sabato 4 aprile 2015

Corriere 4.4.15
Due bombe per battere il Giappone
Le stragi di Hiroshima e Nagasaki
risponde Sergio Romano


Ritiene che, dopo 70 anni e ricerche storiche approfondite, si evidenzino le responsabilità degli scienziati che consentirono agli Usa di disporre delle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki? Quando Truman le usò, la Germania era sconfitta e Giappone era in ginocchio.
Giovanni Cama

Caro Cama,
Non era questa la percezione del presidente Truman e del gruppo dirigente americano nelle giornate che precedettero il bombardamento di Hiroshima. Il 26 luglio del 1945 Truman, Clement Attlee (il nuovo primo ministro britannico dopo la sconfitta di Churchill nelle recenti elezioni politiche) e il generalissimo cinese Chiang Kai-shek decisero d’indirizzare al governo giapponese la dichiarazione di Potsdam. Nel testo si prometteva che il Giappone sarebbe stato trattato umanamente e che le forze d’occupazione alleate sarebbe state ritirate non appena fossero state restaurate le libertà costituzionali, il Paese avesse rinunciato alla sua potenza militare e un governo «incline alla pace» fosse stato eletto dai suoi cittadini. In caso contrario la distruzione sarebbe stata «prompt and utter», pronta e assoluta. Era un ultimatum, ma redatto in modo da lasciare intendere che la persona e il ruolo dell’imperatore sarebbero stati rispettati.
A Tokyo vi fu una riunione del governo giapponese che durò una intera giornata e si concluse con una dichiarazione in cui il documento di Potsdam era trattato come una inutile ripetizione di posizioni già note. Fu quello il momento in cui si decise che il montaggio della bomba atomica sarebbe stato accelerato. Non appena i responsabili del progetto comunicarono che il lavoro era pressoché compiuto, Truman rispose: «Proposta approvata. Sganciate quando il lavoro è finito, ma non prima del 2 agosto». La conferenza di Potsdam stava per terminare e il presidente americano non voleva che l’operazione avesse luogo mentre i lavori erano in corso.
Non vi fu in quei giorni alcuna discussione sulla «moralità» della bomba. Truman era stato fortemente impressionato, nelle settimane precedenti, da una studio in cui si calcolava il numero delle vittime americane se l’esercito giapponese avesse difeso ogni isola del grande arcipelago con le unghie e coi denti. Ma gli effetti della bomba, quando venne gettata su Hiroshima il 6 agosto, sorprese anche coloro che l’avevano ideata e costruita. Un biografo di Truman, David McCullough, ricorda nel suo libro che Robert Oppenheimer aveva previsto 20.000 morti. Ma le persone immediatamente uccise dalla esplosione furono 80.000 e quelle che morirono nei mesi seguenti circa 50 o 60 mila. Sulla nave che lo riportava negli Stati Uniti, Truman apprese la notizia mentre stava pranzando con alcuni rappresentanti dell’equipaggio. Balzò in piedi e disse: «Abbiamo appena gettato sul Giappone una nuova bomba che è più potente di 20.000 tonnellate di tritolo». Le parole furono accolte con un applauso scrosciante.
I primi interrogativi furono provocati dalla constatazione che l’area di Hiroshima non sarebbe stata abitabile per molti anni. L’Ammiraglio William Leahy, per molto tempo capo di gabinetto di Roosevelt, scrisse: «Le possibilità letali di una tale arma sono terrificanti. Siamo i primi a possederla, ma è certo che in futuro verrà sviluppata da potenziali nemici e che verrà probabilmente usata contro di noi».
Ma su ogni altra considerazione prevalse la speranza che la nuova arma avrebbe permesso all’America di evitare numerosi altri sbarchi di truppe, con perdite molto più elevate di quelle subite in Normandia. Fu questa la ragione per cui, quattro giorni dopo Hiroshima, una seconda bomba fu gettata su Nagasaki dove uccise 70.000 persone. Vi fu a Tokyo un’altra riunione di gabinetto durante la quale alcuni generali sostennero che occorreva attendere l’invasione degli americani per combatterli sul suolo nazionale; ma l’imperatore Hirohito decise di accettare l’ultimatum di Potsdam.
A Stalin, molto genericamente informato da Truman nei giorni precedenti, non piacque naturalmente che gli Stati Uniti avessero un’arma di cui l’Urss era priva. Ma nel frattempo ne approfittò subito per colpire il Giappone invadendo la Manciuria con un milione di uomini. Come Francesco Ferrucci a Gavinara quando, ormai prigioniero, fu colpito dalla spada di Maramaldo, anche il Giappone avrebbe potuto dire a Stalin: «Tu uccidi un uomo morto» .