Corriere 5.4.15
Lo scienziato dello sviluppo che spinge la biologia oltre Darwin
Minelli: ecco perché l’evoluzione da sola non può rispondere a tutte le nostre domande
di Massimo Piatteli Palmarini
È la disciplina che completa il neo-darwinismo, si chiama biologia evoluzionistica dello sviluppo (in sigla evo-devo) e, per una volta, l’Europa ha aperto la strada agli studi in questo rivoluzionario settore. Trascinata anche dai lavori e dalla visione di uno scienziato italiano.
Nel 1999 l’editoriale del primo numero di «Evolution and Development» (evoluzione e sviluppo), provando a definire l’evo-devo, parlava di una «strana disciplina... fluida e sintetica». Nel 2005 si tenne il primo convegno europeo, promosso appunto da Alessandro Minelli (Università di Padova), che si svolse a Venezia. Nello stesso anno nacque la European Society for Evolutionary Developmental Biology , in sigla Eed. Duecentocinquanta presenze al successivo congresso, a Praga, e oltre 600 al quinto, quello di Vienna, luglio 2014.
Nelle settimane scorse dagli Stati Uniti è venuto l’annuncio della creazione della società americana di biologia evoluzionistica. «Un programma aperto di collaborazione internazionale che coinvolge anche ricercatori europei. Si preannunciano fruttuose interazioni, soprattutto a beneficio dei ricercatori più giovani» commenta Minelli. Che la sua disciplina la racconta così: «Dagli anni Trenta agli anni Ottanta del secolo scorso biologia evoluzionistica e biologia dello sviluppo sono andate avanti senza scambi significativi. Ma ci sono questioni fondamentali che possono essere affrontate solo su un terreno d’incontro fra queste due tradizioni di ricerca. La selezione naturale “vede” la struttura del corpo dell’animale o della pianta, cioè il fenotipo, ma questa è il risultato di un processo di sviluppo. E lo sviluppo ha le sue leggi: non solo non riesce a produrre centauri, sirene o chimere, ma nemmeno a costruire un centopiedi con un numero pari di paia di zampe, o una giraffa con un collo sostenuto da vertebre in numero maggiore di sette, che è il numero presente negli altri mammiferi. Studiando questi vincoli e, insieme, il loro opposto, cioè le strade che il cambiamento evolutivo può imboccare, possiamo affrontare anche le più vistose transizioni evolutive, come la comparsa di animali che volano, o di piante che producono fiori».
Pensate a un modello di auto: confrontando la versione attuale con quella di dieci anni fa ci interessano le migliorie apportate, non le modifiche al processo di fabbricazione, né gli schemi dei progettisti. Se invece prendiamo due specie animali e confrontiamo la attuale con una lontana progenitrice, le differenze di forme sono visibili ma, dato che in natura non ci sono progettisti (con buona pace dei sostenitori del disegno intelligente) e che il processo di sviluppo, dall’uovo fecondato all’adulto, è opera di processi interni solo modulati dall’ambiente, ci deve interessare come si è evoluto l’intero processo. Infatti, i cultori di evo-devo mettono in guardia contro «l’adulto-centrismo».
Spiega Minelli: «Uno dei limiti della nozione tradizionale di sviluppo è l’eccessiva attenzione per la condizione adulta, che assume il valore di vero e proprio obiettivo da raggiungere. Lo sviluppo sembra essere quella successione di eventi che trasforma un uovo in animale adulto, o un seme in pianta matura. Questa nozione può e dev’essere criticata. Da un lato ci sono processi di sviluppo (e forme di riproduzione) che non passano per l’uovo o il seme. Dall’altro, l’adulto-centrismo introduce in maniera strisciante una sorta di finalismo, l’affermazione di una precisa direzionalità nel cambiamento. Evo-devo sposta l’attenzione dalle dinamiche da cui emerge la sopravvivenza del più adatto verso i processi che portano alla realizzazione (o all’arrivo) del più adatto, e delle altre varianti possibili, e apre la scatola nera in cui erano stati relegati i processi di sviluppo, rivelando in tutta la sua complessità e diversità la corrispondenza fra genotipo e fenotipo. Perciò è compatibile con la visione dell’evoluzione che ci è arrivata, ma fornisce elementi complementari che possono diventare utili a una teoria “estesa” dell’evoluzione. Evo-devo, tuttavia, porta anche a una rivisitazione del modo tradizionale di considerare lo sviluppo. Che non è solo, o necessariamente, la costruzione dell’organismo adulto, e non è ristretto agli aspetti adattativi del cambiamento strutturale di un organismo. In altre parole, anche forme di morfogenesi patologica rientrano nella biologia dello sviluppo».
Del resto, la scoperta della conservazione di intere «bancate» di geni tra noi e il moscerino della frutta è alla base dello studio comparato tra ritardo mentale nell’uomo e mutazioni nel moscerino. La somiglianza, per sequenza, collocazione e funzione, tra i geni corrispondenti nelle due specie consente di seguire le ricadute di mutazioni sulle malformazioni del sistema nervoso e sperimentare nuovi farmaci su moscerini e topi.
Ci piaccia o no, siamo loro parenti. L’evo-devo ci spiegherà come la diversa regolazione di geni simili influisca sullo sviluppo di forme viventi diverse. E pensare che i contemporanei di Darwin si scandalizzavano di essere imparentati con le scimmie.