giovedì 2 aprile 2015

Il Sole 2.4.15
Un argine al tracrollo del Medio Oriente
di Alberto Negri


Il tracollo del Medio Oriente non consente proroghe infinite: tantomeno a Iran e Stati Uniti, che sul nucleare stanno negoziando a oltranza.
A scongiurare un fiasco delle trattative di Losanna, proseguite a oltranza nella notte, è la mancanza di alternative per i due protagonisti principali del negoziato sul nucleare, l’Iran e gli Stati Uniti. E forse anche per tutti noi: il tracollo del Medio Oriente non consente proroghe infinite. Il caos bussava ieri tumultuosamente alle porte del Beau Rivage e dispacci drammatici salivano per gli scaloni in stile Belle Epoque dello storico hotel affacciato sul lago: mentre il Califfato entrava a Damasco era diventato ancora più difficile giustificare un rinvio o un fallimento del negoziato. La scelta qui non è soltanto mettersi d’accordo con l’Iran ma non doverlo fare domani con i nuovi barbari dello Stato Islamico che hanno trasformato il campo profughi palestinese di Yarmuk, nella capitale siriana, in un infuocato terreno di scontro. Una notizia in parte compensata dalla riconquista irachena di Tikrit ma che insieme alle battaglie dello Yemen, dove iraniani e sauditi combattono una guerra per procura tra sciiti e sunniti, fa temere che si stia esaurendo il tempo per frenare la disgregazione di una regione strategica per gli equilibri mondiali. Nessuno si salva da solo in questo Medio Oriente. L’ondata della destabilizzazione colpisce anche la Turchia di Tayyep Erdogan: i tragici eventi degli ultimi due giorni fanno pensare che pure questo storico ma assai riluttante membro dell’Allenaza Atlantica, in corsa per l’acquisto di sistemi antimissile cinesi mentre schiera i Patriot della Nato al confine, abbia imboccato una pericolosa tendenza all’instabilità a pochi mesi da nuove e cruciali elezioni politiche. Soltanto adesso e con grande ritardo Erdogan, che progetta un’incontrastata repubblica presidenziale, ha preso misure contro i jihadisti, per anni infiltrati dalle sue frontiere verso la Siria per fare la guerra ad Assad. Ma dalle viscere di una Turchia affluente, con un’economia che aspira a entrare tra le prime dieci al mondo, risalgono in superficie nuovi e antichi malesseri ad alimentare un terrorismo politico e religioso: la cronica causa curda, l’irritazione per la deriva islamica dei laici e dei secolaristi eredi di Ataturk, il sordo revanscismo dei militari emarginati da Erdogan, gli estremismi di destra e di sinistra, un “deep state”, uno stato profondo, costituito da forze oscure e mai realmente sgominato, un radicalismo religioso che in questo Paese ha già duramente colpito nel 2003 e ora ha trovato nuova linfa in un jihadismo fuori controllo.
Per 400 chilometri su 900 di frontiera con Siria, la Turchia, un nostro alleato, confina con il Califfato di Al Baghadi. Che non è un vicino di casa così indifferente neppure per gli europei. Quando gli stati si disgregano, come accade da anni in Medio Oriente, non c’è mai una sola faccia della medaglia: con oltre 1,7 milioni di profughi siriani la Turchia ha detronizzato il Pakistan (1,2 milioni di rifugiati afghani) al primo posto in questa triste classifica mondiale. Un milione ne conta la Giordania, dove ieri il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha portato un contributo italiano di 18 milioni di dollari; un altro milione sono in Libano e in Iraq. Se a questi si aggiungono cristiani iracheni e siriani, yezidi, armeni, i palestinesi di una storica e infinita diaspora, si capisce che il problema ha dimensioni bibliche. Il Medio Oriente presenta già il volto devastato di una guerra mondiale a pezzi, secondo la definizione di Papa Bergoglio: ma soprattutto quello di domani non avrà più molti dei suoi abitanti perdendo anche componenti fondamentali della tradizione culturale, compresa quella millenaria cristiana. Il mondo sunnita, oltre che Israele, è in apprensione per il nuovo ruolo geopolitico che l’Iran sta guadagnandosi nella regione anche in chiave anti-Califfato. Ma forse proprio leader come Erdogan e le monarchie del Golfo dovrebbero interrogarsi sulla scommessa che fecero quattro anni fa di abbattere a ogni costo il regime di Bashar Assad dopo che questi rifiutò dal Golfo un’offerta di centinaia di miliardi di dollari per rompere l’alleanza con Teheran. È questa la partita del caos mediorientale, ai confini dell’Europa, che si gioca Losanna.