Corriere 13.4.15
L’astrofisica che svela la nascita della Luna
Fu il risultato della collisione tra la Terra e il pianeta Theia Gli studi della scienziata italiana: ecco perché sono gemelle
di Francesco Battistini
Theia è stato un corpo celeste con dimensioni simili a quelle di Marte (circa 6.800 chilometri di diametro): roccioso e con caratteristiche simili a quelle della Terra,
si è scontrato — con un’angolazione di circa 45 gradi — con il nostro pianeta (allora ancora in fase di formazione) tra i 30 e i 50 milioni di anni dopo la nascita dell’attuale Sistema solare. Dall’impatto tra i due corpi sarebbe nata la Luna, ma Theia si sarebbe disintegrato.
HAIFA (Israele) Epoca: quattro miliardi e mezzo d’anni fa. Luogo: il nostro sistema solare. Dal nero più profondo appare Theia, un pianeta grande quanto Marte. Compattissimo, viaggia a una velocità inimmaginabile. Fino a colpire un ammasso di magma che ancora vaga indefinito, la Terra. Gli scienziati lo chiamano il Grande Impatto: un’esplosione celeste, una quantità di materiali che si libera nello spazio e crea un nuovo mondo, la Luna. Non è un film di Stanley Kubrick: è la teoria più accreditata su come si sia formato il satellite venerato dagli antichi, cantato dai poeti, vagheggiato dagli amanti. Una tesi, dagli anni 70, che quasi nessuno ha mai messo in discussione. Salvo mantenere una domanda sospesa, un enigma che in questi decenni nemmeno la faccenda del Grande Impatto è mai riuscita a risolvere: perché la Terra e la Luna sono praticamente due gemelle, fatte della stessa sostanza? E come mai la composizione chimica di tutt’e due, nate dal tamponamento d’un terzo pianeta, è così unica da non avere uguali in tutto l’universo?
Anno: 2015. Luogo: Israel Institute of Technology di Haifa, la fabbrica dei Nobel che nel mondo tutti conoscono come Technion. Dalla penombra d’una stanzetta, la 616, un’astrofisica trentenne di Latina, Alessandra Mastrobuono-Battisti, assieme al suo capo israeliano e a un collega francese pubblica su Nature una scoperta che fa subito big bang, è ripresa da altre riviste scientifiche, rimbalza su tv e giornali. Una tesi semplicissima, basata sulle rocce raccolte dalla missione Apollo 11, supportata da decine di simulazioni, mesi di comparazioni di quaranta sistemi planetari e d’un migliaio di corpi celesti: Theia, pianeta che non esiste più, polverizzato in meteoriti e immaginato solo dai calcoli sulle orbite lunari, era in realtà il «sosia» della Terra. Il partner con cui venne generata la Luna. Il suo impatto fu così devastante da modificare il nostro pianeta e riprodurne, identico, il satellite che vediamo in cielo. Una gigantesca fusione che fece evaporare gli elementi volatili, come lo zinco, lasciandone sulla crosta lunare altri molto simili a quelli della crosta terrestre, dall’ossigeno al tungsteno. «Abbiamo elaborato dati che non erano mai stati usati per Theia e la Terra — racconta la ricercatrice italiana —. Studiando le collisioni in altri sistemi solari, abbiamo scoperto una regola quasi costante: i pianeti che vanno a scontrarsi, in alta percentuale, hanno una composizione simile ai pianeti impattati. E questo non solo conferma la teoria del Grande Impatto, ma spiega perché la Terra e la Luna siano così diverse dal resto del sistema solare».
Né di miele, dunque, come la sognano gli sposini. Né «come un acciar che non ha macchia alcuna» (Ariosto). La Luna è fatta di Terra. E adesso, grazie al solito cervello italiano fuggito all’estero, forse ne sappiamo anche il motivo. «Io ho sempre lavorato sulla nostra galassia, è la cosa che più m’appassiona, perché il sistema solare è il luogo in cui viviamo. Un giorno dell’estate scorsa, ho letto un articolo di Science sul contenuto d’ossigeno nelle rocce terrestri e lunari. Composizioni molto simili. Allora, ho iniziato a farmi delle domande. E in sei mesi di ricerca, mi sono data le risposte». Laureata alla Sapienza, tre anni di dottorato a Roma a mille euro al mese e senza molte prospettive, Alessandra non chiedeva la luna: «Sono arrivata in Israele nel 2012. Avevo mandato i miei lavori a un po’ d’università. Il Technion m’ha contattato. Non m’hanno fatto nemmeno un colloquio: sei mesi dopo ero già a Haifa, col mio capo che m’aiutava a cercare casa». Qui è un altro pianeta, in ogni senso: «Posso fare ricerca, mi pagano tutto, m’hanno mandato ad aggiornarmi in Cina e in Spagna...».
Al Technion si fa anche ricerca militare — «ma io sono straniera e da queste cose sono esentata» — e il confine col Libano non è tanto lontano: «Nei giorni della guerra di Gaza, un po’ di paura l’ho avuta. Ma i miei colleghi m’hanno insegnato a conviverci. E poi — ride — meglio rischiare i razzi degli Hezbollah, che aspettare chissà quando un incarico nelle nostre università. Fossi ancora in Italia, starei a fare la calza».