Corriere 4.4.15
«L’inverno è finito, abbiamo vinto»
Selfie e canzoni: primavera a Teheran
All’aeroporto di Teheran il ministro degli Esteri Mohammed Javad Zarif viene accolto come un eroe, si sporge dal tettuccio apribile dell’auto e la gente grida il suo nome: «Zarif, grazie!». Nei video diffusi su Facebook, le braccia sono sollevate in una marea di «V» di vittoria e di pace — e di telefonini. «L’inverno è finito, la primavera è fiorita», canta la folla con una sola voce tra i tricolore della Repubblica Islamica. «Il sole è spuntato come una rosa, e la notte è fuggita via...».
«L’inverno è finito», si legge pure su Twitter. In farsi: «Sar oomad zemestoon». E’ una canzone che si sentiva in strada nel 2009 quando l’«Onda Verde» sfidò invano Ahmadinejad (versi in realtà vecchi di quarant’anni scritti da un poeta comunista anti Scià). Ma oggi per i riformisti è arrivata una vittoria, almeno parziale, spiega Noushin, giornalista di Teheran (un nome falso, non vuole rivelare il suo). «La vittoria può arrivare passo dopo passo. Le riforme sono un processo, non un progetto. Ma dobbiamo stare attenti, perché i radicali hanno abbastanza potere e denaro da cambiare direzione».
Gli iraniani celebrano la fine delle sanzioni. L’accordo si chiuderà solo a fine giugno e c’è chi dice che gli effetti veri si vedranno tra non meno di un anno. Ma questo non frena le sinfonie di clacson all’una del mattino sulla via Vale-e-Asr, né i selfie con Obama — ovvero gli autoritratti davanti allo schermo della tv che ha trasmesso (senza precedenti) il discorso di un presidente americano. «Sì abbiamo festeggiato e stasera si continua», ride Mojgan Ilanlou, documentarista e madre 43enne.
A obiettare pubblicamente sulla bontà dell’accordo sono in pochi. «Abbiamo venduto un cavallo e ci hanno dato in cambio delle redini rotte», tuona Hossein Shariatmadari, il direttore del giornale ultraconservatore Kayhan , cui fa eco un gruppetto di parlamentari. Ma quel che conta è ciò che pensa la Guida Suprema Ali Khamenei, e per capirlo basta ascoltare il sermone del venerdì dell’ayatollah Imami Khashani. «Losanna è stato un successo. Dovremmo congratularci con Zarif. Il mondo finalmente ha accettato che l’Iran abbia un programma nucleare per scopi pacifici», ha detto il religioso conservatore 78enne — sebbene da un podio su cui spiccava la vecchia frase di Khomeini «Calpesteremo l’America».
«Vittoria» è una parola ricorrente. Torna nel discorso del presidente Rouhani, che risponde così alle accuse di «resa» dei conservatori, ma anche alla fiducia che gli hanno dato gli iraniani. «Siamo vincitori perché ora siamo parte del mondo», dice Behrang Alavi. Una terza via, tra la resa e la guerra, è quello che oggi promette Rouhani. «Vogliamo la fine delle sanzioni e delle tensioni sul programma nucleare — ci spiega Mohsen Jeirudi, trentenne— ma non significa che l’Iran sia pronto ad accettare ogni richiesta dell’Occidente. Siamo il Paese più importante del Medio Oriente».
L’inverno è finito, ma la primavera non è priva di dubbi e di amarezze. In piazza non c’è l’Onda verde — «drenata» tra prigioni, processi ed esili — ma solo una canzone che ne è stata il simbolo. I leader Mousavi e Karroubi sono agli arresti domiciliari, mentre per Mohammed Khatami — primo presidente che aprì all’America — ieri era un giorno triste: piange la madre morta mentre a Losanna si arrivava all’intesa.
E’ arrivata non in una data qualunque, ma in occasione di Sizdah-Bedar, l’ultimo giorno nei festeggiamenti del Nuovo Anno persiano. Tradizione vuole che la gente esca di casa per scacciare «la maledizione della siccità» chiedendo la pioggia. «Alla sera si diceva: “La maledizione è passata”», racconta Farahmand Alipour, studente. Oggi si esce in realtà per fare i picnic. Eppure la maledizione delle sanzioni sembra svanita. Per capire se è vero, bisognerà aspettare l’estate.