domenica 12 aprile 2015

Corriere La Lettura 12.4.15
L’attrazione di Benjamin per la radio
di Daria Gordisky


«Basterebbe che la radio si rendesse conto di quanto sia improbabile tutto quello che le viene presentato ogni giorno, che considerasse quante sono le cose che non vanno, a iniziare da una tipologia ridicola degli oratori, per migliorare non soltanto il livello della programmazione, ma anche e soprattutto per formare un pubblico realmente preparato e competente. E non c’è nulla che sia più importante di questo». Quando Walter Benjamin scrive queste parole, le trasmissioni radiofoniche sono nate da poco e quelle televisive sono in gestazione: eppure, 85 anni dopo, sono pienamente attuali se si parla di mass media. A cavallo tra gli ultimi anni Venti e i primi Trenta, il filosofo tedesco si occupa molto di radio. Attratto dalle potenzialità del nuovo strumento, Benjamin scrive 80 testi — alcuni andati in onda, altri di teoria — elaborando tecniche e principi innovativi di comunicazione: coinvolgimento dell’ascoltatore, uso della voce, funzione dello speaker. Radio Benjamin (Castelvecchi, traduzione di Nicola Zippel, pp. 120, e 14) raccoglie cinque di questi scritti, compreso Modelli di ascolto, fin qui inedito in italiano. È un libretto breve, ma sufficiente per capire come Walter Benjamin privilegi il ruolo socio-educativo del nuovo mezzo: il sapere può raggiungere un numero enorme di adulti e bambini. E, attraverso un grande lavoro di sperimentazione, Benjamin vuole trasmettere agli ascoltatori conoscenza su temi letterari ( Che cosa leggevano i tedeschi mentre i loro autori classici scrivevano ) e su problemi di vita quotidiana ( Un aumento di stipendio? Ma che vi viene in mente? ). Il suo obiettivo è sempre informare per migliorare. Insomma, una declinazione della pratica ebraica del tikkun ’olam : quella riparazione del mondo che, per compiersi, ha bisogno di istruzione, progresso, giustizia e responsabilità di ciascuno verso tutti. Del resto, come amava ricordare il suo amico Gershom Scholem, Benjamin «sentiva intensamente la sua ebraicità, e per diversi anni si è trastullato con l’idea di trasferirsi in Palestina». Invece, quando Hitler prende il potere, prima fugge alle Baleari, poi a Parigi; da lì prova a cercare rifugio in Spagna. Catturato dalla polizia di frontiera, a 48 anni si toglie la vita per non essere consegnato ai nazisti.