Corriere 10.4.15
I corridoi e le aule trasformati in un ring dove si concentrano le tensioni sociali
di Luigi Ferrarella
N eanche a farlo apposta, appena 5 mesi fa, una trascurata ordinanza del Tar del Veneto nel dicembre 2014 aveva giudicato che il controllo delle borse degli avvocati all’ingresso del Tribunale di Venezia, disposto nel 2005 dalla Procura generale e contestato nella sua legittimità dal ricorso di un difensore, non fosse «discriminatorio» e nemmeno «sproporzionato» rispetto al bene tutelato dell’interesse alla sicurezza generale e all’ordinato svolgimento delle udienze: ma solo a motivo dell’«eccezionalità» di quel singolo processo (era alla «mala» del Brenta) e dei tempi ristretti di azione rispetto a urgenti pericoli paventati allora dalla questura. L’eccezionalità può diventare ordinarietà in tribunali che non certo da oggi calamitano potenti disagi esistenziali? Proprio a Milano avevano da poco fatto le rilevazioni: ogni mattina sono 5.000 le persone che entrano a Palazzo di Giustizia per i più disparati motivi, come indagati, imputati, magistrati, avvocati, praticanti, testimoni, cancellieri, impiegati, consulenti tecnici, traduttori, investigatori, addetti alle pulizie, gestori dei bar interni, familiari di chi ha udienza, pubblico, giornalisti, gente che ha bisogno di un certificato, fornitori di merci varie. È una autentica città nella città, 7 enormi piani, molte decine di aule, centinaia di uffici. Alla superfetazione delle complessità edilizie-logistiche si è combinata negli ultimi anni una mutazione genetica del «popolo» del tribunale. L’infierire della crisi economica ha trasformato i corridoi delle separazioni in ring sui quali ex mariti e mogli si disputano col coltello tra i denti 100 euro in più o in meno di assegno di mantenimento; uffici lontani dai riflettori ribollono di gente disposta a incatenarsi per non farsi mettere all’asta la casa; il boom statistico di fallimenti si lascia dietro, come risacca, la schiuma di sempre più accese rivendicazioni e recriminazioni, rispetto alle quali un verdetto in sé «ordinario» diventa invece questione di vita o morte per le condizioni materiali delle persone. Immaginare un carabiniere in ogni aula, o davanti a ogni stanza di giudice, o fuori da ogni ascensore, è autoconsolazione comprensibile ma poco realistica. E anzi può sfiorare l’irritante presa in giro se negli stessi anni le ondate di revisioni della spesa hanno tirato da ogni parte la coperta corta degli organici delle forze dell’ordine nei tribunali, fino a privilegiare di fatto il recupero di uomini per i pure importanti servizi nelle strade, e barattarlo con la conseguente loro sostituzione con servizi di portierato e sorveglianza appaltati a società di vigilanza privata con gare gestite dal Comune. Certo non è ammissibile che si possa entrare in tribunale con una pistola, e sicuramente c’è stata una falla nei controlli. Ma questa spiegazione, da sola, rischia di essere autoconfortante. Se si decide che tutti ma proprio tutti (compresi gli addetti ai lavori) debbano sempre passare sotto metal detector tarati con la medesima sensibilità in uso negli aeroporti, occorre mettere in conto — e dunque accettare, come ormai si accetta proprio all’aeroporto — di dover pagare il prezzo della ricercata maggior sicurezza con una corposa modifica dei ritmi organizzativi di lavoro: all’inizio, magari, anche preventivando file talmente lunghe da obbligare a presentarsi una o due ore prima dell’orario fissato. Per andare in udienza. Come per salire su un aereo.