martedì 7 aprile 2015

Corriere 7.4.15
«A Teheran c’è fiducia in Rouhani Qui nessuno crede più al nucleare»
La scrittrice Mohebali: i conservatori hanno subìto un duro colpo
di Farian Sabahi


«Di ritorno da Losanna, il ministro degli Esteri Zarif è stato accolto da un’esplosione di gioia che non mi aspettavo. Oggi c’è più fiducia nel governo Rouhani, finalmente raccogliamo i frutti del suo impegno in politica estera». Così commenta l’accordo sul nucleare Mahsa Mohebali, autrice del romanzo Non ti preoccupare , pubblicato in persiano poco prima delle proteste dell’onda verde del 2009. Quarantaquattro anni, capelli cortissimi sale e pepe, Mahsa racconta il disagio generazionale anticipando le rivolte represse nel sangue. E infatti «Abbiamo la città in pugno! Nostra è la città e la difenderemo! Costi quel che costi, non ci fermeremo!» diventeranno gli slogan dei giovani. Censurato ma solo all’undicesima edizione, il romanzo si trova facilmente al mercato nero, l’autrice non può pubblicare e firmare sceneggiature ma continua a vivere a Teheran.
Perché ci sono voluti dodici anni di trattative per un accordo?
«A ostacolare i negoziati sono stati i Sepah (le Guardie rivoluzionarie) e le Bonyad-e Mostazafan (le fondazioni religiose) che all’indomani della rivoluzione del 1979 hanno incamerato i beni — mobili e immobili — confiscati. Traggono vantaggio dalle sanzioni, esercitano un potere parallelo allo Stato, non pagano tasse né dazi e fanno affari importando beni di consumo attraverso Paesi terzi. Senza contare i soliti introiti che fanno delle fondazioni entità il cui budget supera quello del governo. Per esempio, la fondazione dell’imam Reza di Mashad fa affari vendendo parcelle di terra nei cimiteri vicino al mausoleo. Parcelle che gli arabi sciiti residenti nelle monarchie sunnite del Golfo pagano a peso d’oro, consapevoli delle persecuzioni nei loro confronti in patria».
Quali sono le aspettative sul fronte interno?
«Proprio perché la questione del nucleare e delle sanzioni si sta risolvendo, la gente si aspetta che la situazione all’interno del Paese migliori al più presto. Se il governo supererà anche questa prova, allora i conservatori subiranno un duro colpo e difficilmente potranno recuperare credibilità».
In che direzione va l’Iran di Rouhani?
«Sta spingendo per garantire maggiori libertà, anche culturali. Com’era successo con il riformatore Khatami, è contrastato dagli ultraconservatori ed è difficile prevedere l’esito di questo confronto».
C’è ancora consenso sul programma nucleare?
«No, la maggior parte degli iraniani è ormai contraria all’energia nucleare e solo una minoranza si illude che possa fare del Paese una grande potenza».
Quali conseguenze hanno avuto le sanzioni?
«La pressione delle sanzioni non ha colpito il governo ma è stata totalmente scaricata sulle classi più deboli. Incuranti della popolazione, i dirigenti della Repubblica islamica hanno investito all’estero, soprattutto in Libano e Siria, con l’illusione di diventare una potenza regionale. Nel frattempo in Iran i poveri sono allo stremo, la classe media si è assottigliata e i ricchi sono ancora più ricchi. Le sanzioni hanno permesso a una piccola élite di arricchirsi con il contrabbando attraverso la Turchia, l’Azerbaigian e gli Emirati Arabi. Questo passaggio attraverso Paesi terzi accresce il costo dei prodotti per il consumatore finale e così i prezzi aumentano, anche a causa dell’inflazione. È vergognoso che un Paese con tanto petrolio ed enormi risorse naturali abbia una popolazione affamata, solo a causa delle politiche sbagliate del governo».
Anche la diaspora è stata colpita dalle sanzioni?
«Sì, l’embargo bancario ha impedito a tante famiglie di inviare denaro ai figli che studiano all’estero».
In Iran i tassi di fertilità sono simili a quelli italiani — meno di due figli a donna. Che cosa pensa della recente proposta di legge per limitare la contraccezione?
«I conservatori vogliono fare dell’Iran la prima potenza del Medio Oriente e per questo hanno bisogno di un grande esercito sciita. Pianificano a lungo termine perché hanno bisogno di giovani da inviare nei Paesi in crisi, pensiamo al Libano e alla Siria. Soldati pronti a combattere e a farsi ammazzare».
Nel suo romanzo, ambientato a Teheran, i giovani non sono interessati alla guerra. Protagonista è Shadi, ossessionata dalla ricerca spasmodica di oppio. Scritto in prima persona, il libro non è piaciuto alla sua famiglia. Perché ha sentito il bisogno di scrivere del consumo di droga?
«Nella Repubblica islamica il consumo di droga non è reato e acquistarla, nelle sue varie declinazioni, costa pochissimo. Sembra che le autorità vogliano renderla accessibile affinché i giovani non pensino ad altro. Ma è assurdo che sia reato consumare alcol ed essere accompagnati da una persona di sesso diverso con cui non si è imparentati, mentre se si viene beccati strafatti non succede nulla».
Il leader Ali Khamenei ha 75 anni, corre voce sia malato di tumore alla prostata. In che direzione potrebbe andare l’Iran dopo di lui?
«Credo siano illazioni e comunque ad essere malata è la Repubblica islamica, poco cambia chi diventerà la prossima Guida suprema. Come afferma Hegel, la storia non è legata ad un solo uomo».