sabato 18 aprile 2015

Corriere 18.4.15
La Bibbia, Sofocle, Rimbaud: i libri che mi hanno cambiato la vita
di Guido Ceronetti


Nulla può fare più felice uno scrittore, ma anche un pittore, un drammaturgo, del richiedergli dei libri che gli hanno cambiato la vita. Lo ha fatto di recente «la Lettura», il supplemento domenicale del Corriere, con alcuni noti intellettuali interpellati, e questa bella idea mi stimola a non mancare di rispondere anch’io. In un certo senso, ogni libro letto con passione, non professionalmente, ci cambia la vita, sta scritto nel nostro destino. Non sono stato un divoratore di libri, e in questa mia vecchiaia di tormenti leggerò per intero due o tre libri all’anno: ma sono stato un sicuro predestinato a trovare libri da cambiare la vita, e ne ho tratto, come da un amore passionale, tutto il meglio, il profitto, che ho potuto.
Ecco, un giorno ancora di coprifuoco, mi pare, a Torino, sotto i portici di Porta Nuova, un chioschetto con le ruote, «Casa della Bibbia» vendeva esclusivamente Bibbie. Il guardiano era un signore in nero (mi disse poi di chiamarsi Artuffo, dunque non veniva da Ginevra) che a chiunque là davanti rallentasse il passo rivolgeva cortese la domanda: «Le interessa la Bibbia, signore?». Valeva la pena fermarsi, perché lo sconosciuto libro, dalle chiese, era bandito. (Ci volle la rivoluzione di papa Giovanni XXIII perché ai fedeli ne fosse permessa, e perfino raccomandata, la lettura). Quella che presi a sfogliare, sotto l’occhio benevolo e incoraggiante di Artuffo, era il testo in uso nelle valli e nei templi Valdesi, tradotto dal Liuzzi, non so in che anno, in un italiano un po’ meno peggiore di quello dell’esule Giovanni Diodati, abbominevole seicentesco, fortunatamente rimasto inuguagliato. Di un capitoletto di poche pagine, L’Ecclesiaste , i primi versetti, sulla vanità di tutto, mi fermarono. Era fatta: il libro predestinato a cambiarmi la vita, mi aveva gettato la rete addosso.
Tradurre è leggere. Di quei dodici capitoli del rotolo canonico esiste tuttora, tra i miei manoscritti alla Biblioteca Cantonale di Lugano, la mia prima versione interlineare del 1956. Nel tempo credo di aver messo in musicali e scabri versetti italiani una quindicina di versioni e revisioni, in primo luogo restituendo il testo al suono originale: Qohélet . Tra i due editori principali del rotolo ( meghillà Qohélet ), Einaudi e Adelphi, non se ne contano, fino ad oggi, le ristampe. L’editore in caratteri a mano Tallone, che fece un suo Qohélet parecchi anni fa, lo rivorrebbe per le sue meravigliose edizioni, con le mie ultime correzioni dopo l’ultima Adelphi, ritenuta definitiva. Mi ha scelto e mi si è attaccata quella parola di verità che non adula nessuno.
A farmi cambiare vita da un libro, senza mai rigettare i successivi cambiamenti, sono sempre stato docilissimo. In un certo senso, lo stiamo sempre aspettando il libro che venga e porti, ad una incessante fame di luce, più luce. Anche adesso, che gli anni mi stanno flagellando con malignità sadica, aspetto che dalla finestra spalancata da un colpo di vento mi caschi in mano il libro che mi svagini da ogni tenebra e mondo.
Tutti i libri che mi hanno cambiato la vita hanno autori da eterno debito. Il Dio biblico, veterotestamentario o cristiano, non mi ha persuaso, eccetto che per vie gnostiche ininterrottamente percorribili, ma anche a me, come a Giulio Giorello o Leonardo Sciascia, l’ispida Ethica di Spinoza, più o meno dall’epoca dell’incontro con la Bibbia di Artuffo, ha cambiato la vita. Poi è stata la volta di non lasciare mai più Les fleurs du Mal , i versi di Rimbaud, la filosofia di Schopenhauer, il Medioevo di Villon, l’energia unica dei Canti di Lautréamont, i versi infallibili di Sofocle... Spesso bastano, di un libro, poche righe in cui è accesa una lampada. Vorrei mi fosse dato di essere fino in fondo rischiarato, nel punto finale («Il varco è qui?») dalla beatitudine di istruzione che impartisce ad Argiuna il divino auriga della Bhâgavad-Gita.