venerdì 3 aprile 2015

il Fatto 3.4.15
La Via Crucis dei cappucci neri
di Fabrizio d’Esposito

PIANO DI SORRENTO, LA PROCESSIONE NOTTURNA DELLA CONFRATERNITA DELLA MORTE: FRUSTE UNCINATE, TAMBURI, “MISERERE” E CHOPIN

Il “sacco” nero, la veste con cappuccio, è la Sindone del Venerdì Santo. Tutto è buio e silenzio e vuoto da riempire con passi cadenzati. I cerimonieri accendono gli stoppini dei “lampioni”, che pendono obliqui dalle mani degli incappucciati. Sono le tre di notte, tra giovedì e venerdì. Mille confratelli sono incolonnati in file di tre o quattro. Danno le spalle all’altare maggiore e premono verso l’uscita. Le grandi porte di bronzo sono ancora serrate. La basilica del santo patrono, Michele arcangelo guerriero, è di traverso sulla strada per il mare. Piano di Sorrento, nella costiera delle sirene di Ulisse. Da cinque secoli questa è una notte senza tempo, di generazione in generazione. I cappucci neri hanno la punta piegata, non rigida verso il cielo, e in petto è cucito lo stemma dell’Arconfraternita della Morte e Orazione. Sono un anticipo di morte, icappucci. Nessuno riconosce nessuno. Anche la Vergine è vestita di nero e stringe tra le mani un fazzoletto bianco, voto di speranza e di dolore di un anonimo donatore. La Mater Dolorosa oscilla sulle spalle di quattro portanti. Va in cerca del Figlio tradito e torturato, che ancora piange sangue sulle pietre nel Getsèmani, il podere tra gli ulivi dove Giuda baciò il Cristo. “Ulivo, calice e pietre”, questa la prima fila dei “martìri”, con l’accento sulla prima “i”. Simboli del tragitto tra la Passione e la Croce. Le file dei “martìri” sono il midollo della processione, al centro del corteo dopo i labari e gli stendardi di apertura. Sono le tre e un quarto. La cerimonia d’uscita è finita. Il priore, Michele Gargiulo, primo cerimoniere, apre le porte di bronzo.
La “disciplina fune”, quella “pelle” e il gallo impagliato
Gesù fu torturato nel pretorio, legato a una colonna. Pietro lo rinnegò tre volte prima che il gallo cantasse due volte. Il gallo in processione un tempo era vivo e stordito con il vino, perché se ne stesse buono. Adesso è impagliato ed è tra le braccia di un incappucciato. Poi c’è la fila dell’insegna romana, Spqr, perché fu crocifisso sotto Ponzio Pilato. A fianco, gli “scurriali”, le fruste con uncini di ferro, e dietro “disciplina fune” e “disciplina pelle”, strumenti dei soldati di Roma. Un confratello grande e grosso arranca con la colonna, che preme sulla pancia. “Ecco l’uomo” sibilò Ponzio Pilato e l’Ecce homo è altra statua che celebra la regalità come sberleffo estremo. Corona di spine, una canna per scettro, la veste rosso porpora. La statua è un busto di gesso, allacciato al collo dell’incappucciato. Si danno il cambio in tre, ogni cinquecento metri. Il governatore dell’impero cadde nel dubbio e se ne lavò le mani, davanti al sinedrio riunito impaziente. Brocca, per l’acqua, e tovaglia, per asciugarsi: è l’ultima fila di “martìri” prima del Golgota, il luogo del Cranio dove fu infilata la Croce. Inizia la via dolorosa, la via Crucis. Il panno della Veronica, con il volto di Cristo impresso, e il “tronco a spalla”. Tutto è pronto: “titulus” (“questo è il re dei giudei”), martello e chiodi, i dadi per spartirsi la veste, l’aceto per l’ultima sete. Gesù fu inchiodato sulla croce alle nove del mattino di venerdì e spirò alle tre del pomeriggio, ma fu buio nel cielo già a mezzogiorno.
Nella notte tra giovedì e venerdì, prima di Pasqua, l’Addolorata fa sosta in tre chiese, numero dispari. Il priore batte due volte il bastone del governo, sormontato da un teschio con le ossa incrociate, e gli incensieri spargono odore e fumo in onore del “sepolcro”, l’altare con le piantine di grano dove si vegliano il corpo e il sangue dell’ultima cena di Gesù. Metà corteo è la valanga nera del “Miserere”, il coro di voci bianche e “bassi” maturi, tutti maschi, che intona in latino il salmo di Davide, re adultero dell’Antico Testamento che chiese perdono all’Assoluto: “Pietà di me o Dio, secondo la tua grande misericordia”. Il cammino nella notte non deve vedere il sorgere del sole, come tradizione. Si rientra in basilica alle cinque e mezza, col buio. La pioggia impone deviazioni ogni due, tre lustri. Labari, stendardi, tamburi, lampioni e “martìri” vengono riposti per poche ore. Alle otto e mezza di sera si esce per la seconda e ultima volta. È la processione nera del Cristo Morto e sulla “pandetta”, il foglio con l’inquadramento del corteo, c’è posto per le “autorità civili” e i carabinieri coi pennacchi dell’alta uniforme che scortano Gesù deposto. Stavolta, la Madre Addolorata scende da un’altra chiesa e incontra il Figlio sul sagrato di San Michele. La banda musicale suona la marcia funebre di Chopin. Il “ritiro” è alle undici e il priore congeda i confratelli: “Anche quest’anno abbiamo fatto Venerdì Santo”. L’Arciconfraternita della Morte e Orazione di Piano di Sorrento nacque nel Medioevo ed ebbe la patente di aggregazione dalla compagnia madre di via Giulia a Roma. La
Primaria romana fu fondata nel 1538. Dallo Statuto stampato nel 1590 “appresso Paolo Blado Impressore Camerale”: “Nell’Anno del Signore 1538, alcuni devoti Christiani vedendo che molti poveri, li quali o per la loro povertà, o vero per la lontananza del luogo dove morivano, il più delle volte non erano sepolti in luogo sacro, o vero restavano senza sepoltura, e forse cibo de animali, mossi da zelo di Carità e pietà istituirno una Compagnia sotto il titolo della Morte”.
Il sacco di tela e la pietà per i condannati
Anche “l’habito che devono portare i fratelli” fu sancito per norma statutaria: “Ordinamo che debbano vestire di sacco di tela nera semplice e senza alcuno lavoro con le mani che larghe alla bocca, cinti con il cordone di filo nero, non di seta, con i nodi simili a quelli dell’ordine di san Francesco. Porteranno anche nella spalla sinistra verso il petto il nostro solito segno cioè la nostra croce sopra la Testa di Morte co’ due ossa sopra i Monti co’ l’horologgi, e attorno vi sia scritto Archiconfraternitas Mortis e Orationis”. I neri “confortavano” anche i condannati a morte. A Roma, oltre la compagnia della Morte, sono censite altre 77 confraternite, tutte di laici.