Corriere 5.4.15
La «via persiana» da Andreotti a Totti Il legame speciale tra l’Italia e l’Iran
di Paolo Conti
«Penso che ora ci siano tutti i presupposti perché si ripeta la grande stagione di rapporti tra l’Italia e l’Iran che vedemmo nel 1998, subito dopo l’elezione del presidente moderato Khatami nel 1997, la visita del presidente Romano Prodi nel 1998 e l’arrivo di Khatami a Roma nel 1999». Ludovico Ortona fu ambasciatore d’Italia a Teheran dal 1995 al 2000, tranne gli otto mesi in cui gli ambasciatori europei tornarono in sede nell’aprile 1997 dopo l’annuncio della sentenza di Berlino sul caso «Mykonos», verdetto che coinvolse i vertici della Repubblica Islamica dell’Iran nell’assassinio di quattro oppositori curdi nel 1992 in Germania.
Ortona conosce molto bene la Repubblica Islamica, soprattutto quella cultura. E oggi, dice, il clima di rapporti privilegiati tra Roma e Teheran potrebbe ripetersi: «L’Italia è sempre stato un Paese molto popolare, in Iran. Gli iraniani hanno una grande memoria storica e non dimenticano che noi rimanemmo molto vicini alla Repubblica Islamica in un momento difficilissimo come la guerra con l’Iraq. Molti scambi commerciali continuarono e i rapporti non si interruppero mai. Oggi quella carta sarà importante nella partita del futuro».
Lo fu anche nel 1998 quando Romano Prodi, primo capo di governo europeo ad atterrare a Teheran dopo la rivoluzione islamica del 1979, riuscì a riaprire il dialogo diplomatico ai massimi livelli, incontrando non solo Khatami ma anche la Guida della Rivoluzione, Alì Khamenei, il successore di Khomeini. Prima di partire Prodi consultò i colleghi dell’Unione Europea e lo stesso presidente Usa, Bill Clinton. E affrontò con chiarezza temi allora roventi, come la fatwa lanciata contro Salman Rushdie.
Da quel momento l’Italia venne considerata dall’Iran l’apripista per l’Europa e per l’Occidente. Anche perché la storia dei legami Italia-Iran è antica, comincia addirittura nel 1862 quando il neonato regno d’Italia firmò un trattato di amicizia con la Persia. Nel secondo dopoguerra i rapporti commerciali con lo Scià si intensificarono, risale al 1977 la visita ufficiale del presidente della Repubblica Giovanni Leone. Poi, col regime degli Ayatollah, una faticosa risalita.
Fu essenziale un certo tipo di diplomazia italiana, non sempre spettacolare e gridata. Per esempio l’arrivo a Teheran nel 1995 di Giulio Andreotti, ai tempi solo senatore a vita, primo tra i politici occidentali a mettere piede in Iran dopo l’embargo proclamato da Clinton. Non per niente l’1 marzo scorso, incontrando a Teheran l’attuale ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, Alì Akbar Velajati (potente ministro degli esteri dal 1981 al 1997 e oggi ascoltato consigliere per gli Affari internazionali di Ali Khamenei) lo ha ricordato: «Italia e Iran hanno un rapporto storico basato su un’amicizia reciproca con grandi politici italiani. Se devo nominarne uno faccio riferimento a Giulio Andreotti». La memoria iraniana, lo ha detto Ludovico Ortona, è lunga e solida. E in Iran ricordano l’aiuto di Andreotti all’Iran nella delicata chiusura della guerra con l’Iraq, in tempi in cui la gran parte del mondo era schierata con Saddam. Più recenti le visite di Emma Bonino nel 2013 (il presidente iraniano Hassan Rohani disse: «L’Italia è la nostra porta verso l’Europa») e quella, appena di marzo, di Paolo Gentiloni, che spiegò come l’accordo sul nucleare avrebbe certamente aperto nuove prospettive alle nostre imprese.
In un settore non ci sarà mai crisi, quello del calcio. La popolarità dei nostri campioni è indiscussa. Nel 2010 Francesco Totti aderì alla campagna contro la condanna a morte di Sakineh Mohammadi Ashtiani (poi liberata nel 2014) e l’impressione tra i giovani di Teheran fu fortissima.