giovedì 2 aprile 2015

La Stampa 2.4.15
Mustafa Köz
“Censura e diseguaglianze alimentano le violenze. Avremo un nuovo Gezi Park”
“Non c’è democrazia, giornali nel mirino”
intervista di Marta Ottaviani


Una nazione in bilico, la libertà sempre più a rischio e una democrazia che ha problemi sempre più seri al suo interno. Che non si risolveranno, finché il presidente Erdogan e il governo non accetteranno di dialogare con quella parte di Turchia che non accetta le loro politiche. Mustafa Köz, scrittore e intellettuale, è il segretario del Tys, il Turkiye Yazarlar Sendikasi, il Sindacato degli scrittori turchi. È stato una delle voci più autorevoli durante la rivolta di Gezi Park e da anni combatte una battaglia per la libertà di pensiero e di espressione.
Mustafa Köz, che cosa sta succedendo in Turchia?
«La situazione ormai è più che critica e potrebbe anche peggiorare dopo le elezioni del prossimo 7 giugno. In 13 anni questo governo islamico che si dice liberale ha dato vita a una crescita economica dalla quale non hanno beneficiato tutti, visto il numero di poveri e di disoccupati, e in cambio ha attuato riforme sempre più repressive, come la legge sulla sicurezza approvata venerdì scorso. Hanno rallentato di colpo i progressi fatti in 70 anni di democrazia».
Il Paese è tristemente famoso per i limiti alla libertà di stampa…
«Giornalisti e intellettuali sono spaccati in due. Se stai con il governo trovi lavoro e non ti succede nulla. Se lavori in testate di opposizione, allora ti può capitare che il tuo giornale chiuda e, a quel punto, visto che sei contro il governo non ti assume nessuno. O peggio ancora puoi finire sotto processo o in galera. Siamo sotto pressione sia come singoli sia come organizzazioni sindacali, ma andiamo avanti».
Come vive uno scrittore in Turchia?
«La cosa per me più difficile da accettare non è tanto la censura, quanto l’autocensura alla quale rischi di venire forzato. Uno scrittore che si autocensura non è uno scrittore libero, non è una mente libera, significa che anche se non vuole subisce le limitazioni della società non libera in cui si trova».
Voi siete stati molto attivi durante le proteste di Gezi Park. Può tornare una stagione del genere in Turchia?
«Il movimento di Gezi Park è stato una rivoluzione contro un governo sempre più autoritario. Era una ricerca della libertà negata, ma il governo questo non lo ha visto o non lo ha voluto vedere e la repressione è stata dura. Ma se continueranno così, io credo che la gente tornerà in piazza e allora il governo dovrà capire. Non ci possono essere pace e democrazia dove c’è morte e violenza».
Intanto a giugno però ci sono le elezioni, che cosa si aspetta?
«Si va al voto con il solito problema democratico. Per entrare in parlamento c’è uno sbarramento troppo alto da anni, che impedisce a molti partiti di entrare in assemblea, soprattutto a partiti liberali e socialisti. Con un parlamento più vario il popolo turco si sentirebbe più rappresentato, sarebbe più democratico, darebbe speranza. Invece in parlamento ci sono sempre i soliti, islamico-moderati, nazionalisti, repubblicani e con i candidati indipendenti i curdi, hanno interesse tutti che la legge non venga cambiata, non solo l’Akp».
Qual è il reale problema della Turchia?
«Non ci sono libertà e diritti. Se anche una sola persona finisce in carcere per quello che pensa, se anche solo uno scrittore viene arrestato, se anche solo un giornalista viene ucciso, allora significa che quello non è un Paese libero».