mercoledì 15 aprile 2015

Corriere 15.4.15
Quell’idea relativa di legalità
Così la tolleranza su De Luca ha distrutto il Pd campano
di Marco Demarco


Sarebbe stato comodo, per Renzi, continuare a vedere il Pd campano da una certa distanza di sicurezza, così come ha fatto fino a quando ha potuto, fino a quando non è andato a sbattere contro il muro dell’inevitabilità. Magari gli fosse stato possibile guardare Napoli con la stessa ottica scelta da Antonio Pascale per la sua recente «controguida» alla città. E cioè dall’alto, dalle terrazze di Castel Sant’Elmo, dove ripararono i soccombenti rivoluzionari del 1799, o comunque da lontano quanto basta per escludere alla vista i particolari scomodi. E invece, Renzi sabato sarà a Pompei, a visitare gli scavi a cui si sta dedicando il ministro Franceschini, e poi nella vicina Ercolano, dove a due passi dall’ingresso della città antica c’è — tu guarda! — il circolo del Pd, un tempo sezione Pci dedicata al protorottamatore Lenin.
L’inevitabile è qui. Ma quella di Ercolano è solo una delle tante «situazioni specifiche» a cui allude il vicesegretario Lorenzo Guerini, quando invita a tenere distinte le bassezze territoriali del Pd dalle sorti magnifiche e progressive del renzismo nazionale. In realtà, la Campania è per Renzi ciò che la Puglia è per Berlusconi: una regione incasinata, con tutti contro tutti, e con un micronotabiliato scatenato, rancoroso, vendicativo, che in assenza di autorevolezza centrale agisce in regime di autosufficienza politica. Allo stesso modo, il salentino e irriducibile Fitto è l’equivalente del salernitano De Luca.
In Campania, Renzi ha lasciato che De Luca, condannato in primo grado, si candidasse (vincendo) alle primarie regionali campane, pur essendo limitato dalla legge Severino e votato alla sospensione in caso di vittoria finale. Da qui tutto il resto. Tutto il resto tranne ciò che a De Luca non è in alcun modo attribuibile, e cioè il terremoto ischitano, l’arresto del sindaco Ferrandino, il partito sconvolto per le accuse di corruzione nell’inchiesta sulla metanizzazione dell’isola e per gli scambi ipotizzati tra appalti alle cooperative e favori personali e familiari. Ma a parte questo, le altre «situazioni specifiche» hanno tutte a che fare, direttamente o indirettamente, col deluchismo che Renzi ha avallato, cioè con quell’autosufficienza che si esplica attraverso l’uso spregiudicato del potere e un’idea relativistica della legalità. Ciò che ne è seguito, allora, non è il caso che frana all’improvviso. Ma l’inevitabilità che si fa muro. Muro contro cui non si può non sbattere.
A Ercolano, il candidato sindaco voluto dal Nazareno, l’avvocato Ciro Buonajuto, amico del ministro Boschi e appoggiato dall’europarlamentare Pina Picierno, ha provocato, per reazione, la rivolta «autonomista» del circolo Pd con conseguente candidatura alternativa di Antonio Liberti, commercialista. Quest’ultimo è sostenuto dal sindaco e dal vice sindaco uscenti, entrambi tagliati fuori da un’inchiesta giudiziaria. La loro argomentazione chiave è questa: ma come, noi già «condannati» pur non essendolo, e De Luca, che di fatto lo è, in campo per la Regione?
A Pomigliano, l’ex sindaco Michele Caiazzo ha vinto le primarie comunali per soli tre voti. Subito è arrivata la censura del segretario provinciale Venanzio Carpentieri, che invece nulla ha detto contro i rivoltosi di Ercolano. Prevedibile la replica dei locali: ma come, a Ercolano si rispettata l’autonomia del territorio e qui no?
A Giugliano, terza città della Campania, il vincitore delle primarie, Antonio Poziello, proprio ieri è stato rinviato a giudizio (l’accusa è di associazione per delinquere e tentata truffa su contributi pubblici) e naturalmente anche lui fa pesare il fatto che una condanna sulle spalle (come De Luca) ancora non ce l’ha.
E poi ci sono i casi dei sindaci che (De Luca docet, ancora) le leggi le girano e le rigirano come gli pare. Una norma regionale vieta a quelli in carica di candidarsi al consiglio regionale. E allora cosa fanno i primi cittadini? Si procurano la decadenza, così possono candidarsi senza far sciogliere i consigli comunali passando il testimone ai loro vice. Franco Alfieri, sindaco di Agropoli, è decaduto per essere entrato di proposito in conflitto con l’amministrazione: ha contestato una multa di 41 euro per divieto di sosta. Lo stesso ha fatto Pino Capasso, sindaco di San Sebastiano al Vesuvio. Mentre Paolo Rossomando, sindaco di Giffoni, ha chiesto i danni al Comune per essere finito con la propria auto in una buca. Probabilmente sprovvisto di patente o di auto personale, Tommaso Amabile, sindaco di Fisciano, ha invece affidato la tesoreria comunale alla Banca di credito cooperativo, di cui è amministratore. Decaduto per vie analoghe anche Nunzio Carpentieri, sindaco di Sant’Egidio del Monte Albino. Mentre Donigi Magliulo, sindaco di Villa di Briano, si è corretto subito dopo aver letto la sua storia sul Corriere del Mezzogiorno. E si è regolarmente dimesso. Almeno lui.