domenica 12 aprile 2015

Corriere La Lettura 12.4.15
Le pubbliche fustigazioni sono di nuovo qui. Online
di Anna Momigliano

Nel 1742, in una colonia puritana del Nordamerica, un’adultera condannata alla fustigazione pubblica scrisse una supplica al giudice: non erano le frustate a spaventarla bensì l’umiliazione di riceverle in pubblico, dunque chiedeva di essere punita in privato. Dagli archivi, non è dato sapere se il giudice abbia accolto la supplica. Sappiamo però che cent’anni dopo l’America avrebbe abolito le fustigazioni pubbliche e che già nel 1787 Benjamin Rush, uno dei padri fondatori della nazione, definì la pratica «un abominio universale, ben peggiore della pena di morte» (a sinistra: una stampa della gogna di Benjamin Keach, prete battista del XVII secolo condannato per aver scritto un catechismo). Oggi però la fustigazione pubblica è tornata in vigore, se non de iure almeno de facto : questa è la tesi di Jon Ronson, giornalista gallese, nel suo nuovo libro So You’ve Been Publicly Shamed , uscito a marzo per Riverhead Books. Ronson paragona la pratica del public shaming , l’umiliazione pubblica su internet, alle fustigazioni pubbliche dei tempi dei puritani. Non si tratta di bullismo gratuito. Spesso, a differenza delle vittime dei bulli, i bersagli del public shaming si sono macchiati di colpe reali: lo scrittore di successo che ha plagiato diversi passaggi di un libro, il politico che ha fatto una battuta razzista... Il desiderio di umiliarli non nasce dal sadismo, bensì dalla morale: «È la democratizzazione della giustizia», scrive Ronson. Troppo spesso, però, la situazione sfugge di mano, e l’umiliazione, amplificata dal web, può distruggere la vita delle persone.