martedì 28 aprile 2015

Corriere 28.4.15
Libertà come equilibrio di poteri La scienza militante di Sartori
Una voce critica verso le facili suggestioni della democrazia diretta
di Stefano Passigli


N e i loro contributi a questo volume in onore di Giovanni Sartori molti degli autori fanno riferimento al grande valore innovativo della sua opera, sottolineandone il ruolo nello sviluppo della scienza politica. Ma anche se tutti sono abituati a considerarlo come il politologo per eccellenza, Sartori iniziò il proprio percorso scientifico con una riflessione di filosofia politica di cui sono testimonianza i suoi scritti su Croce. Sarà infatti solo con il suo fondamentale volume Democrazia e definizioni , apparso nel 1957, che, abbandonando una prospettiva essenzialmente filosofica, egli si orienterà verso una scienza analitica che ne stabilirà immediatamente l’autorevolezza scientifica a livello internazionale. Dedicato all’esame di modelli alternativi di democrazia, lo studio di Sartori compie peraltro anche una decisa scelta prescrittiva a favore della democrazia rappresentativa. La sua critica alla democrazia diretta è radicale: possibile forse nella antica polis , la democrazia diretta e gli istituti che ad essa si ispirano, come il referendum, sono visti da Sartori come oggetto di possibile manipolazione da parte di minoranze che chiamano la maggioranza ad esprimersi su alternative predefinite dal loro attivismo («sì» o «no») senza possibilità di mediazioni. Sartori teorizza invece una «democrazia competitiva», in cui il ruolo della maggioranza non è quello di pronunciarsi una tantum solo il giorno delle elezioni, o su di un quesito referendario definito da una minoranza, ma quello di scegliere nel momento elettorale tra minoranze in competizione, e di controllare attraverso i propri rappresentanti l’esercizio del potere di governo da parte della minoranza prescelta in sede elettorale.
Permane fondamentale in Sartori, in una visione classica del costituzionalismo liberale, la centralità della separazione dei poteri, vista come fondamento di quella «libertà da» precondizione di qualsiasi «libertà di». Ne consegue che per Sartori non vi possono essere diritti sociali senza la previa garanzia del rispetto dei fondamentali diritti civili e politici. Il che costituisce l’essenza di una visione classicamente «liberale» quale è appunto quella di Sartori.
Altra conseguenza che discende da una visione della democrazia ove alla maggioranza sia affidato il ruolo di scegliere tra minoranze in competizione, è che la maggioranza non entra in gioco solo il giorno delle elezioni, ma partecipa ai processi decisionali in maniera continuativa attraverso il sistema dei partiti e degli interessi, e le relative rappresentanze parlamentari, nonché attraverso un sistema dell’informazione in grado di assicurare il libero formarsi di una opinione pubblica indipendente. È in questa visione che affondano le radici del rifiuto di Sartori della «democrazia di investitura», della teoria cioè che chi è stato «unto» dal voto popolare può essere sostituito solo da nuove elezioni, con ciò riconoscendo quale unica fonte di legittimazione il voto e ponendo in discussione la legittimità di poteri basati su fonti di legittimazione alternative, come ad esempio la magistratura.
Naturalmente, per funzionare bene la democrazia rappresentativa postula un corretto rapporto eletti-elettori, che garantisca a questi ultimi un controllo continuativo sull’operato dei primi. Sartori conosce bene il valore del divieto di mandato imperativo quale principio fondante della rappresentanza politica; ma Sartori conosce altrettanto bene l’importanza della pubblica opinione, e quindi di un sistema dell’informazione pluralistico e non manipolato quale garanzia del libero formarsi del consenso politico e quale strumento di controllo degli elettori sull’operato degli eletti. La necessità di conciliare questi due aspetti essenziali della democrazia porta Sartori a volgere i suoi interessi verso i partiti e le leggi elettorali, quali indispensabili strumenti di raccordo tra gli elettori e le istituzioni, e infine a rivolgere l’attenzione alle distorsioni introdotte nel processo democratico dall’avvento dei media televisivi e dall’insorgere del conflitto di interessi.
È il momento in cui il confronto quotidiano con la realtà del sistema politico italiano accelera in Sartori il convincimento che la scienza politica, pur dovendosi mantenere estranea a suggestioni prescrittive, sia però una scienza intrinsecamente applicativa, che può indicare gli strumenti necessari a conseguire gli obiettivi perseguiti, e che — in presenza di crisi di sistema — essa possa, anzi debba, dar vita ad una vera e propria ingegneria istituzionale. È questa preoccupazione per la crescente crisi della democrazia rappresentativa, e per il sempre più marcato disincanto della pubblica opinione nei suoi confronti, che porta Sartori ad esplorare i fenomeni che incidono sulla sua progressiva trasformazione, primo fra questi la «videocrazia», e che indebolendo partiti, gruppi di interesse, e tutti gli istituti di mediazione tra il singolo cittadino e le istituzioni, accelerano la personalizzazione della politica e il concentrarsi del potere in leader singoli, con il rischio di un progressivo venir meno di quella separazione (ed equilibrio) tra poteri da sempre considerata da Sartori come indispensabile requisito di un sistema che voglia dirsi democratico.
Naturale dunque che in questa fase si faccia dominante, rispetto ai suoi interessi teorici, l’attenzione di Sartori per il caso italiano. Nei suoi interventi sul «Corriere della Sera», egli si dedica perciò a fenomeni quali il conflitto di interessi; le trasformazioni surrettizie della forma di governo generate da innovazioni quali il nome del candidato premier sulla scheda elettorale; il crescente contrasto tra politica e magistratura alimentato dalle «leggi ad personam »; la mancata esecuzione delle sentenze della Corte costituzionale in materia di sistema radiotelevisivo; e così via. In questi interventi Sartori ribadisce costantemente la sua fiducia in una visione classica della democrazia rappresentativa, e nei suoi strumenti di partecipazione, primo tra tutti il partito politico, vedendo però il superamento del modello del partito di massa e lo scivolamento verso il partito personale, strumento di mobilitazione a servizio del leader.
Militante, dunque, in questi ultimi anni, ma nel profondo sempre scienziato. Nessuna contraddizione: se la scienza politica è scienza applicativa, nei momenti di crisi sistemica essa non può non essere impegnata. La lezione di Sartori, al di là dei grandi portati di sostanza, è dunque innanzitutto una lezione di grande rigore e di estrema indipendenza e coerenza scientifica .