venerdì 3 aprile 2015

Corriere 3.4.15
L’oratorio dei Filippini
Nel palazzo dalle mille vite l’architettura è una musica
di Lauretta Colonnelli


«Un corpo umano con le braccia aperte, come che abbracci ogni uno che entri». Così il giorno dell’Assunzione del 1640, Francesco Borromini presentò ai padri Filippini la facciata dell’Oratorio appena conclusa. I lavori erano cominciati tre anni prima, quando il grande architetto del Barocco aveva vinto il concorso per costruire, a fianco della chiesa di Santa Maria in Vallicella, il complesso della sede dell’ordine fondato da San Filippo Neri. Borromini era riuscito a rappresentare il gesto accogliente delle braccia aperte introducendo un elemento nuovo nell’architettura dell’epoca: la curvatura della facciata, della quale spiegherà più tardi l’intento allegorico nel suo Opus Architectonicum .
Interamente costruito in mattoncini chiari senza malta, il prospetto stupisce ancora oggi per il ritmo che collega le parti concave e convesse della struttura creando un’unità senza precedenti. Christoph Frommel, nel catalogo che accompagna la mostra di Palazzo Cipolla, avverte nel piano inferiore «il crescendo di un corpo quasi animato che procede dalle paraste concave degli angoli al centro convesso del portale». E Paolo Portoghesi, celebre studioso nel barocco romano, paragona la facciata a una partitura musicale: «Inizia con tono sommesso nel basamento di pietra e gradualmente si arricchisce fino alla densa vibrazione dei frontespizi delle finestre che si fondono con i frammenti discontinui dell’architrave. Dopo la pausa della cornice, che nel suo breve aggetto non riesce a rendere discontinuo il telaio verticale delle lesene, inizia un secondo tempo rasserenato: le finestre trovano respiro, sopra e sotto, nelle pause murarie e l’ordine si distende senza fratture».
Non a caso, nel tour tematico per la città, proposto dalla Fondazione Roma Museo, la visita all’Oratorio è intitolata «La sinfonia dell’Oratorio dei Filippini», riferendosi sia agli oratori in musica, sia a questa facciata che ne ripropone l’andamento. Se infatti il prospetto è aperto allo sguardo di chiunque si trovi a passare per Corso Vittorio Emanuele II, l’interno del complesso è in parte precluso al pubblico, e proprio questa parte verrà aperta per il tempo dell’esposizione a Palazzo Cipolla.
Per concludere i lavori dell’Oratorio e del convento, Borromini impiegò altri nove anni. Nell’Oratorio si entra da piazza della Chiesa Nuova (ex Santa Maria in Vallicella) ma questo ingresso è chiuso da anni per i lavori di restauro. L’ambiente sarà quindi visibile dalla loggia dei cardinali, che fronteggia dall’alto la loggia dei musici, con l’organo, sopra l’altare. Come si svolgessero qui gli oratori in musica, lo racconta il cavalier Gaetano Moroni, primo aiutante di camera di papa Gregorio XVI, nel suo Dizionario di erudizione storico ecclesiastica , del 1843: «Alle ore 24 comincia l’orazione; alla mezza si cantano coll’organo dai musici le litanie lauretane, colla Salve Regina, e vi si aggiungono alcune preci. Queste finite, ascende sulla cattedra un giovinetto di tenera età, ed appartenente allo stesso oratorio e fa un sermoncino analogo al giorno della corrente festa, imparato a memoria. Quindi ha principio la musica dell’oratorio colla sua sinfonia. La funzione suole terminare circa le tre di notte, dandosene il segno col suono della campana».
Oggi si attraversano le sale della Casa dei Filippini dalle cui finestre si intravede la sequenza dei cortili e la stesura continua dei loggiati, una composizione orchestrata sui due diversi toni: quello aulico degli ambienti collettivi e quello dimesso delle stanze destinate alla residenza degli oratoriani. Si intravede anche il suggestivo giardino degli aranci, che ora appartiene all’area riservata alla Casa delle Letterature. Bellissima la Sala Borromini, con il camino monumentale scolpito in forma di antica tenda romana e ricavato da un unico blocco di marmo. Gli ambienti sono occupati dagli archivi capitolini.
Il complesso divenne proprietà del Comune nel 1911. Requisito dallo Stato dopo il 1870, era stato per trent’anni sede dei tribunali. Sotto le volte di Borromini risuonarono le arringhe di processi famosi, da quello per corruzione della Banca Romana a quello per truffa contro l’editore Sommaruga. Fino ai processi passionali per donne celebri uccise dagli amanti, come la Contessa Lara e la nobile palermitana Giulia Trigona.