La Stampa 25.4.15
Renzi: se la Camera boccia l’Italicum il governo va a casa
Non è solo una sfida alla minoranza Pd
di Federico Geremicca
Il dado è tratto, e nel modo più brusco possibile. E le voci di mediazioni, trattative e ipotetiche aperture, sepolte con poche e irreversibili parole. Dunque, l’Italicum e il futuro della legislatura (o almeno di questo governo) simul stabunt simul cadent: cioè, vivono assieme o muoiono assieme. Parola di Renzi, e ora ognuno si regoli come crede...
Arrivato al passaggio più stretto e delicato della sua avventura da capo del governo - intendiamo il varo della riforma della legge elettorale - il premier ha deciso di giocare la sua partita al solito modo: tirando dritto, rilanciando e mettendo critici e avversari di fronte a un bivio che più chiaro non si può: «Possono mandarmi a casa, ma non possono fermarmi».
Martedì il governo deciderà se porre la fiducia sull’Italicum, ma anche questa scelta - estrema e drammatizzata - appare ormai quasi un dettaglio: nel senso che l’ipotesi di una bocciatura della riforma non è più (se mai lo è stata) una possibilità contemplata, se non come anticamera di una crisi di governo e - con ogni probabilità - di elezioni anticipate.
Il ragionamento svolto dal premier (ospite ieri di Lilli Gruber) può apparire senz’altro duro da digerire ma bisogna ammettere che, dal suo personale punto di vista, non fa una grinza. La riforma della legge elettorale - ha spiegato - è uno dei punti programmaticamente più importanti per il governo, e se la Camera la bocciasse sarebbe come dire «andatevene a casa».
Quel che Renzi non dice in esplicito - ma chi deve intendere ha certamente inteso - è che a casa non andrebbe solo l’esecutivo ma l’intero Parlamento, visto che il premier (segretario del partito di maggioranza relativa...) molto difficilmente - e usiamo un eufemismo - darebbe il via libera alla nascita di un governo diverso. La posta in palio, dunque, s’è alzata: come del resto era facilmente prevedibile.
Annusata l’aria che tira nel Pd, scettico circa la possibilità di un «soccorso berlusconiano» nel voto e preda della sensazione di cominciare a esser stretto in una sorta di paralizzante ragnatela, Renzi decide dunque di giocare il tutto per tutto pur di incassare il risultato. Non è una novità, a dire il vero, perché non c’è partita di quest’ultimo anno - per quanto delicata - che lo abbia visto cambiare schema di gioco, rallentare, fermarsi o fare addirittura marcia indietro.
Il tirar dritto, in politica, non è sempre e necessariamente una qualità: ma se si è capito qualcosa del consenso che continua ad accompagnarlo, ecco, questa caratteristica, questo stile, sembrano essere uno dei suoi maggiori punti di forza. Del resto, ha vinto e perso primarie, incassato risultati impensabili (dal Jobs act alla riforma del Senato) e conquistato un partito che gli era in maggioranza ostile restando fedele a questo modo di interpretare l’azione politica. Le somme si tireranno alla fine, anche se già il test elettorale del 31 maggio dirà molto sullo stato di salute del segretario-presidente e del suo Pd.
A sorprendere un po’ nell’uscita televisiva di ieri, piuttosto, è stato il tono liquidatorio utilizzato per archiviare le critiche - nemmeno così aspre - rivoltegli da Romano Prodi ed Enrico Letta: «Hanno due libri in uscita...». Una battuta così sprezzante da lasciar intuire che i rapporti con i due ex premier siano assai meno distaccati di quanto si è tentato di far credere fino ad ora. E non è arduo prevedere che, anche su questo fronte, se ne vedranno delle belle...