domenica 19 aprile 2015

Corriere La Lettura 19.4.15
No, i colpi di spugna sono boomerang
di Michele Ainis

Un’amnistia per i corrotti, propone il cinese He Jiahong. Sono troppi, ai loro tribunali servirebbero 40 anni per processarli tutti. E magari qualcuno sta già pensando d’esportare il rimedio anche in Italia. Diciamolo: in queste faccende non prendiamo lezioni dalla Cina.
Di amnistie ce ne intendiamo, in passato ne abbiamo fatto abuso. La prima cadde nel giorno dell’unificazione: 17 marzo 1861. E durante i suoi primi 18 mesi d’esistenza, per svezzare la creatura, il nuovo Stato ne concesse in tutto 27. Perfino il fascismo non lesinava agli italiani il loro perdono quotidiano: in vent’anni gli indulti, le amnistie, le sospensioni della pena toccarono quota 51. Tanto che in un secolo e mezzo ne vennero elargite 333, oltre un paio l’anno. Poi, nel 1992, il Parlamento rese impraticabile la clemenza di Stato, correggendo l’articolo 79 della Carta. Ormai è più facile cambiare la Costituzione che cambiare la fedina penale. Ma non è soltanto questa la ragione che sconsiglia la terapia cinese per i nostri mali. Anzi: le ragioni sono almeno tre.
In primo luogo, l’amnistia può giustificarsi come rimedio politico a un fenomeno politico: fu il caso dell’amnistia decretata da Togliatti il 22 giugno 1946, per raggiungere la pacificazione dopo la guerra civile. Ma nel 2015 la corruzione non è più quella di Tangentopoli. È un malcostume privato, non una pratica illecita per finanziare le spese dei partiti. Secondo: ci serve discontinuità, dobbiamo ammazzare il Gattopardo. L’amnistia, viceversa, lo tonifica. Dopo il 1948 la Costituzione fu osteggiata dai burocrati e dagli alti magistrati sopravvissuti alla farsa dell’epurazione, conclusa con la miseria di 403 sospesi o licenziati. Meglio non ripetere l’errore. Terzo: sarebbe diseducativo. Se l’amnistia servisse, come suggerisce He Jiahong, a concentrare le energie sulla lotta alla corruzione del futuro, procurerebbe l’opposto risultato. Come in Italia è successo dopo ogni condono, sanatoria, tomba fiscale.
Ma dopotutto l’aveva già compreso Jeremy Bentham: «Fate buone leggi, invece di creare una verga magica che abbia il potere di annientarle».