l’Unità 29.4.11
Clandestinità
La Ue boccia l’Italia: non può essere un reato
Bruxelles decide che è illegale mettere in carcere un immigrato irregolare: la Ue cancella la norma su cui il Governo basa la sua politica sui migranti
Mettere in carcere gli immigrati irregolari, come previsto dalla legge sul reato di clandestinità, è illegale perché contrario alle normative europee che l'Italia non ha recepito. Lo ha stabilito ieri una sentenza della Corte di giustizia dell' Ue, dopo il ricorso del cittadino algerino detenuto a Trento, Hassen El Dridi. Ora la decisione dei giudici di Lussemburgo, ampiamente prevista, dovrà essere applicata dalla Corte d'appello di Trento e da tutti i tribunali che devono esaminare i ricorsi degli immigrati dietro le sbarre.
Di fatto viene cancellata la norma principale della politica del Governo contro l'immigrazione irregolare e l'opposizione ha parlato di «clamorosa debacle». Il ministro dell'Interno Maroni ha promesso di «porvi rimedio» e dalla maggioranza, soprattutto dalla Lega, si è levato un coro di critiche all'Unione europea. «Una sanzione penale quale quella prevista dalla legislazione italiana si legge nella sentenza può compromettere la realizzazione dell' obiettivo di instaurare una politica efficace di allontanamento e di rimpatrio nel rispetto dei diritti fondamentali». Nel 2008 l'Ue ha varato la direttiva rimpatri che il Parlamento italiano avrebbe dovuto recepire entro il 24 dicembre 2010, ma che si è arenata a Montecitorio per l'opposizione delle Lega.
Secondo le regole europee, ricordate dalla Corte di giustizia dell'Ue, l'ordine di rimpatrio concede agli immigrati dai 7 ai 30 giorni, poi si può procedere «all'allontanamento coattivo» e solo se questo «rischi di essere compromesso dal comportamento dell'interessato, lo Stato membro può procedere al suo trattenimento». Inoltre gli immigrati possono essere fermati fino ad un massimo di 18 mesi «in un centro apposito e, in ogni caso, separati dai detenuti di diritti comune».
L'Europa «ci complica la vita», ha protestato Maroni, chiedendo «perché l'Ue se la prende solo con l'Italia?». Secondo il ministro «ci sono altri Paesi europei che prevedono il reato di clandestinità e non sono stati censurati» e inoltre «l'eliminazione del reato accoppiata ad una direttiva europea sui rimpatri rischia di fatto di rendere impossibili le espulsioni». In realtà la Corte di giustizia ha bocciato la norma che prevede il carcere e non il reato di clandestinità. Lo scorso gennaio inoltre la Commissione europea ha inviato una lettera di sollecito a venti Paesi, tra cui l'Italia, che non avevano recepito la direttiva rimpatri. Molti si sono adeguati alle richieste di Bruxelles, ma dall'Italia non è arrivata nessuna risposta. Maroni ha invece promesso di valutare le conseguenze della sentenza nei prossimi giorni e di «vedere come porvi rimedio». Per l'eurodeputato leghista Mario Borghezio la motivazione della sentenza «non sta né in cielo né in terra» e i giudici di Lussemburgo se la prendono con l'Italia perché «non conta un c....». Quindi, ha concluso, «cosa ci stiamo a fare in questa Ue».
Secondo l'europarlamentare leghista Matteo Salvini «questi giudici vivono sulla luna» e Berlusconi «invece di occuparsi delle bombe sulla Libia» dovrebbe ridiscutere «i 14 miliardi che mandiamo a Bruxelles ogni anno».
David Sassoli, capo delegazione Pd al Parlamento europeo, ha osservato che «la sentenza della Corte di Giustizia europea insieme al reato di clandestinità boccia la legge, la politica e i pacchetti sicurezza del governo». Si tratta, ha aggiunto «di una debacle in piena regola» e ora l'esecutivo dovrebbe dire “cosa intende fare degli oltre tremila cittadini extracomunitari detenuti illegalmente e che hanno ingolfato la macchina della Giustizia». Questa sentenza, ha commentato il leader Idv Antonio Di Pietro, dimostra che «questo è un governo a tendenza mussoliniana, come abbiamo sempre detto, perché ragiona con la logica del manganello, ma poi viene sconfessato dai tribunali italiani e poi anche dalla Corte europea».
La presidente dei senatori Pd, Anna Finocchiaro, ha plaudito alla decisione della Corte Ue, sottolineando che questa «conferma quanto fossero a suo tempo fondate le obiezioni da parte dell'opposizione alla normativa del governo imposta dalla Lega». Ora, ha invitato la capogruppo Pd nella commissione Giustizia di Montecitorio, Donatella Ferranti, «il ministro Alfano non perda tempo e si attivi per adeguare il nostro ordinamento alla direttiva europea sui rimpatri dei clandestini». Il governo, ha concluso la deputata democratica, «non ha scuse per perdere tempo e la legge comunitaria all'esame della Camera potrebbe costituire un'occasione per intervenire con tempestività».
l’Unità 29.4.11
Un milione di persone sono già nella capitale o stanno per arrivare p Quello che bisogna sapere per «sopravvivere alla beatificazione»
Baraonda 1 ̊ Maggio L’assedio di Roma tra sacro e profano
Da oggi Roma sarà una città orientata verso San Pietro e piena di turisti venuti per la beatificazione di Giovanni Paolo II. Il primo maggio sarà paralisi in concomitanza con il concertone di San Giovanni.
di Gioia Salvatori
Ne arriveranno centinaia di migliaia, forse un milione. Affolleranno il Circo massimo sabato sera, piazza San Pietro domenica. I bed and breakfast e gli hotel, tranne quelli di lusso, sono sold out da settimane ma di pellegrini e papa boys ne avanzano ancora: tanti da affollare anche due tendopoli allestite a spese della laica protezione civile a Civitavecchia e Fiumicino. I romani si preparano al loro weekend di passione, quello della beatificazione di Giovanni Paolo II prevista per domenica primo maggio. Data che coincide con la festa dei lavoratori e con il consueto ‘concertone’ di piazza San Giovanni; una prova del nove per il sindaco Gianni Alemanno che tre giorni fa ha già consegnato ai romani, preoccupati soprattutto per la viabilità, un consiglio da vero statista: «Chi non ha interesse per la beatificazione, e mi auguro che siano pochi romani, vada a fare una gita fuori porta». C’è da giurare che in molti lo faranno: lo si sente dire spesso in giro, in questi giorni, al bar o sull’autobus. Mentre qualche romano si prepara ad uscire, una cifra di pellegrini quantificata in un milione, si prepara ad arrivare in una Roma blindata, controllata da tiratori scelti e sommozzatori, vigilata da un piano speciale di sicurezza e antiterrorismo da 200 pagine e 2000 uomini, con lo spazio aereo interdetto sulla città del Vaticano per un raggio di 18 chilometri, domenica. Per Fiumicino aeroporto la prova è degna delle grandi occasioni con 150mila arrivi previsti solo il primo maggio. Decine sono i voli charter in arrivo da ogni dove, soprattutto dalla Polonia; sono in fase di atterraggio anche delegazioni per 62 capi di Stato, dai reali del Belgio al presidente dello Zimbabwe Mugabe (dittatore sotto sanzioni), al presidente della Repubblica di Polonia, Bronislaw Komorowski atteso domani a Ciampino. Lo scalo aeroportuale minore di Roma, il primo maggio, sarà chiuso al traffico civile dalle 13 alle 17: se si era prenotato un volo pregasi controllare che parta, fa sapere l’Enac.
L’ordinanza per la sicurezza e antiterrorismo del questore di Roma Tagliente è di 200 pagine. In sintesi prevede tre zone, con tre diversi livelli di rischio e gradi di sorveglianza intorno a San Pietro. Ogni area è delimitata da transenne e nella piazza della basilica ci saranno metal detector e unità cinofile. Tiratori scelti e sommozzatori vigileranno sull’area di massima sicurezza controllando anche le rive più vicine a San Pietro e Castel Sant’Angelo. Proprio nel piazzale del mausoleo di Augusto e in piazza Risorgimento ci saranno due maxischermi e si prevede gran folla. Numerosi saranno gli stranieri e nelle postazioni del 113 sarà incrementato il numero di agenti che parlano inglese. Prevista anche una unità sanitaria di decontaminazione in caso di attacco terroristico chimico: consiste in una tenda allestita dal 118 e dal policlinico Gemelli, proprio davanti al nosocomio cattolico. Misure speciali di controllo anche al porto di Civitavecchia dove è previsto l’arrivo di pellegrini in navi.
Ovviamente incrementati i mezzi pubblici: le sei linee di ferrovie metropolitane funzioneranno come se fosse un giorno feriale; a Roma centro saranno potenziate 80 linee di bus per lo più dirette dalle stazioni e dai parcheggi a San Pietro e dintorni. Non sarà una due giorni facile per la stazione Termini dove, per altro, sono in corso i lavori per l’ammo-
dernamento dello scalo: sabato e domenica infatti non sarà possibile entrare in metropolitana alla fermata Termini, si potrà solo uscire e cambiare linea (per prendere la linea A bisognerà andare alla fermata di Repubblica e per la linea B a quella di Castro pretorio). Previsto anche il miracolo delle grandi occasioni, ovvero il prolungamento delle corse della metropolitana fino all’1.30 sia sabato che domenica notte (e anticipo della prima corsa di domenica alle 4 di mattina). Uno degli eventi clou, oltre alla beatificazione di domenica con venerazione delle spoglie mortali del papa a San Pietro, sarà una veglia di preghiera domani ore 17.30 al Circo Massimo. Per l’occasione Atac prolungherà fino all’1.30 le corse di 16 linee che passano in zona.
Le chiusure delle strade saranno alterne e abbondanti: via della Conciliazione sarà chiusa da domani mattina; domenica, poi, saranno vietate al traffico anche le vie limitrofe a piazza San Giovanni e, come di consueto in occasione del concerto, le fermate san Giovanni e Manzoni della linea A chiuderanno alle ore 15. Gli esercizi commerciali il primo maggio potranno restare aperti, se lo vorranno, al centro storico e nei pressi delle basiliche di San Paolo, San Giovanni e San Pietro, per tutti gli altri, a Roma, è obbligatorio stare chiusi. Il bello deve ancora venire: se gli arrivi sono scaglionati, infatti, il deflusso per cui si è detto preoccupato anche il prefetto Pecoraro, sarà concentrato lunedì: il quarto giorno, il giorno feriale, quello senza ‘zone rosse’ né misure speciali, il giorno in cui Wojtyla sarà di certo più beato dei romani restati in città.
Repubblica 29.4.11
Richard Feynman
Dal piccolo chimico al nobel storia dell´erede di Einstein
di Lawrence Krauss
I suoi diagrammi, alla base della teoria dell´elettrodinamica quantistica, nel 1965 gli valsero il premio
Il suo amico Barry dice che aveva una curiosa mania: non percorreva mai due volte la stessa strada
L´intuizione vincente non è solo avere idee nuove, ma anche trovare risultati migliori in quelle esistenti Ecco come un intelligente ragazzino ebreo di Long Island è diventato il fisico più amato del Novecento
Anticipiamo un brano dal libro "L´uomo dei quanti" di in uscita tra qualche giorno con "Le Scienze"
Quando Richard Feynman era ancora bambino, si poteva immaginare che sarebbe diventato forse il più grande, e probabilmente il più amato fisico della seconda metà del Novecento? Non è così chiaro, anche se c´erano segnali premonitori: era innegabilmente intelligente, aveva un padre affettuoso, che gli trasmise l´amore per la conoscenza, incoraggiando la sua naturale curiosità e coltivando la sua mente in ogni modo possibile. E poi aveva il "piccolo chimico", ed era affascinato dalle radio.
Ma queste cose non erano così rare tra i ragazzini intelligenti del suo tempo. Da un certo punto di vista, per alcuni aspetti fondamentali, Richard Feynman era solo un ragazzino ebreo intelligente di Long Island nato dopo la prima guerra mondiale, non particolarmente atipico.
(…) Sicuramente alcuni aspetti dell´intuizione sono acquisiti; questa è la ragione per cui gli studenti di fisica devono esercitarsi e risolvere così tanti problemi: così apprendono quali modi di affrontare i problemi di solito funzionano e quali no, e intanto acquisiscono nuovi strumenti e tecniche. Ma ci sono caratteristiche dell´intuizione fisica che sicuramente non si possono insegnare, che a un certo punto scattano da sole. L´intuizione di Einstein rimase intatta per vent´anni, e lo portò dal suo lavoro epocale sulla relatività speciale al suo risultato più spettacolare: la relatività generale.
L´intuizione di Feynman era diversa: mentre Einstein sviluppò teorie completamente nuove sulla natura, Feynman riuscì a esplorare idee già esistenti da un punto di vista completamente nuovo, e solitamente con migliori risultati. L´unico modo in cui riusciva a capire veramente le idee fisiche era arrivarci a modo suo, usando il proprio linguaggio. Ma siccome il suo linguaggio era inventato da lui stesso, il risultato finale a volte era radicalmente diverso dalla visione convenzionale. Come vedremo, Feynman creò la sua propria visione.
L´intuizione di Feynman era frutto anche di duro lavoro e grande fatica. Il suo approccio sistematico e l´accuratezza con cui esaminava i problemi erano già evidenti al liceo, dove registrava i propri progressi su quaderni appositi, pieni di tavole di seni e coseni che aveva calcolato, e più tardi nel suo quaderno di analisi, intitolato L´analisi matematica per l´uomo pratico, con estese tavole di integrali, che di nuovo aveva calcolato lui stesso. In età adulta avrebbe stupito i suoi interlocutori proponendo nuovi modi di risolvere un problema, o arrivando immediatamente al nocciolo di un problema complesso. Spesso la ragione di queste intuizioni era che, a un certo punto, nelle migliaia di pagine di appunti che aveva scritto nel tentativo di capire la natura, Feynman aveva pensato proprio a quel problema, e aveva già esplorato non solo una possibile soluzione, ma una serie di diversi modi di risolverlo. Quello che lo rendeva speciale era la sua volontà di esplorare un problema da ogni punto di vista, e organizzare accuratamente il suo pensiero, finché non aveva esaurito tutte le possibilità; un prodotto del suo profondo intelletto e della sua instancabile capacità di concentrazione.
Forse "volontà" non è la parola giusta. La parola giusta sarebbe "necessità". Feynman aveva bisogno di capire ogni singolo problema che incontrava sul suo cammino, partendo da zero, risolvendolo a modo suo, e spesso, per capire veramente fino in fondo, doveva risolverlo in svariati modi diversi.
Nel caso di Feynman, come in molti viaggi epici, l´inizio fu abbastanza semplice. Lui e John Wheeler avevano dimostrato che l´elettromagnetismo classico si poteva riformulare in un modo che coinvolgeva solo le interazioni tra particelle cariche, anche se bisognava considerare interazioni sia in avanti sia all´indietro nel tempo. La sfida successiva fu vedere se questa teoria si poteva accordare con la meccanica quantistica, e magari risolvere i problemi matematici più spinosi che si trovavano cercando di realizzare una teoria quantistica dell´elettromagnetismo. L´unico problema era che la loro esotica teoria richiedeva una forma matematica che la meccanica quantistica a quel tempo non poteva trattare.
Fu grazie a quelli che oggi tutti i fisici conoscono con il nome di diagrammi di Feynman, e all´idea suggeritagli da Wheeler di trattare i positroni come elettroni che si muovono all´indietro nel tempo, che Feynman riuscì a elaborare l´elettrodinamica quantistica, o Qed, che spiega un incredibile numero di fenomeni riguardanti l´interazione tra radiazione e materia partendo dalle interazioni elementari tra elettroni e fotoni e considerando tutte le possibili maniere in cui queste interazioni possono avvenire. La sua intuizione della Qed gli avrebbe fatto assegnare il premio Nobel per la fisica nel 1965.
(…) Ma forse la storia che più di tutte cattura il Feynman che sono arrivato a conoscere scrivendo questo libro, e i principi che hanno guidato la sua vita, e hanno finito per guidare anche la natura della fisica che lui produceva, è quella che mi ha raccontato un amico, Barry Barish, che era suo collega al Caltech negli ultimi vent´anni della sua vita. Barry e Feynman vivevano abbastanza vicini, e si vedevano spesso. Siccome entrambi abitavano a circa cinque chilometri dall´università, a volte ci andavano a piedi, invece di prendere la macchina. A volte insieme, a volte no. Una volta, Feynman chiese a Barry che cosa pensasse di una certa casa su una certa strada. Barry non conosceva la casa, perché, come molti di noi, aveva un percorso preferito, e lo percorreva sia all´andata sia al ritorno. Richard, scoprì, faceva esattamente il contrario. Cercava di non percorrere mai la stessa strada due volte.
Repubblica 29.4.11
Come insegnare ai ragazzi il desiderio di nuovi mondi
Lo psicoanalista riflette sulla crisi del discorso educativo e sulla ridefinizione del docente: una figura che deve animare la curiosità
di Massimo Recalcati
Il lavoro degli insegnanti è diventato oggi un lavoro di frontiera: supplire a famiglie inesistenti o angosciate, rompere la tendenza all´isolamento e all´adattamento inebetito di molti giovani, contrastare il mondo morto degli oggetti tecnologici e il potere seduttivo della televisione, riabilitare l´importanza della cultura relegata al rango di pura comparsa sulla scena del mondo, riattivare le dimensioni dell´ascolto e della parola che sembrano totalmente inesistenti, rianimare desideri, progetti, slanci, visioni in una generazione cresciuta attraverso modelli identificatori iperedonisti, conformistici o apaticamente pragmatici. Gli insegnanti consapevoli ce lo dicono in tutti i modi: "Non ascoltano più!", "Non parlano più!", "Non studiano più!", "Non desiderano più!". Cosa può dunque tenere ancora vivo il motore del desiderio? Non è forse questa la missione che unisce tutte le figure (a partire dai genitori) impegnate nel discorso educativo? Mestiere impossibile decretava Freud. Aggiungendo però a questa profezia pessimistica una buona notizia: i migliori sono quelli che sono consapevoli di questa impossibilità, quelli che non si prendono per davvero come padri o insegnanti educatori. I migliori sono quelli che hanno contattato la loro insufficienza. Sono quelli che hanno preso coscienza dell´impossibilità e del danno che provocherebbe porsi come gli educatori migliori.
Proviamo ora a fare un esperimento mentale: chi sono gli insegnanti che non abbiamo mai dimenticato? Sono quelli che hanno saputo incarnare un sapere, sono quelli che ricordiamo non tanto per ciò che ci hanno insegnato ma per come ce lo hanno insegnato. Ciò che conta nella formazione di un bambino o di un giovane non è tanto il contenuto del sapere, ma la trasmissione dell´amore per il sapere. Gli insegnanti che non abbiamo dimenticato sono quelli che ci hanno insegnato che non si può sapere senza amore per il sapere. Sono quelli che sono stati per noi uno "stile". I bravi insegnanti sono quelli che hanno saputo fare esistere dei mondi nuovi con il loro stile. Sono quelli che non ci hanno riempito le teste con un sapere già morto, ma quelli che vi hanno fatto dei buchi. Sono quelli che hanno fatto nascere domande senza offrire risposte già fatte. Il bravo insegnante non è solo colui che sa ma colui che, per usare una bella immagine del padre sopravvissuto celebrato da Cormac McCarthy ne La strada, "sa portare il fuoco". Portare il fuoco significa che un insegnante non è qualcuno che istruisce, che riempie le teste di contenuti, ma innanzitutto colui che sa portare e dare la parola, sa coltivare la possibilità di stare insieme, sa fare esistere la cultura come possibilità della comunità, sa valorizzare le differenze, la singolarità, animando la curiosità di ciascuno senza però inseguire alcuna immagine di "allievo ideale", ma esaltando piuttosto i difetti, persino i sintomi, di ciascuno dei suoi allievi, uno per uno. È, insomma, come scrisse un grande pedagogista italiano quale fu Riccardo Massa, qualcuno che "sa amare chi impara". Tutti ne abbiamo conosciuto almeno uno. Questa è la vera prevenzione primaria che servirebbe ai nostri figli: incontrarne almeno uno così. Dobbiamo, invece che ironici, essere riconoscenti all´esercito civile di chi ha scelto di vivere nella Scuola, a coloro che hanno autenticamente e appassionatamente scelto di amare chi impara.
Mi è capitato di voler continuare ad insegnare mentre venivo interrotto in aula dagli studenti che protestavano per la Legge Gelmini. Avevano ragione, ma ho insistito nel difendere le mie ragioni. La democrazia è fatta di queste divergenze, di questi conflitti tra prese di posizione diverse che possono convivere mantenendosi tali. Volevo proseguire nella lezione perché un´ora di lezione non è un automatismo svuotato di senso, non è routine senza desiderio come invece sembrava pensassero i miei interlocutori. Certo questo è il morbo della Scuola, è la patologia propria del discorso dell´Università che ricicla un sapere che tende anonimamente alla ripetizione annullando la sorpresa, l´imprevisto, il non ancora sentito e il non ancora conosciuto. Il vero nemico dell´insegnante è la tendenza al riciclo e alla riproduzione di un sapere sempre uguale a se stesso. È lo spettro che sovrasta e può condizionare mortalmente questo mestiere: adagiarsi sul già fatto, sul già detto, sul già visto. Ridurre l´amore per il sapere a pura routine. A quel punto non c´è più trasmissione di una conoscenza viva ma burocrazia intellettuale, parassitismo, noia, plagio, conformismo. Un sapere di questo genere non può essere assimilato senza generare un effetto di soffocamento, una vera e propria anoressia intellettuale. Eppure la Scuola continua ad essere fatta di ore di lezione che possono essere avventure, esperienze intellettuali ed emotive profonde. Di fronte ai giovani che protestavano ho voluto continuare ad insegnare e l´ho fatto per tutti i maestri che mi hanno insegnato che un´ora di lezione può sempre aprire un mondo.
Il nostro tempo segnala una crisi senza precedenti del discorso educativo. Le famiglie appaiono come turaccioli sulle onde di una società che ha smarrito il significato virtuoso e paziente della formazione rimpiazzandolo con l´illusione di carriere prive di sacrificio, rapide e, soprattutto, economicamente gratificanti. Come può una famiglia dare senso alla rinuncia se tutto fuori dai suoi confini sospinge verso il rifiuto di ogni forma di rinuncia? Per questa ragione di fondo la Scuola viene invocata dalle famiglie come un´istituzione "paterna" che può separare i nostri figli dall´ipnosi telematica o televisiva in cui sono immersi, dal torpore di un godimento "incestuoso", per risvegliarli al mondo. Ma anche come una istituzione capace di preservare l´importanza dei libri come oggetti irriducibili alle merci, come oggetti capaci di fare esistere nuovi mondi. Capissero almeno questo i suoi censori implacabili. Capissero che sono innanzitutto i libri – i mondi che essi ci aprono – ad ostacolare la via di quel godimento mortale che sospinge i nostri giovani verso la dissipazione della vita (tossicomania, bulimia, anoressia, depressione, violenza, alcoolismo, ecc). Lo sapeva bene Freud quando riteneva che solo la cultura poteva difendere la Civiltà dalla spinta alla distruzione. La Scuola contribuisce a fare esistere il mondo perché un insegnamento, in particolare quello che accompagna la crescita (la cosiddetta scuola dell´obbligo), non si misura certo dalla somma nozionistica delle informazioni che dispensa, ma dalla sua capacità di rendere disponibile la cultura come un nuovo mondo, come un altro mondo rispetto a quello di cui si nutre il legame familiare. Quando questo mondo, il nuovo mondo della cultura, non esiste o il suo accesso viene sbarrato, come faceva notare il Pasolini luterano, c´è solo cultura senza mondo, dunque cultura di morte, cultura della droga. Se tutto sospinge i nostri giovani verso l´assenza di mondo, verso il ritiro autistico, verso la coltivazione di mondi isolati (tecnologici, virtuali, sintomatici), la Scuola è ancora ciò che salvaguarda l´umano, l´incontro, le relazioni, gli scambi, le amicizie, le scoperte intellettuali. Un bravo insegnante non è forse quello che sa fare esistere nuovi mondi?
(L´autore ha scritto "Cosa resta del padre?" per Raffaello Cortina)