martedì 14 aprile 2015

La Stampa 14.4.15
Italicum, la battaglia finale
Interviene l’ex presidente Napolitano.“Non indietreggiare, un errore cancellare il Mattarellum” Il premier non vuole più toccare nulla per non correre rischi.Ma con la fiducia il Pd uscirà intero?
di Carlo Bertini


Il rush finale comincia questa settimana, l’unica cosa certa sull’italicum 2.0 - la nuova legge elettorale con il premio in seggi alla lista che vince - è che Matteo Renzi vuole farla approvare così com’è. Il 27 aprile il testo arriverà in aula e la seconda cosa, non certa, ma assai probabile, è che finirà con un voto di fiducia: extrema ratio cui Mattarella, stando ai rumors renziani, non dovrebbe opporsi, «nulla lo vieta, dunque...». Il voto finale in aula sarà ai primi di maggio e da quel momento - se la legge passerà, come dicono i numeri sulla carta - il premier avrà un’arma vera sul tavolo di ogni trattativa politica; pur continuando a garantire che è sua intenzione arrivare fino al 2018. Anche alla minoranza Pd che teme uno show down verso le urne, Renzi va dicendo «questa vostra fissazione che io vorrei andare al voto non esiste, mettetevelo in testa». Ma non per questo è meno determinato a portare a casa la madre di tutte le riforme: anche ponendo la fiducia. Una mossa che costringerebbe i riottosi ad allinearsi, anche se resterebbe lo scoglio di un voto segreto, quello finale sul provvedimento, da cui il Pd ne uscirebbe lacerato. Ma la fiducia eviterebbe un centinaio di voti segreti sugli emendamenti, «se in uno di questi andassimo sotto poi si dovrebbe tornare al Senato senza certezze», dice chi dirige la pratica.
Il pallottoliere
Dunque Renzi non cede neanche alla sola richiesta della minoranza bersaniana di aumentare le preferenze e diminuire il numero di capilista bloccati. Oltre al sostegno forte dell’ex presidente Napolitano, sceso in campo ieri, «non disfare quanto faticosamente costruito, non bisogna tornare indietro sul lavoro fatto», la coalizione pro-Italicum vede schierati Pd, Ncd, centristi di Scelta civica e del Misto. I nemici dell’Italicum, quelli che nel voto finale diranno no, sono FI, M5S, Lega, Fratelli d’Italia e Sel. I vendoliani lo chiamano il «sovieticum», mentre grillini e Forza Italia sono disposti a modifiche: i primi vogliono le preferenze, i secondi il premio alla coalizione e non alla lista. Il 10 marzo, era post-Nazareno, la Camera votò la riforma costituzionale con 357 sì, 7 astenuti, 127 contrari (90 M5S uscirono dall’aula). Oggi, anche se sulla carta la maggioranza può arrivare a 390 (Pd 310, Area popolare 33, per l’Italia 13, Scelta Civica 25, più un’altra decina dal Misto), i renziani mettono in conto una trentina di defezioni della minoranza e una quota di assenze.
La conta interna nel Pd
Renzi ha già fatto capire che la trattativa non può essere sull’Italicum, ma sulla riforma costituzionale. Non è blindata e si può trattare sul procedimento legislativo, il titolo V, le competenze di Camera e Senato. Ma le minoranze Pd battono sull’Italicum e sono divise: i morbidi chiedono solo una cosa: diminuire i capilista, i duri vogliono anche il ballottaggio di coalizione. Domani sera Renzi chiederà ai 300 e passa deputati di votare la linea decisa in Direzione e già in questo passaggio le minoranze saranno messe a dura prova: il capogruppo Speranza, si gioca la poltrona, perché leader della corrente che ha lanciato un appello con 80 firme per quella sola modifica sui capilista: ora deve decidere cosa fare e stamattina riunisce i bersaniani. Poi in commissione, dove si voterà dal 21 al 24 aprile, ci sarà il primo show down: 12 dei 23 membri Pd (su 45 in totale) sono non allineati, tra loro Bersani, Cuperlo, Bindi. Alcuni come Bersani si faranno sostituire per non votare contro.
Saldatura sinistra-Fi-M5s
Ma la partita vera si giocherà in aula: senza la fiducia, gli emendamenti si voterebbero dunque a scrutinio segreto. E gli azzurri pongono le stesse richieste della minoranza Pd che minaccia conseguenze in Senato per la riforma costituzionale se l’Italicum non sarà cambiato. Quali sono queste modifiche? Meno capilista bloccati, cioè meno nominati e più eletti con le preferenze, per far sì che anche i partiti perdenti possano far scegliere i loro eletti ai cittadini; e ballottaggio non tra liste ma anche tra coalizioni al secondo turno. Fuori dai denti, i renziani dicono che la minoranza in odor di scissione se si presentasse alle urne da sola potrebbe far valere i suoi voti solo se fosse possibile un apparentamento col Pd renziano al secondo turno. Fiducia o no, nel voto finale «cento deputati Pd diranno no all’Italicum, un pericolo della democrazia», prevede Brunetta. Mentre i renziani sono convinti che dei cento ne resteranno trenta e che Italicum e legislatura saranno al sicuro.