martedì 21 aprile 2015

La Stampa 21.4.15
Italicum, strappo Pd
Il leader sostituisce i dieci dissidenti
Ma è pronto a trattare su Senato e capogruppo
di Carlo Bertini


La mossa non è indolore anzi è di quelle che restano agli atti: sostituire in prima commissione, la Affari Costituzionali, la metà dei membri Pd perché non allineati alle decisioni del partito è un segno intangibile della ferrea volontà del premier di tirare dritto e non rischiare nulla nel primo giro di boa della legge elettorale. Da oggi a giovedì infatti si voteranno gli emendamenti in commissione e il testo non deve subire alcuna variazione rispetto a quello uscito dal Senato. Renzi è determinato a «respingere veti e controveti, con l’Italicum non ci saranno più inciuci e accozzaglie come l’unione di Prodi». Ma di fronte a una prova di lealtà sull’Italicum, è disposto perfino a riaprire del tutto la pratica della riforma del Senato, il che consentirebbe anche di blindare la legislatura fino al 2018. Anche per questo il premier congela per ora la nomina di un nuovo capogruppo: se la parte più morbida della minoranza deponesse l’ascia di guerra potrebbe guadagnarsi questa carica di peso. Fatto sta che la mossa di scalzare dieci esponenti fa rumore, i grillini minacciano di lasciare i lavori della commissione, Brunetta strepita e perfino i due membri di Scelta Civica minacciano l’Aventino. Ma la mossa fa rumore specie nel Pd, tanto più che tra i sostituiti ci sono pezzi grossi come Bersani, Cuperlo, Bindi.
La rivolta dei dissidenti
«La sostituzione di massa non ha precedenti è un fatto grave», si solleva Cuperlo. Ma tranne il siciliano Lauricella che ha scelto di allinearsi alle decisioni del partito, gli altri dieci dissidenti contrari al pacchetto Italicum-riforma del Senato così congegnato vengono rimossi. Alcuni come il torinese Giorgis accettano di buon grado la sostituzione, altri no. Ma i renziani fanno quadrato: «In commissione si rappresenta il gruppo e in aula la nazione senza vincolo di mandato», dice Emanuele Fiano
Fiducia e vita del governo
Il secondo strappo sarà la questione di fiducia che secondo Cuperlo «metterebbe a rischio la legislatura». Ma molti la danno già per scontata, malgrado le proteste a tutto campo, da sinistra a destra dello schieramento parlamentare: anche per questo viene difeso con le unghie dal governo il testo del Senato, sarebbe poco opportuno mettere la fiducia su un testo che ripristini quello originale dopo eventuali modifiche in commissione. E visto che gli emendamenti sul tavolo della commissione sono un centinaio - tutti su punti sensibili come il premio alla coalizione invece che al partito; o l’apparentamento al secondo turno gradito ai partiti minori - il governo non vuole rischiare l’osso del collo neanche in aula, dove tutti questi punti sarebbero riproposti e votati a scrutinio segreto: coagulando maggioranze variabili tra 5Stelle, Forza Italia, Lega, pezzi del Pd. E dunque la fiducia sarebbe l’unico modo per far decadere tutti gli emendamenti, lasciando sul piatto un solo voto segreto: quello finale sull’intera legge elettorale. Che tutti sanno essere voto cruciale per la sopravvivenza del governo. Tradotto, se venisse affossato l’Italicum, ci sarebbero buone probabilità di un precipitare verso il voto anticipato.
Trattative e poltrone
Dunque se per ora è braccio di ferro, nei prossimi giorni si vedrà se ci sono trattative capaci di ammorbidire le minoranze Pd. Nel frattempo il premier ha congelato la nomina di un nuovo capogruppo che non a caso verrà discussa poco prima dei voti in aula. «Se sul serio aprono una trattativa sul Senato, allora può anche restare al suo posto Speranza, altrimenti Renzi ci metterà uno dei suoi», sintetizza un bersaniano con voce in capitolo.