domenica 12 aprile 2015

Corriere La Lettura 12.4.15
La conversione di Lincoln
Da giovane giudicava i neri inferiori In guerra affermò la libertà per tutti
di Tiziano Bonazzi


Abraham Lincoln è un’icona del mito americano di libertà, il Cristo martire rispetto a George Washington, Padre della patria. Un mito in cui gli americani hanno visto se stessi, esaltandolo e anche criticandolo. Una figura, però, molto difficile da penetrare in un periodo che, sottratto ai miti e alle ideologie, offre una lezione sulla complessità e drammaticità della storia.
Uomo della frontiera, senza scolarizzazione, ma autodidatta di genio, il giovane Lincoln crebbe come un pioniere fra Kentucky e Illinois. I pionieri — però — non sono figure romantiche e la frontiera — si sa — non è la culla della libertà americana, bensì una sorta di colonia interna voluta e costruita dalle zone più avanzate dell’Est, con un’agricoltura inserita appena possibile nel mercato e centinaia di cittadine in cui ambiziosi giovani dell’Est o giovanotti locali desiderosi di sfuggire alla vita contadina creano una rete di servizi per la campagna circostante. Lincoln fu uno di questi quando in Illinois si mise a fare, senza alcuna preparazione, l’avvocato e l’uomo politico. Divenne presto un notabile locale. La sua parabola corrisponde alla crescita della nazione nella prima metà dell’Ottocento, vale a dire al progressivo interconnettersi, a causa delle rivoluzioni industriale, religiosa e democratica, delle tante regioni e comunità semiautonome che formavano il patchwork statunitense delle origini, culturalmente legato a un fiero nazionalismo il cui nemico ideologico era la vecchia Europa.
Lincoln, della cui morte ricorre il 15 aprile il centocinquantesimo anniversario (vittima di un attentato la sera del 14, si spense l’indomani mattina), appartiene in pieno a questo quadro. Era un personaggio esuberante, allegro, socievolissimo, ma al tempo stesso depresso al limite del suicidio, vittima del tentativo di sottrarsi al rigido calvinismo dei suoi. Adoratore della Costituzione e della libertà americane, sostenitore di tutte le misure tese al progresso economico, è il prototipo della nascente borghesia e dell’individualismo americani, un individualismo il cui ideale era la capacità di autogoverno etico e di successo pratico.
Al pari di quasi tutti gli americani Lincoln non faceva grande attenzione alla schiavitù, anche se non la amava per ragioni morali. Il dramma storico americano fu che, mentre in Europa l’ideologia della superiorità bianca venne proiettata all’esterno con il colonialismo, negli Stati Uniti si esercitava all’interno, con la schiavitù nera, elemento indispensabile del capitalismo americano nella sua attivissima versione agricola per l’esportazione del Sud, diversa ma parallela a quella industriale e commerciale del Nord. Lo schiavismo aveva la forza di una positiva normalità quotidiana, che lo rendeva invisibile nella sua natura alla maggioranza degli americani, così come quasi impossibile era per un numero ancor maggiore sottrarsi alla cultura che impediva di accettare i neri liberi come propri pari. Lincoln era fra questi ultimi; ma soprattutto, per quanto antischiavista, era un nazionalista e non voleva che la schiavitù diventasse un problema per l’unità americana.
Uniti nel razzismo, gli americani si divisero perché la schiavitù diede vita a due sistemi sociali e culturali opposti. A Nord l’ideologia capitalista del contratto prese il sopravvento e fece apparire la schiavitù un barbarismo arretrato, mentre a Sud era difesa come il modo più corretto per gestire la convivenza fra una razza superiore e una inferiore. Le due sezioni presero a estraniarsi l’una dall’altra e a costruire due diverse forme di nazionalismo, che ciascuna riteneva essere espressione perfetta di quello americano.
Lincoln, benché travagliato a livello personale, viveva senza grandi problemi in questa contraddittoria realtà, fin quando le cose cambiarono negli anni Cinquanta dell’Ottocento. Lo scontro sezionale sull’introduzione o meno della schiavitù nei territori dell’estremo Ovest, non ancora colonizzati, si trasformò in uno scontro sul significato dell’America e della libertà e le due sezioni divennero nemiche, bloccando la crescita della nazione. Il sempre intenso Lincoln, pur nel dolore delle sue lotte interiori, era portato a riflettere intensamente e sua caratteristica era la capacità di modificare il proprio pensiero in rapporto al mutare della realtà. Partito dall’idea che, per far avanzare la libertà americana, l’Ovest dovesse essere riservato ai pionieri bianchi, egli maturò quella che i neri, sebbene inferiori, avevano diritto di guadagnarsi liberamente il pane in quanto l’ideale di libertà contenuto nella Dichiarazione di indipendenza aveva valore universale e la schiavitù lo violava, violando la missione americana.
Divenuto presidente nel 1860, perché i maggiori leader repubblicani si annullarono l’un l’altro, regalandogli la nomination , e perché il Partito democratico si spaccò fra tre candidati, Lincoln dovette subito fronteggiare la secessione e la guerra degli Stati sudisti, convinti del loro legittimo americanismo.
Estremamente semplice, amante della gente comune, convinto di stare compiendo un servizio per il Paese, Lincoln era irremovibile nel portare avanti le proprie decisioni. Come presidente riuscì a dominare un gabinetto che aveva voluto composto da personalità molto forti e diverse. Dopo una serie di insuccessi, fu lui a definire la strategia delle armate nordiste, puntando a distruggere le forze nemiche, cosciente che i sudisti non erano in grado di rimpiazzarle, e a disarticolare la struttura sociale ed economica dei confederati. Le campagne nell’area del Mississippi ebbero questo significato, al pari del proclama di emancipazione degli schiavi del 1° gennaio 1863.
Gli schiavi si «liberavano coi piedi», fuggendo numerosi verso le linee unioniste: il proclama rafforzò questa fuga e cambiò il senso della guerra, da un conflitto per salvaguardare l’unità nazionale a uno per la libertà universale come significato ultimo degli Stati Uniti. L’arruolamento di quasi 200 mila neri e il coraggio da essi dimostrato in battaglia portarono a un’ultima trasformazione di Lincoln, che prese ad apprezzarli e ad avvicinare le loro capacità a quelle dei bianchi, tanto da immaginare un dopoguerra in cui essi avrebbero cominciato a godere dei diritti civili. In questo fu aiutato dalla fede crescente in una Divinità misteriosa che indirizzava la storia (non però un Dio cristiano); fede maturata davanti all’orrore per la strage che la guerra, con i suoi oltre 600 mila morti, stava causando.
Ucciso da un giovane fanatico sudista, Lincoln entrò subito nella leggenda.
La leggenda è a sua volta un fatto storico, ma successivo. La biografia di Lincoln è quella di un politico che visse il fallimento della costruzione nazionale nella prima metà dell’Ottocento e contribuì a riavviarla, rielaborandola e cambiando il senso di una guerra distruttrice. Cosa che fece liberandosi in una durissima lotta con se stesso dal compiacente nazionalismo liberale e progressista in cui era cresciuto.