lunedì 13 aprile 2015

Corriere 13.4.15
Julia Dobrovolskaja
Una scrittrice venuta dal freddo
di Sebastiano Grasso


Una diecina d’anni addietro escono insieme, a San Pietroburgo e a Venezia, le memorie di Julia Dobrovolskaja (Nižnij Novgorod, 1917). Titolo, Post scriptum : «Una lunga vita in un volume di dimensioni modeste di una persona», vicina ai 90 anni, che si autodefinisce «poco seria, nel senso che non mi prendo mai sul serio». Una vicenda straordinaria, documentatissima — da cui trarre un film — che si snoda in continui colpi di scena, in grado di lasciare il lettore a bocca aperta.
Dai primi studi e dalla vincita del concorso sulla poesia di Majakovskij alla lezione di Vladimir Propp, di cui la Dobrovolskaja è allieva; dall’appartenenza al Gruppo dei Cinque ai viaggi in Spagna come interprete (dove, fra l’altro, qualcuno la riconosce nel personaggio di Maria in Per chi suona la campana di Hemingway); dall’uccisione al fronte del fratello ventunenne Lev al lavoro all’agenzia Tass; dalla condanna del Tribunale speciale sovietico («per chi era in grado di poter commettere un delitto») alla carcerazione, nel ’44 (prima alla Lubianka, sede dei servizi segreti e «simbolo per eccellenza del sistema», e poi nel lager di Chovrino); dall’insegnamento universitario di italiano alla riabilitazione del ’55. Non solo.
C’è anche la sua presa di posizione a favore della poetessa Achmatova; il lavoro di interprete e guida in Russia di vari personaggi (poi amici) come la Callas, Guttuso, Moravia, Abbado, Grassi, Manzù, Gregotti, Brandi, Squarzina, Nono, Cacciari; le traduzioni di Sciascia, Moravia, Parise, Rodari; l’abbandono del comunismo (dopo Budapest e Praga); la nuova vita, dopo un matrimonio combinato con un gay per potere espatriare, nell’82, a Milano. Scelta, questa, che infastidisce Guttuso, il quale da quel momento interrompe i rapporti con l’amica («traditrice della patria comunista»).
A 98 anni, Julia Dobrovolskaja ripubblica Post scriptum (Youcanprint, pp. 326, € 18,50). Riveduto, corretto e aggiornato con un’ottantina di pagine in più (traduzione di Claudia Zonghetti e, per il capitolo finale, di Alessandra Capponi e Renata Baffi). Contemporaneamente esce Julia, anima mia (Youcanprint, pp. 138, € 12, traduzione di Claudia Piovene Cevese), scelta delle lettere inviate alla Dobrovolskaja, negli ultimi vent’anni, dallo scrittore Lev Razgon (1908-1999), una sorta di «diario di un uomo dentro il suo tempo». Cofondatore assieme a Sacharov dell’Associazione Memorial, Razgon ha scontato, in gioventù, 17 anni nei lager di Stalin. «Diversamente da Pasternak, Razgon sa esattamente in che millennio viviamo», scrive nella prefazione Vladimir Porudominskij.
Ma torniamo a Post scriptum . Giunta in Italia nell’82, Julia per vivere insegna russo negli atenei di Trento, Trieste, Venezia e Milano. Dove, nel 2003, alla «Statale» tiene l’ultima lezione. Ha 86 anni e, nonostante 31 anni di insegnamento universitario, sette manuali e vocabolari (fra cui il Grande dizionario russo-italiano e italiano-russo edito da Hoepli nel 2001, anche nelle versioni minore e tascabile), la curatela di una ventina di volumi (fra cui tre di Nina Berberova per Adelphi), quegli incarichi annuali non le danno diritto ad alcuna pensione. Una situazione drammatica, parzialmente risolta da alcuni allievi ed amici, sino a qualche mese addietro, quando, su richiesta del Pen Italia (di cui la Dobrovolskaja è socia), avanzata nel 2013 da Diana De Feo (FI) e Mauro Ceruti (Ds), la scrittrice russa, cittadina italiana, si è vista assegnare il vitalizio di 24 mila euro annuali della «legge Bacchelli». Problemi superati.