venerdì 10 aprile 2015

L’amaca
di Michele Serra


AD OGNI notizia di esplosioni e spari, specie in edificio pubblico, subito ci si domanda se è terrorismo; subentra poi un malcelato sollievo quando si viene a sapere che è una carneficina ordinaria, per mano di un “normale” pazzo e/o farabutto. I morti rimangono e il dolore anche, ma è come se la malattia fosse già conosciuta, qualcosa di domestico, possibile da sempre. Il male risaputo spaventa meno del male inedito. Accadde, ai tempi, anche per lo stragismo nero e per le esecuzioni a freddo delle Brigate Rosse: erano qualcosa di nuovo sul fronte del dolore. Oggi funziona allo stesso modo, però su scala planetaria, col jihadismo. Possibile che una molla segreta del reclutamento terrorista (di ogni epoca) sia la possibilità offerta a tanti banali falliti, a tanti frustrati ordinari di dare una eco straordinaria alla loro voglia di rivalsa e di sopraffazione. Vuoi mettere versare il sangue degli altri per proprio conto, per miserabili questioni contabili, e farlo invece per una Causa, nobile o ignobile dipende dai punti di vista. L’alibi offerto dalla fede (religiosa o politica) è di tutti davvero il più infame e pericoloso: ammanta di significati reconditi lo squallore del male, la sua acclarata banalità.