giovedì 23 aprile 2015

La Stampa 23.4.15
Il premier offre alla minoranza Pd
il Senato sul modello tedesco
L’Italicum passa in una commissione semivuota. Per evitare agguati in aula il leader apre sulla riforma costituzionale. Bersani: “Ci sta portando a spasso”
di Carlo Bertini


«Io non ho paura delle elezioni», sostiene il premier di fronte a scenari di chi evoca una spallata al governo. «Siamo tranquilli. La maggioranza sarà compatta anche in Aula», dice la Boschi. La proposta di rinunciare al voto segreto per evitare la fiducia naufraga però contro il muro eretto da Brunetta. E quindi l’Italicum sbarca lunedì in aula con una maggioranza amplia sulla carta ma con il Pd spaccato. La sfida all’Ok Corral sarà ai primi di maggio: dopo la fiducia che otterrebbe un sì scontato, si consumerà nell’ultimo voto, quello finale a scrutinio segreto sul quale si gioca la sorte del governo. Ma come in tutte le fasi di scontro, quando più si alza la temperatura c’è chi lavora per cercare un terreno di incontro. E in queste ore di lacerazione nel Pd, con i bersaniani divisi tanto da aggiornare alla prossima settimana il loro conclave, l’Italicum passa in commissione con i voti dei soli renziani, con i dissidenti fuori e le opposizioni sull’Aventino. E l’ala dialogante del Pd valuta un possibile sbocco che consenta alla minoranza ferita dal pugno di ferro sull’Italicum di potersi rivalere sulla riforma del Senato.
La mano tesa
«Si può cambiare la riforma costituzionale per arrivare ad un Senato sul modello del Bundesrat tedesco». Se a parlare così è un renziano di ferro, allora si può pensare che una volontà di tendere la mano ci sia. Anche perché è proprio questo uno degli ami lanciati da Bersani, dopo la Direzione che sancì lo strappo e di cui Renzi è stato subito messo al corrente dai suoi ambasciatori. Copiare il modello Bundesrat costringerebbe il governo a smontare quanto fatto finora, ma senza dover concedere l’elezione diretta dei senatori e una seconda Camera che voti la fiducia. Ricominciando da zero si allungherebbero certo i tempi, offrendo però così più garanzie alla minoranza Pd sulla reale volontà di non andare alle urne una volta acquisita l’arma dell’Italicum. Cosa cambierebbe? Rispetto al Senato delle autonomie di cento consiglieri regionali, il Bundesrat è composto da una settantina di delegati dei governi dei sedici lander tedeschi. È l’organo attraverso cui i lander partecipano alla funzione legislativa e all’amministrazione dello Stato centrale, con voce in capitolo specie su norme finanziarie e sui decreti legislativi del governo. Andrebbe sciolto un nodo, peraltro già esistente: quello della conferenza Stato-regioni formata dai governatori, che già così potrebbe entrare in conflitto con i deliberati dell’attuale Senato delle autonomie.
Forza Italia contraria
E cosa ne pensa Bersani? «Certo in quel caso cambierebbe l’atteggiamento. Io l’ho posta come una delle due soluzioni possibili e tutto ciò che riapre la discussione è il benvenuto, non come forma di do ut des, ma per avere un equilibrio complessivo». Dunque andrebbe bene. «Ma non lo faranno mai, ci stanno portando a spasso», frena l’ex segretario, che mette le mani avanti. «Significherebbe smontare tutto, far crollare il castello, ridiscutere tutta la parte del titolo V sulle competenze Stato-regioni. Il Bundesrat è un modello inserito in uno stato realmente federale e quindi andrebbero riviste anche le funzioni del Senato». Certo questo gli uomini vicini al premier lo sanno e i loro ragionamenti si spingono oltre, ipotizzando un altro accordo con gli azzurri, poiché il Bundesrat è composto dai governi regionali senza le minoranze. «Forza Italia fin dall’inizio non gradiva questa ipotesi perché loro governano poche regioni, dunque si potrebbe prevedere che entrino pure esponenti delle opposizioni in modo da riequilibrare la rappresentanza».