giovedì 9 aprile 2015

La Stampa 9.4.15
Boschi gela la minoranza Pd: “L’Italicum va bene così”
Renzi manda avanti il ministro a stoppare le richieste di Area Riformista
Bersani per ora si tiene fuori. I voti contro finirebbero per essere solo 20
di Carlo Bertini


«Io non voto la riforma elettorale e spero che altri siano coerenti»: ecco, basta questo sibillino auspicio di Pippo Civati per far capire come la battaglia dei suoi compagni di strada rischi di sgonfiarsi di qui a fine mese. L’oggetto del contendere è la legge elettorale, la posta in palio e l’unità del Pd, che però non sembra affatto a rischio, malgrado il gioco del cerino ingaggiato dai dissidenti: che faranno firmare il loro documento con le richieste di modifica anche ai senatori bersaniani per far capire a Renzi che 120 parlamentari su 400 del Pd non digeriscono l’Italicum com’è e che se lui accettasse ritocchi nessuno farebbe scherzi poi al Senato.
La mossa del cavallo
Renzi però non ci sta, vuole far presto e non intende cambiare di una virgola il testo, anzi fa di più: non è un caso infatti che alla Camera venga scelto come relatore, lasciando a bocca asciutta i renziani, Gennaro Migliore; new entry del Pd, che quando era capogruppo di Sel votò contro la prima versione dell’Italicum e che ora è pronto a difenderla viste le migliorie e i cambiamenti. «Io mi battei per la soglia del 3% ai piccoli partiti, per la parità di genere e contro la soglia del 37%, troppo bassa per avere il premio di maggioranza», ricorda lui, anticipando così chi volesse rinfacciargli le sue contrarietà alla riforma. Designare proprio lui è un segnale preciso di quanto anche chi abbia un pedigree di sinistra possa considerarla una legge valida e non anti democratica.
La campagna elettorale
Del resto anche i pasdaran bersaniani come lo è stato Davide Zoggia, ammettono che «la legge elettorale non scalda i cuori come il jobs act e dunque la nostra base ci chiede di batterci per cambiarla ma di non rompere alla fine». Ed è proprio quello che avverrà, perché il cuore dello scontro andrà in scena proprio nelle settimane di maggio quando nelle sette regioni dove si vota e in centinaia di comuni i dirigenti Pd saranno impegnati a dar mostra di unità non certo di divisioni.
La fiducia lì sul tavolo
Dunque a poco valgono le richieste dei moderati di Area Riformista guidati dal capogruppo Roberto Speranza, vergate su un documento con un’ottantina di firme in calce, Epifani, Damiano, Stumpo - ma per ora non Bersani - per chiedere due modifiche sui capilista nominati e sull’apparentamento al ballottaggio. L’aria che tira si capisce dalle parole della Boschi alla prima riunione della Commissione Affari Costituzionali, dove approda l’Italicum. «Per il governo la legge è corretta, funziona non necessita di modifiche», dice il ministro interpretando il pensiero di Renzi. Che tiene in serbo la fiducia sull’Italicum come via d’uscita: il testo sarà votato il 20 aprile in commissione e il 27 arriverà in aula. Nel primo round i dissidenti Pd sono la metà dei 23 membri del partito in commissione e quindi forse si faranno sostituire al momento del voto, ma in aula sanno di poter contare sugli scrutini segreti con la sponda dei 5Stelle. «Faremo di tutto per apportare migliorie, dialogheremo anche con il Pd su preferenze e liste bloccate», dice il grillino Toninelli. Però martedì prossimo andrà in scena la conta decisiva dentro il Pd: si riunirà il gruppo dei 300 deputati e alla linea votata a maggioranza tutti si dovranno attenere in aula: «Non dovrei dirlo, però è chiaro che dopo il voto nel gruppo, anche il documento con le nostre richieste rischia di sgonfiarsi», ammette il realista Zoggia. Insomma degli ottanta oppositori della minoranza Pd (cui si assoceranno una trentina di senatori) rischiano di restarne una ventina a votare contro, stando alle previsioni degli stessi promotori.