Corriere 3.4.15
L’ex Sinistra giovanile che guida la minoranza pd
Manca un leader. Nel gruppo più corposo Speranza, Stumpo, Campana e Amendola
di Tommaso Labate
ROMA A Rosy Bindi sarebbero rimasti cinque o sei eletti, tra cui Margherita Miotto e Franco Monaco. A Pippo Civati forse qualcuno in più, e tra questi la prodiana Sandra Zampa. Pier Luigi Bersani conserva una sua grande forza simbolica alla Camera e ha il grosso della truppa dei «bersaniani doc» al Senato, nell’ordine di quella ventina che non ha votato a favore dell’Italicum, sotto la regia di Maurizio Migliavacca. Sono le cifre di uno dei tanti report sulla geografia politica del Pd che periodicamente finiscono sulla scrivania di Matteo Renzi. E che gli uomini macchina del renzismo aggiornano periodicamente. Attribuendo per esempio a Massimo D’Alema, già dalla fine del 2014, «zero deputati e zero senatori». La fine, insomma, di quella corrente di cui ai bei tempi anche D’Alema, al grido di «non esistono i dalemiani», smentiva l’esistenza.
Nelle ultime settimane, infatti, s’è fatta evidente quella mutazione genetica della minoranza del Pd che in gran parte viene dalla tradizione Pci-Pds-Ds. Con tanto di ricambio generazionale. Dei 115/120 deputati che alla Camera non sono né renziani né giovani turchi, ce ne sono 20 che sono stabilmente ascritti all’area Cuperlo (da Barbara Pollastrini a Paolo Fontanelli, passando per Sesa Amici). E il grosso, epurato dai «lupi solitari» (Francesco Boccia, Alfredo D’Attorre, Stefano Fassina), è finito nell’«Area riformista» guidata dal capogruppo Roberto Speranza.
Sono questi ultimi, per adesso, a rappresentare il pacchetto di mischia più corposo nel vasto arcipelago della minoranza del Pd. Oltre a Speranza, ci sono un ministro (Maurizio Martina), due componenti della segreteria di Renzi (Enzo Amendola e Micaela Campana) e due veterani del calibro di Guglielmo Epifani e Cesare Damiano. In tutto sono 85, unità più, unità meno.
«Nessuno di noi dirà mai una parola contro D’Alema o smentirà pubblicamente Bersani, visto che siamo qui grazie a loro» raccontano alcuni prima di rivendicare che «adesso ci muoviamo in autonomia». La loro posizione sull’Italicum, praticabile o meno che sia, è quella di pressare Renzi affinché cambi il testo e accetti una nuova prova al Senato. Un po’ come successe col Jobs act, di cui il premier accettò modifiche che di primo acchito aveva escluso.
Se provate a chiedere «chi comanda nella minoranza Pd?», molti di Area riformista risponderanno che «comanda la Sinistra giovanile». E cioè l’organizzazione dei giovani Pds-Ds che mandò in pensione la Federazione dei giovani comunisti (Fgci) quando finì la storia del Pci. Speranza ne è stato uno degli ultimi presidenti. Nico Stumpo e Matteo Mauri, altri due big della minoranza riformista, si sono alternati all’Organizzazione. E lo stesso si può dire di Enzo Amendola, che è stato il responsabile Esteri, e di Micaela Campana, già membro del Consiglio nazionale degli universitari. Una rete che, seppur all’opposizione interna, riesce a dialogare con Renzi. Come dimostra il fatto che proprio Renzi abbia scelto «una di loro» prima come ministro degli Esteri, poi come commissario europeo. Trattasi di Federica Mogherini, altro contraente di un «patto politico» che dura da vent’anni. E che oggi ha sottratto a D’Alema e Bersani il controllo della minoranza .