Il Sole Domenica 26,4.15
Chimica e arte
Van Gogh tradito dal sole
di Gianni Fochi
Amava i ritrovati della chimica, Vincent van Gogh, perché gli fornivano i colori adatti a esprimersi. E la chimica continua a ricambiare il suo amore, svelando i meccanismi misteriosi che, decennio dopo decennio, alterano e sviliscono il suo cromatismo vibrante. Senza queste conoscenze le battaglie a difesa delle sue opere resterebbero votate alla sconfitta, forse addirittura a far danni. Conoscere il nemico è una regola fondamentale d’ogni guerra. Quattr’anni fa un gruppo internazionale di ricerca affrontò il problema dei girasoli dipinti dal genio olandese. Gli ammiratori della sua arte osservavano costernati che i toni di giallo così veementi stavano scurendosi. Fra quei ricercatori, insieme con scienziati belgi, olandesi e francesi, c’erano due chimiche italiane, Letizia Monico e Costanza Miliani. In un certo senso, il risultato dello studio fu paradossale: quelle fantasmagorie pittoriche, veri inni alla luce solare, dovevano essere tenute al riparo dai raggi del sole. Il degrado veniva infatti avviato dalle radiazioni ultraviolette. Vediamo di ricostruire la storia fin dal principio.
Con potente spinta innovativa, Van Gogh colse al volo l’occasione offerta dai pigmenti resi ampiamente disponibili dalla chimica ottocentesca. Non immaginava che il proverbio sull’avvenire ignoto, riservato a chi lascia la via vecchia, potesse in seguito rivelarsi sgradevolmente profetico. Il giallo cromo gli consentì la grande vitalità dei suoi girasoli, e il componente base era cromato di piombo, lo stesso composto intorno a cui ruota un bel capitolo del Sistema Periodico di Primo Levi. Dove nell’impasto steso sulla tela sono presenti anche solfati, col passar del tempo i raggi ultravioletti del sole hanno cominciato ad abbassare lo stato d’ossidazione del cromo. Il massimo possibile è proprio dei cromati, ma qua e là negli strati superficiali, più esposti all’irraggiamento, sono apparse sostanze meno ossidate, che possono essere verdi o anche brune, a seconda delle combinazioni con ciò che si trova nella miscela. Il coordinatore di quel gruppo, un chimico dell’università d’Anversa, ha poi continuato le sue ricerche sulle alterazioni dei colori di Van Gogh. Sulla rivista tedesca Angewandte Chemie è appena uscito uno studio in cui, con altri due chimici belgi, egli ha indagato il Covone sotto un cielo nuvoloso, che Van Gogh dipinse fra il 1889 e il 1890 e si trova nel museo olandese Kröller-Müller a Otterlo. Sul piccolo stagno in primo piano risaltano alcuni riflessi rossi vivaci, che purtroppo stanno sbiadendosi. Il pigmento in quel caso è il minio, un tipo d’ossido di piombo usato dai pittori fin dall’antichità. I ricercatori sono stati autorizzati a prelevare dal quadro un campione minore d’un millimetro quadrato, pieno di pustole. Queste in superficie hanno uno strato biancastro, che Van Gogh applicò nella fase di ritocco finale, miscelando due bianchi diversi: bianco di zinco e bianco di piombo. Che si tratti d’un intervento successivo è deducibile dallo strato immediatamente sottostante, in cui il bianco di piombo ha una composizione diversa dal bianco che gli sta sopra, pur essendo il piombo alla base di tutti e due. Nel secondo strato dall’esterno predomina comunque il blu di cobalto, un pigmento impiegato dall’artista in molti altri dipinti. Il nucleo delle pustole è rosso, colore dovuto al minio come dicevamo. È noto da tempo che questo pigmento è instabile. Per esempio, può reagire coi trigliceridi degli oli vegetali usati come leganti, dando i cosiddetti saponi di piombo, che causano rigonfiamenti. Oppure può trasformarsi in solfuro o in biossido, con annerimento della tinta. Il fenomeno contrario, cioè lo schiarimento, è più raro, ma tuttavia conosciuto. Si sapeva che i prodotti finali sono due diversi carbonati di piombo. Si trattava però di capir nel dettaglio le tappe intermedie. In un quarto strato compreso fra il minio e i carbonati bianchi suddetti, gli scienziati belgi hanno scoperto l’anello mancante. La parola tomografia (indagine strato per strato) è ormai conosciuta da molti, grazie soprattutto alla Tac della diagnostica medica. Con una tecnica tomografica applicata alla diffrazione dei raggi X da parte delle polveri, quel quarto strato è stato riconosciuto come costituito da un composto insolito e piuttosto raro, detto plumbonacrite: un solido che contiene il piombo sotto forma contemporaneamente di carbonato, idrossido e ossido. La plumbonacrite è soggetta a trasformarsi lentamente nelle sostanze ritrovate nello strato che sta al di sopra.
A sua volta essa si genera dal minio per effetto della luce solare, ma qui si tratta delle radiazioni visibili, cioè quelle per cui il sole ci fa vedere i colori. A differenza dei raggi ultravioletti, queste non possiamo eliminarle, se vogliamo apprezzare un dipinto. Però ora sappiamo che conviene almeno evitarne una dose eccessiva. La palla passa così a chi progetta i musei: a loro sfruttare bene questo prezioso assist.