domenica 12 aprile 2015

Corriere 12.4.15
Il mito della Gioconda (nato da un furto)
Il dipinto era famoso già nell’Ottocento, ma diventò un tormentone quando venne trafugato, nel 1911 Da Duchamp alla «versione Simpson»: ecco perché Monna Lisa ha stregato l’immaginario moderno
di Francesca Bonazzoli


Leonardo ha creato due icone pop: L’ultima cena e La Gioconda, immagini in assoluto fra le più popolari dell’arte. Il Cenacolo è stato il primo dipinto della storia diffuso attraverso il primo mezzo di riproduzione di massa: l’incisione, tecnica che non era ancora stata impiegata per trarre copie di opere già esistenti, ma solo per stampare immagini create ex novo. Il clamore suscitato dal Cenacolo fu infatti così vasto che subito si aprì un mercato per la vendita delle riproduzioni rivolto sia agli artisti che ai viaggiatori.
Tutt’altra storia ebbe invece La Gioconda, poco riprodotta per due ragioni: la difficoltà di rendere lo sfumato leonardesco e la sua ubicazione. Il ritratto, infatti, a differenza del Cenacolo dipinto sul muro di un convento da sempre aperto al pubblico, restò chiuso nelle collezioni reali di Francia fino al 1804.
Ma non perché, come credono molti italiani, fu rubato dai francesi, bensì perché fu comprato dal re Francesco I, al cui servizio Leonardo morì. Passato di re in re, nel 1797, dopo la Rivoluzione Francese, il quadro entrò nell’elenco dei dipinti che avrebbero composto il nuovo Musée du Louvre. Ma nel 1800 Napoleone ordinò che la Joconde fosse trasferita nella sua camera da letto alle Tuileries dove rimase fino al 1804.
La «giocondomania» quindi esplose solo nella seconda metà dell’Ottocento e fu il suo furto, il 21 agosto 1911 ad opera di un imbianchino italiano che lavorava nel museo, Vincenzo Perugia, a spingere la sua fama ormai consolidata. I quotidiani annunciarono in prima pagina il furto pubblicando grandi foto della Gioconda. L’evento si trasformò in una straordinaria occasione per la divulgazione popolare del quadro e quando il Louvre riaprì i battenti dopo una settimana di chiusura, i parigini si recarono in massa a contemplare la parete vuota.
L’effetto mediatico compì il suo giro quando Vincenzo Perugia cercò di vendere il dipinto all’antiquario fiorentino Alfredo Geri, il quale avvisò subito la Soprintendenza. La Gioconda fu restituita alla Francia dopo un tour di esposizione agli Uffizi, alla galleria Borghese e alla Pinacoteca di Brera dove la folla si accalcava fin nelle vie circostanti. La stampa di tutta Europa tornò a fare da cassa di risonanza pubblicando foto e articoli. Giornalisti, scrittori, chansonnier, attori e umoristi si scatenarono. Anche la propaganda politica fece la sua parte: nel 1918 fu pubblicata una cartolina con la Gioconda-Kaiser, cui seguì la Gioconda-Stalin. E se prima del furto la pubblicità aveva usato la Gioconda solo raramente, dopo la impiegò per i prodotti più disparati.
Ma secondo un meccanismo che colpisce tutte le icone, con l’aumentare della fama crebbe anche la «giocondoclastia». La demolizione più conosciuta del suo mito si deve a Duchamp che nel 1919 disegnò baffi e barba sopra una riproduzione e completò l’atto sacrilego con la scritta: L.H.O.O.Q. la cui pronuncia suona «Elle a chaud au cul», «Ella ha caldo al culo».
Alla profanazione di quel simbolo della bellezza si dedicarono anche Dalí, Gruel, Suydeux con un cortometraggio, Harold, Souzouki e anche la body artista francese Orlan che, nel 1990, si sottopose a un intervento di chirurgia plastica per modificare la propria fronte come quella della Gioconda.
Anche le canzoni hanno contribuito ad amplificare la fama del quadro: da You are the Top del 1943 di Cole Porter a Mona Lisa di Jay Livingston e Ray Evans portata al successo da Nat King Cole, fino a Bob Dylan e Elton John.
E da parte loro, il Louvre e Ministero della Cultura francese sono stati ben contenti di sfruttare a fini commerciali l’enigmatico volto nelle copertine delle guide del museo; sul sito web e nel merchandising, dalle tazzine da caffè ai fermacapelli.