domenica 12 aprile 2015

Corriere 12.4.15
Leonardo senza confini
La pittura, le macchine, la natura Milano celebra il maestro del sapere e del saper fare
Lo amiamo anche per l’irrequieta incompiutezza
di Giulio Giorello


Come raffigurare una battaglia? «È dalla mistura del fumo delle artiglierie e dalla polvere sollevata dai cavalli che devono emergere le figure dei combattenti»; e per Leonardo da Vinci non si doveva risparmiare allo spettatore anche il tratto più «orribile» della guerra: «Farai omini morti, alcuni ricoperti mezzi dalla polvere, altri tutta la polvere che si mischia con l’uscito sangue convertirsi in rosso fango, e vedere il sangue del suo colore correre con torto corso dal corpo alla polvere» , in uno sfondo di lance spezzate e scudi infranti. È una descrizione ancor più significativa perché Leonardo era stato salutato come «architetto e ingegnere generale» nella Patente concessagli da Cesare Borgia, che certo di battaglie se ne intendeva. Del resto, uno dei vanti dell’artista di Vinci era di saper costruire potenti congegni militari, capaci di annientare di un colpo intere schiere di soldati.
Però, in Leonardo non c’era solo questo. Lui, che si definiva «omo sanza lettere» e che altri avrebbero consacrato come «grandissimo filosofo», si era «incapricciato» di penetrare i segreti della natura. Le belle arti — pittura, scultura, disegno — erano soprattutto strumenti per la comprensione del mondo. Così — come riferisce una fonte rinascimentale (1540) — era stato capace di «bellissime invenzioni», molte delle quali, però, mai portate a termine in quanto «mai con l’animo suo si quietava, ma sempre con l’ingegno fabbricava cose nuove». Ancor più della sua proclamata universalità, è questa irrequieta incompiutezza ad affascinarci. Non c’è da stupirsi che dipinti come la Vergine delle rocce o la Gioconda, per non dire del Cenacolo presso Santa Maria delle Grazie in Milano, si siano tramutati in veri e propri oggetti di culto per spettatori da ogni dove.
Non meno rilevanti per apprezzare la sua irrefrenabile curiosità erano i disegni che via via abbozzava per esemplificare le analogie della natura (i riccioli di una donna possono diventare i vortici delle acque) e i progetti di congegni che forse mai realizzò o che talvolta sperimentò a danno di chi, con ingenuo entusiasmo, si prestava ai suoi tentativi ed errori. Né mancano escursioni nella volta celeste. Così, «la Terra è stella quasi simile alla Luna». E quest’ultima è anch’essa una struttura «densa e grave»; e dunque come riesce a rimanere sospesa nel cielo? Forse, era tutta questione di movimento, che non è solo il principio di ogni vita nell’Universo ma anche un fattore di conservazione dell’ordine cosmico. Nessun corpo «ha in sé gravità o levità se non si muove».
Basta questo per fare di Leonardo un precursore di Galileo o di Newton? Oggi gli studiosi sono poco inclini ad accettare il vecchio stereotipo del «proto-scienziato». Egli è un maestro dell’immaginazione, capace di tradurre su tela o carta o persino nelle «macchine», le intuizioni: Leonardo è espressione — forse la più alta nel suo tempo — di una «ragione eretica» che vive non semplicemente nel sapere, ma nel saper fare. È questa filosofia pratica, ove alla riflessione della mente si accoppia il lavoro dell’occhio e della mano, che costituisce il tratto essenziale del mondo leonardesco.
Dunque, è una scelta efficace quella di una mostra che non si limita a esibire delle forme ma stimola il pubblico a partecipare alla loro costruzione. Pervaso dalla voglia incessante di sperimentare (tentare il volo umano imitando quello degli uccelli), animato da visioni utopistiche (come la città ideale che non seppe realizzare), osservatore disincantato del teatro della politica, spregiudicato anatomista non solo dei corpi ma anche delle passioni di uomini e donne, Leonardo confessava che ogni nostra cognizione comincia dai sentimenti e che in ultima analisi «amor ogni cosa vince». Amore per tutti i viventi. Ci piace affiancare alla figura del vecchio ingegnere che non riuscì a far volare gli esseri umani con le ali che aveva fabbricato, quella del giovane sperimentatore già insofferente alle manifestazioni del dolore: lui che non tollerava di vedere uccelli in gabbia.