venerdì 24 aprile 2015

La Stampa 24.4.15
La guerra fatta con i droni. Raid mirati e stragi di innocenti
Obama ha ereditato il programma dall’ex presidente George W. Bush e lo ha potenziato Il motivo: risparmia i soldati americani
Ma in 10 anni sono stati uccisi centinaia di civili
di Paolo Mastrolilli


Una fonte di intelligence descrive così l’attacco tipo, come quello che ha ucciso Giovanni Lo Porto: «Gli analisti dei servizi segreti sono sempre al lavoro per individuare i target. Quando hanno la certezza di avere un obiettivo sotto mira, chiedono l’autorizzazione a colpire. Spesso è questione di pochi minuti, o secondi. In questo caso nessuno aveva il minimo elemento per pensare che dentro a quella base ci fossero ostaggi occidentali».
È la guerra dei droni, cominciata dal presidente Bush dopo gli attentati dell’11 settembre, ma continuata, perfezionata e allargata dal successore Obama. Attacchi guidati da oltre 60 basi americane, che secondo le stime del Bureau of Investigative Journalism hanno fatto finora oltre 2.500 vittime. La giustificazione politica è che sono efficaci, risparmiano i militari che altrimenti dovrebbero andare sul terreno a cercare i nemici, e salvano più vite di quante ne sacrificano.
Primi attacchi con Bush
La campagna dei droni è cominciata il 17 settembre 2001, quando Bush ha firmato il Memorandum of Notification per giustificare il loro uso. In base al National Security Act del 1947, un presidente può autorizzare operazioni segrete, a patto che non violino la Costituzione e siano necessarie per garantire la sicurezza nazionale. Un semplice paragrafo di quel testo consentiva di prendere di mira i membri di Al Qaeda e i loro alleati, e su di esso si è basata l’intera operazione droni.
Durante l’amministrazione Bush ci furono in totale 52 attacchi, che uccisero 416 persone, di cui 167 civili. All’inizio i droni erano stati impiegati solo in Afghanistan, ma il 3 novembre del 2002 avvenne la prima operazione nello Yemen, che aprì la campagna a tutti i Paesi coinvolti nella guerra al terrorismo.
Obama ha ereditato questo programma e lo ha allargato, principalmente per due motivi: primo, è efficace nell’eliminare gli obiettivi più difficili da raggiungere, come ad esempio Anwar al Awlaki, il leader di Al Qaeda di origini americane ucciso nello Yemen; secondo, risparmia i soldati americani, evitando che vadano a morire sul terreno per cercare gli obiettivi. Bush aveva scelto la strada delle invasioni, in Afghanistan e in Iraq, che erano costate migliaia di caduti. Obama ha preferito ritirarsi, continuando però la campagna contro i terroristi usando i droni. Durante la sua amministrazione, infatti, si calcola che sia avvenuto un numero di attacchi nove volte superiore a quella precedente, concentrati soprattutto su Pakistan e Yemen. A gennaio il totale delle vittime accertate era 2.464, di cui tra 400 e 950 civili, anche se nel caso dei terroristi è sempre difficile fare questa distinzione con certezza. Da allora a oggi si è superata certamente la soglia di 2.500 morti.
L’attacco più sanguinoso registrato finora fu quello che avvenne nel giugno del 2009 in Pakistan, dove morirono almeno 60 persone. In Afghanistan una volta era stata colpita una festa di matrimonio, e le vittime civili vengono calcolate fino a un terzo del totale. Anche qui, però, le informazioni non sono mai sicure, perché i terroristi si mescolano apposta con la popolazione e alle volte si confondono con i civili, proprio per poi dare l’occasione di accusare gli americani di aver colpito degli innocenti. Esistono però casi documentati di bambini morti, come il dodicenne Mohammed Toaymen, colpito nello Yemen.
Operazioni segrete
Le operazioni sono segrete, ma gli Stati Uniti hanno almeno 64 basi da dove possono guidare i droni, come la Nellis Air Force Base del Nevada, la Holloman nel New Mexico e la Randolph in Texas. I piloti addestrati per questo genere di attività sono oltre mille, e siedono a migliaia di chilometri di distanza dai loro obiettivi. Ricevono le informazioni, vedono le immagini satellitari, e premono il grilletto. In teoria, è il lavoro più facile della guerra. Arrivi quando è il tuo turno, stai seduto al sicuro, spari, e in genere torni a casa in tempo per la cena. La realtà è molto diversa, però. Negli ultimi tempi si sono moltiplicati gli studi che denunciano gravi casi di Post traumatic stress disorder anche per questi guerrieri del telecomando: sensi di colpa, stress, la difficile condizione di dispensare la morte a distanza. Fino a quando poi capitano gli errori, le trappole o gli incidenti, e la mattina dopo scopri di aver ucciso un amico.