domenica 26 aprile 2015

Il Sole Domenica 26.4.15
Kurt GÖdel (1906-1978)
Una feconda incompletezza
Il suo teorema più famoso è uno dei più fraintesi e strumentalizzati della storia del pensiero
di Umberto Bottazzini


Un risultato «unico e monumentale – in realtà più che un monumento, una pietra miliare che resterà visibile da lontano nello spazio e nel tempo». Le parole del grande matematico John von Neumann, collega di Gödel all’Institute of Advanced Study di Princeton, rivelano la sua sconfinata ammirazione per quello che, nel corso del tempo, è diventato il «teorema di Gödel» per antonomasia. Vent’anni prima, nel 1930, von Neumann aveva partecipato al congresso di Königsberg su «epistemologia e scienze esatte» dove Gödel – a corollario della propria tesi di dottorato – aveva presentato per la prima volta il suo teorema, e ne aveva immediatamente colto la profondità e la portata. Quel «teorema di incompletezza», che ha consegnato il nome di Gödel alla storia, afferma che «tutti i sistemi formali della matematica finora conosciuti» come per esempio i sistemi assiomatici della teoria degli insiemi, supposto che siano coerenti, «contengono proposizioni aritmetiche indecidibili». In altre parole, per qualunque sistema formale coerente, abbastanza potente da esprimere le asserzioni dell’aritmetica ordinaria, esistono enunciati indecidibili, che non possono cioè essere dimostrati usando le regole deduttive del sistema.
Un profondo teorema di logica, dunque, che nel corso del tempo è stato citato sempre più spesso a sproposito nei contesti più diversi. In questo modo, osserva a ragione Riccardo Bruni, «si è finito per far dire a Gödel cose che i suoi lavori non dicono affatto». Non solo. L’enfasi posta su quel solo risultato «ha condotto a relegare sullo sfondo gli altri risultati da lui ottenuti, alimentando un’idea riduttiva della portata della sua opera». Nel suo agile e denso Profilo, Bruni non solo restituisce quel celebre teorema al contesto delle ricerche logiche del tempo, ma ci offre un’immagine di Gödel «più completa e fedele all’originale» privilegiando i contributi che costituiscono «la spina dorsale» dell’opera del grande logico, riuscendo tuttavia a mantenere l’esposizione ad un livello accessibile anche a chi non è specialista. Bruni prende le mosse dalla tesi di dottorato di Gödel dedicata al problema della completezza semantica, ossia alla questione se le formule universalmente vere di un linguaggio formale siano anche dimostrabili a partire dagli assiomi logici. La dimostrazione del teorema di completezza semantica della logica dei predicati del prim’ordine contenuta in quella tesi è il primo risultato importante di Gödel, cui fanno immediatamente seguito il teorema di incompletezza e il suo «corollario» che segna la fine del programma formalista perseguito da Hilbert e dalla sua “scuola”, cui aderiva anche von Neumann. Tra le interpretazioni di quei risultati «più longeve e di maggior successo» Bruni ricorda quella che fa del teorema di Gödel «un argomento a sostegno dell’idea che le capacità matematiche della mente umana siano superiori a quelle di ogni dispositivo artificiale di calcolo», che in anni recenti è stata riproposta anche da Roger Penrose. Rispetto ai fraintendimenti più grossolani, questa interpretazione – afferma Bruni – si pone ad «un livello superiore di accuratezza» e tuttavia, anziché «svelare un “senso nascosto” della prova di Gödel» consente al più di «isolare il punto oltre il quale è necessario procedere» in maniera indipendente da quel teorema nell’analisi del rapporto mente-macchina.
Negli anni Trenta, dopo la pubblicazione dei suoi risultati di incompletezza, Gödel affrontò il problema del continuo di Cantor. Quel problema, egli scriverà nel 1947, «è semplicemente la questione: quanti sono i punti di una retta nello spazio euclideo?». In altri termini, «quanti insiemi diversi di interi esistono?». L’ipotesi formulata da Cantor nel 1878 era che ogni insieme più che numerabile di numeri reali può essere posto in corrispondenza biunivoca con tutti i numeri reali, cioè che non esiste alcun insieme con cardinalità compresa tra quella del numerabile e quella del continuo. Quell’articolo del 1947 ha natura espositiva e non contiene risultati tecnici nuovi – Gödel stesso aveva dimostrato prima della guerra la consistenza dell’ipotesi di Cantor con la teoria assiomatica degli insiemi e la soluzione definitiva del problema sarà ottenuta da Paul Cohen nel 1964 – ma consente di approfondire le concezioni filosofiche che egli da anni aveva maturato, non solo in relazione alle proprie ricerche logiche. «Uno degli aspetti più interessanti della teoria della relatività per chi abbia una mentalità filosofica – scriveva ad esempio Gödel nel 1949 – consiste nel fatto che essa ha fornito nuove e sorprendenti intuizioni sulla natura del tempo». Le «sorprendenti intuizioni» di Gödel a sostegno delle tesi di Kant «e gli idealisti moderni che negano l’oggettività del cambiamento», si basavano su un nuovo tipo di soluzioni cosmologiche da lui stesso trovate per le equazioni della teoria di Einstein, un nuovo modello di universo in cui le linee del tempo sono chiuse ed «è possibile viaggiare in qualsiasi regione del passato, del presente e del futuro». Tuttavia, come osserva Bruni, l’analisi delle fonti lascia emergere le difficoltà di Gödel ad «esprimere il proprio pensiero sugli aspetti concettuali legati alla propria attività di ricerca». In una parola, a vestire i panni del filosofo, anche se le tracce delle sue riflessioni di carattere filosofico, sparse nei suoi ultimi lavori, rivelano la sua adesione ad una forma di realismo platonico, secondo cui «la matematica descrive una realtà non sensoriale, che esiste indipendentemente sia dalle azioni sia dalle disposizioni della mente umana e che viene solo percepita, e probabilmente percepita in modo molto incompleto, dalla mente stessa».
Riccardo Bruni, Kurt Gödel, un profilo , Carocci editore, Roma, pagg. 170 € 14,00