domenica 26 aprile 2015

Il Sole Domenica 26.4.15
Altruismo individuale e sociale
Gli estranei fuori dal nido
di Arnaldo Benini


Per l’altruista, il benessere e la felicità del prossimo valgono quanto e più della propria condizione. Per la legge dell’evoluzione della natura vivente una rinuncia a favore di altri senza contropartita non esiste. La maggioranza dei biologi evoluzionisti hanno sostenuto e sostengono che non c’è altruismo senza compenso. Come potrebbe la selezione naturale far emergere organizzazioni altruistiche, umane e non umane, che agli uni costano e di cui altri membri della specie approfittano? La prevalenza del più adatto a scapito degli altri, principio dell’evoluzione, sembra escludere la scelta della limitazione volontaria del proprio interesse a favore del prossimo, che, grazie alla rinuncia, potrebbe prendere il sopravvento. Tutti, in natura, dice il biologo Allen Orr, cercano di essere il numero uno. Per il filosofo francese Auguste Comte, che nel 1851 coniò il termine altruismo come fondamento del suo sistema morale ateo della «Religione dell’Umanità», l’altruismo del credente è apparente in quanto motivato non dalla volontà di far del bene al prossimo bensì dalla paura dell’Inferno e dall’ansia di meritarsi il Paradiso. Anche se così fosse, non c’è dubbio che è più gradevole vivere in società con altruismo privato e sociale diffuso, puro o subdolo che sia, che dove esso difetti o sia assente. Esso è studiato dalla storia come progresso sociopolitico e dalla biologia evoluzionistica come evento naturale.
L’altruismo è esistito come atteggiamento privato e di gruppo e, in molte società, in misura diversa, a partire dalla fine del XIX secolo, in istituzioni come pensioni d’anzianità e d’invalidità, casse malattie, assistenze particolari, scuole pubbliche, ecc. Senza consenso diffuso, tali forme costose di altruismo sociale non sarebbero possibili. Ci si può chiedere perché solo da allora e non da prima. Lo storico sociale ha le sue risposte, la biologia evoluzionistica ne propone altre. Il libro del biologo evoluzionista americano David Sloan Wilson è una storia e una riflessione a tratti interessante e originale sull’altruismo individuale e sociale nel contesto storico e fenomenologico del comportamento umano. È però biologicamente evanescente, come se la selezione biologica, di cui l’altruismo è un aspetto, non fosse sempre un evento naturale. Wilson sostiene che la selezione naturale è dovuta non solo al prevalere di una variante genetica casuale, selezionata dall’ambiente come la più adatta per la conservazione della specie, come prevede la teoria classica. Essa avverrebbe a molti altri livelli, individuali, di popolazione e di specie. Wilson, molto sicuro della selezione a più livelli, non spiega con quali meccanismi biologici essa avvenga. Egli riprende la riflessione nel The Descent of Man del 1859 di Charles Darwin sull’evoluzione di gruppo. Darwin, che non conosceva la genetica, porta diversi esempi di comportamento ad «alto livello di moralità» di uomini con uomini, di animali con animali, e fra animali e uomini, per sostenere che il comportamento morale (Darwin verosimilmente non conosceva la parola altruismo, di conio recente in Francia), non porta miglioramenti a chi lo pratica, ma vantaggi a volte rilevanti al gruppo di cui fa parte. La selezione naturale agirebbe non a favore del singolo altruista, ma della società con il maggior numero di uomini che «posseggono in misura elevata lo spirito di patriottismo, fedeltà, obbedienza, coraggio e simpatia, sempre pronti ad aiutarsi l’un l’altro e a sacrificarsi per il bene comune. Poiché la moralità è un elemento importante del successo, un tipo di moralità ed un certo numero di individui ben dotati tenderanno così ovunque a formarsi e a crescere».
Il comportamento morale non sarebbe dunque un sacrificio volontario senza contropartita, perché gli altruisti approfitterebbero della prevalenza della loro società su quelle i cui membri non provvedono nella stessa misura ai bisogni del prossimo. Esempio dell’altruismo animale con vantaggio di gruppo sono le formiche, che si sacrificano e si adattano alla vita di operaie e di soldati a favore di una sola regina, con la ricompensa di vivere in una società ordinata, protetta, prospera e capace di riprodursi. Il comportamento animale, secondo la biologia, è codificato geneticamente. Il meccanismo genetico in virtù del quale il comportamento individuale condiziona e modifica il comportamento di gruppo può richiedere millenni per emergere. Anatre di isole al nord della Svezia, hanno scoperto Malte Andersson e Coll., covano uova di altre femmine parassite solo se sono parenti. Le uova estranee sono spinte fuori dal nido. La parentela è dimostrata dalle proteine dell’albume delle uova. Come le anatre distinguano le uova delle parenti da quelle estranee, che è la chiave del procedimento evolutivo del loro altruismo, è un mistero. Le uova accettate, grazie alla parentela, hanno geni che inducono all’altruismo, come quelle della femmina altruista ospite. I geni che inducono l’altruismo aumenterebbero da una generazione all’altra per selezione naturale, dal momento che gli individui avvantaggiati dall’altruismo, essendo parenti degli altruisti, sono portatori di geni in parte identici. In questo modo, con meccanismi rigorosamente genetici, l’altruismo diventerebbe una caratteristica ed un vantaggio del gruppo. Se questa è la legge di natura, i sarcasmi di Comte sono fuori luogo. Lo storico sociale arriccerà il naso, ma non sembra sbagliato pensare che l’altruismo sociale è nato solo pochi decenni fa perché tanto tempo ha impiegato il meccanismo genetico evolutivo per consolidarlo e diffonderlo. L’evoluzione, in questo caso, sarebbe sociale e non individuale, ma cionondimeno avverrebbe per via genetica, come vuole la regola dell’evoluzione biologica. Per Wilson invece la selezione naturale avverrebbe anche attraverso riflessioni e sistemi simbolici in grado di modificare il comportamento e influenzare così la sopravvivenza della specie, come nel caso dell’altruismo, che non obbedirebbe alla legge di natura della contropartita. Non spiega però in che modo riflessioni e modificazioni del comportamento modifichino la base genetica per passare alle generazioni future. Egli parla, con spunti interessanti, di altruismo religioso, sociale, psicologico, economico, patologico e planetario. Non fa invece alcun cenno alla mole enorme di dati che la «moral neuroscience» ha fornito sulle aree e sul funzionamento dei centri del comportamento e del controllo morale, che si sviluppano e si tramandano di generazione in generazione per via genetica, e che forniscono una base naturale plausibile al comportamento morale e alle sue deviazioni (Cfr. Fumagalli e Priori e Il Sole 24 Ore 29.07.2012). A Wilson è stata mossa la critica che il tentativo di estendere la teoria evoluzionistica dalla biologia a tutti gli aspetti della vita sociale umana ed animale ha compromesso la ricerca biologica. La spiegazione più convincente delle scelte morali si trova nei meccanismi cerebrali che le determinano. L’altruismo esiste, nelle forme individuali e sociali che conosciamo, ed è gratificante anche se non è puro. Per spiegarlo come evento naturale della natura animale ed umana non c’é bisogno di abbandonare, come fa Wilson, la metodologia scientifica. Essa lo spiega nel migliore dei modi, nei limiti della conoscenza degli eventi della coscienza.

David Sloan Wilson, Does Altruism Exist? Culture, Genes, and the Welfare of Others, Yale University Press/Templeton Press, pagg.180, € 35,00
H. Allen Orr, The Biology of Being Good to Others , New York Review of Books March 19, 2015
Malte Andersson, Peter Waldeck, et al., Female sociality and kin discrimination in brood parasitism: unrelated females fight over egg laying , Behavioral Ecology February 25, 2015 doi:10.1093/beheco/arv007
M.Fumagalli, A. Priori, Functional and clinical neuroanatomy of morality Brain , A Journal of Neurology 135, pagg.2006-2021,2012