Corriere 23.4.15
Rebus numeri, quei 40 sì che ballano
Il governo ha 77 seggi di vantaggio
L’ipotesi della fiducia per evitare fino a 80 scrutini segreti
di Dino Martirano
ROMA Per provare a raccapezzarsi sui numeri, sui pro e i contro l’Italicum, sulle minoranze interne e sui doppiogiochisti, bisogna innanzitutto disegnare due scenari. Nella prima cornice, il governo non pone la questione di fiducia fin dall’inizio e dunque affronta 80 potenziali scrutini segreti sulla legge elettorale. Ma questa sembra fantascienza. Nel secondo scenario, il meno improbabile, Renzi impone (dopo una decisione del Consiglio dei ministri) la questione di fiducia sulla legge elettorale appena si chiuderà la discussione generale: in questo caso, i voti di fiducia saranno tre (uno per ogni articolo del testo tranne il terzo che è già stato approvato in «doppia conforme» da Camera e Senato) mentre il voto finale sarà segreto se richiesto da 30 deputati o da un solo capogruppo.
Nello scenario uno, le insidie per il governo sono davvero molte davanti a una raffica di 80 potenziali voti segreti, a partire da quello sulla pregiudiziale di costituzionalità: sebbene la maggioranza conti sulla carta su 393 voti (di cui 310 del Pd) e le opposizioni 237, sarebbe troppo allettante la tentazione di far saltare il banco dell’Italicum con giochetti d’Aula, magari mascherandoli con incidenti di percorso notturni. Le incognite (sui singoli emendamenti a scrutinio segreto e in particolare su quello che introduce l’apparentamento al ballottaggio e dunque il premio alla coalizione) devono tenere conto di due numeri: il dissenso palese (20-40 voti) e quello occulto (fino a 70 voti) all’interno del Pd; e quello sul «soccorso azzurro» per il governo (a partire da 17 voti) che si è già manifestato dentro FI quando Denis Verdini chiese ai suoi fedelissimi di appoggiare la riforma costituzionale.
Ma c’è anche uno scenario di mezzo. Prevede che Renzi parta comunque in maniera soft (senza fiducia preventiva) dopo aver incassato un accordo con i capigruppo di opposizione sulla rinuncia alla richiesta di voto segreto come accadde (con successo) nel 1993 con il Mattarellum. Ma cosa succede se poi 30 deputati senza insegne rompono il patto stretto tra i partititi e chiedono uno scrutinio segreto? A quel punto, secondo l’interpretazione del regolamento del capogruppo vicario Ettore Rosato (Pd), «bisognerebbe verificare, uno ad uno, se i 30 richiedenti sono effettivamente in Aula e così il governo avrebbe il tempo per mettere la fiducia sull’intero articolo» cui si riferisce l’emendamento oggetto di richiesta di voto segreto.
Se invece il governo non si fida e non vuole sorprese, scatta il secondo scenario. Il presidente del Consiglio fa scorrere senza intoppi la discussione generale che si apre lunedì 27 aprile, poi forse ai primi di maggio affronta il voto segreto sulla pregiudiziale di costituzionalità (quello sulla sospensiva è palese) e prima di passare all’esame degli emendamenti (se ne annunciano una manciata anche in Aula, tutti di merito) chiede al ministro Boschi di porre la questione di fiducia. A quel punto i voti di fiducia sarebbero tre: sei «chiame» che si snodano lungo un’intera giornata.
È quasi certo che la fiducia verrebbe votata anche da una parte della minoranza del Pd. Il bersaniano Davide Zoggia lo conferma: «Sì, voterei la fiducia, che poi è il voto politico, ma sul provvedimento bisogna vedere... Per questo aspettiamo un segnale da Renzi». Grosso modo, questa (sì alla fiducia, astensione nel voto o dal voto sul provvedimento) è la posizione di Pier Luigi Bersani e di Area riformista. Più marcata, seppure ancora più minoritaria, la posizione di Pippo Civati: «Non parteciperei al voto di fiducia e voterei contro una legge sulla quale mi impediscono di presentare emendamenti». Anche Rosy Bindi ha detto al «Manifesto» che non voterebbe «una fiducia che ritiene incostituzionale» e la stessa linea sarebbe tenuta da Stefano Fassina, da Alfredo D’Attorre e da un’altra manciata di oppositori dem all’Italicum. Troppo pochi per impensierire il governo che dovrà comunque affrontare il voto finale a scrutinio segreto all’esito del quale Renzi scoprirà che l’Italicum è approvato. Magari, però, non dalla maggioranza assoluta della Camera (316 voti).