il Fatto 4.4.15
Cina
Intrighi e segreti dell’onorevole Zhou
di Cecilia Attanasio Ghezzi
QUELLO A YONGKANG (EX MINISTRO DELLA SICUREZZA, ORA DEFINITO “TRADITORE”) SARÀ IL PROCESSO PER CORRUZIONE PIÙ IMPORTANTE DALLA FONDAZIONE DELLA REPUBBLICA POPOLARE NEL 1949
Pechino Zhou Yongkang, uno degli uomini più potenti della scorsa legislatura, è stato ufficialmente incriminato: corruzione, abuso di potere e divulgazione di segreti di Stato. Il suo, per la Cina, sarà il processo più importante dal 1949, anno di fondazione della Repubblica popolare. È infatti il funzionario di più alto grado mai portato a processo dalla fine della Rivoluzione culturale. Un successo per il presidente che rompe una delle regole non scritte che hanno regolato l’avvicendarsi della leadership cinese dalla morte di Mao: non indagare i propri membri, specie se in pensione. E dal 2012 Zhou Yongkang si era infatti ritirato dalla vita pubblica. Prima sedeva nel Comitato permanente del politburo, i nove uomini alla guida di una nazione di 1,4 milioni di abitanti. Quella di Zhou Yongkang è una figura importante. Ingegnere, classe 1942, si è fatto le ossa e gli “amici giusti” lavorando per oltre trent’anni negli impianti petroliferi di Shengli. Qui ha costruito la carriera politica. Un percorso lungo che lo ha visto direttore di PetroChina, ministro della pubblica sicurezza e segretario di partito della regione del Sichuan. Se a Shengli si era dedicato agli affari, è con la sua carriera politica che si guadagna la fama di avere un pugno di ferro. Contro il Falun Gong o nella regione a maggioranza musulmana dello Xinjiang, intimidisce e reprime. Quando arriva a dirigere il vasto apparato di sicurezza della Repubblica popolare è l’uomo più temuto del paese. Petro-China, nel frattempo è cresciuta: una capitalizzazione pari a 175,61 miliardi di dollari e al controllo del 90 per cento del gas naturale del paese. Al suo vertice, come ai vertici dell’esercito, ci sono i sodali di Zhou Yongkang. Poco si sa delle dinamiche che hanno portato al potere la nuova leadership cinese a novembre del 2012. Quello che è certo è che è stata una guerra senza esclusioni di colpi. Bo Xilai, giovane e carismatico politico che avrebbe potuto rubare la scena all’attuale presidente, viene espulso dal Partito e condannato all’ergastolo.
DURANTE IL PROCESSO, siamo nel settembre 2013, afferma che avrebbe eseguito gli ordini di un’importante agenzia di Stato quando tentò di insabbiare la fuga al consolato americano del suo braccio destro Wang Lijun. L’agenzia in questione era la Central Politics and Law Commission, allora diretta da Zhou Yongkang. Da allora il potente Zhou sparisce dalla circolazione. Si mormora che sia agli arresti domiciliari. Non arriva nessuna conferma ufficiale. Ma neanche una smentita.
Nei 18 mesi che seguono vengono arrestate oltre 300 persone tra suoi parenti e sodali nell’esercito e nelle grandi imprese di stato. Si fa terra bruciata attorno a quello che era l’uomo più temuto di tutta la Cina. Neanche il grande vecchio della politica cinese, l’ex presidente Jiang Zemin, riesce più a proteggerlo. Si calcola che le autorità gli avrebbero già confiscato 14,5 miliardi di dollari. E ieri la corte di Tianjin lo ha finalmente incriminato. È una prova di forza dell’attuale presidente. Sconfiggerò la corruzione ovunque si annidi, sembra comunicare Xi Jinping. Nessuno si senta escluso.