ai falchi tedeschi, nei prossimi due anni, sarebbe la più grave delle sconfitte culturali italiane.