venerdì 3 aprile 2015

il Fatto 3.4.15
Spaccature
Pd, l’eredità cattolica tradita
di Marco Politi


Nello scontro interno al Partito democratico – scontro riguardante la visione della struttura costituzionale del Paese e non riflesso di classiche fibrillazioni tra maggioranza e minoranza – l’attenzione dell’opinione pubblica è sul duello tra Renzi e gli eredi del Pci. Ma un altro conflitto cruento si sta svolgendo in seno alla corrente cattolica del partito. Armati su opposte sponde stanno esponenti, che provengono tutti dall’Azione cattolica, a suo tempo uniti nell’abbracciare la prospettiva dell’Ulivo come casa del riformismo socialista, del cattolicesimo democratico e sociale e del riformismo laico.
ATTORI sono da un lato il senatore Giorgio Tonini, già presidente della Fuci e membro della presidenza dell’Azione cattolica, renzista senza se e senza ma, e dall’altro Franco Monaco, già senatore e ed ex presidente dell’Azione cattolica milanese al tempo del cardinale Martini, nonché Rosi Bindi un tempo vicepresidente dei Giovani di Azione cattolica. Lo sfondo culturale di partenza – per capirci – è il medesimo patrimonio di cattolicesimo ispirato a Paolo VI, Aldo Moro e Giuseppe Lazza-ti, il cattolicesimo politico della “mediazione” e dell’analisi attenta della società italiana sotto l’angolo di una visione del bene comune orientato secondo la dottrina sociale della Chiesa.
Il casus belli è l’opposizione all’Italicum di Rosi Bindi e Franco Monaco e i loro dubbi sulla riforma sbilenca del Senato. In questo scenario Giorgio Tonini parte lancia in resta contro i due e quello che colpisce è l’uso da parte dell’ex presidente della Fuci di una terminologia ripetuta alla nausea nell’ultimo ventennio dagli alfieri del berlusconismo. I due oppositori cattolici obiettano all’idea del “partito della nazione” pigliatutto, in grado con il premio truffa di maggioranza (inconcepibile nelle democrazie occidentali come Usa, Francia, Germania e Gran Bretagna) di essere padrone del parlamento, dell’elezione del Capo dello stato e della selezione del Consiglio superiore della magistratura. E Tonini li accusa di “sacro furore moralista… un moralismo senza intelligenza”.
Bindi e Monaco sono messi alla gogna perché il loro bipolarismo sarebbe ispirato ad una concezione di “guerra civile fredda, tra fazioni irriducibilmente incompatibili tra loro”. Giuliano Ferrara non potrebbe dire di meglio. D’altronde la svalutazione costante delle anomalie del regime berlusconiano è un cavallo di battaglia di Renzi, che le ha declassate a oggetto di “derby ideologico”. La balla della cosiddetta guerra civile è tipica di chi non ha voluto vedere lo scardinamento grave, che il berlusconismo ha inferto al sistema giuridico ed elettorale italiano a meri fini di tutela degli “interessi del padrone”. È quello che hanno capito subito i cattolici democratici (insieme a cittadini di ogni colore, fedeli alla Costituzione), è quello che – con ritardo – ha capito anche la Chiesa italiana, che oggi invita a non festeggiare nessuna impropria assoluzione di Berlusconi.
Ma i fautori del renzismo considerano colpa grave la memoria del governo malo di Berlusconi. Colpisce che un ex dirigente dell’Azione cattolica, che ha avuto tra i suoi presidente uomini come Bachelet e Monticone, abbandoni all’oblio ogni radice culturale e usi con disprezzo la parola “moralismo”. Ma non stupisce. Perché il renzismo, vincolato all’esaltazione della “nuovo” a prescindere e delle riforme senza controllo di qualità, ha assolutamente bisogno di fare tabula rasa di ogni tradizione culturale, di ogni riferimento a valori confrontabili. Il pensiero costituzionale liberaldemocratico? Gufi e “professoroni”. La cultura democratico-sociale? Roba da gettoni telefonici. Il patrimonio civile cattolico? Da mettere sotto il tappeto.
Sbaglia chi definisce Renzi un democristiano. Renzi è totalmente post-democristiano. Renzi è credente, ma il suo cattolicesimo è senza radici e senza richiami. La conseguenza è che quanti si schierano con lui non possono più avere né padri né tavole di comandamenti. Franco Monaco e Rosi Bindi pongono la questione di un partito minestrone di centro, che soffoca l’alternanza? Il problema di una “democrazia più povera nelle garanzie istituzionali e nel pluralismo politico”? L’allarme per una gestione cinica e arrogante del Pd (dice la Bindi)? Vanno scomunicati.