Repubblica 18.2.11
la pillola dimenticata
Perché non si usa più la pillola
A 50 anni dall’esordio l’Italia scopre che la maggioranza delle persone non usa contraccettivi. E resistono i vecchi sistemi
di Maria Novella De Luca
Il 70 per cento delle persone con più di 18 anni ammette di non fare uso di contraccettivi. Colpa di fatalismo, ignoranza, scarsa informazione Così cinquant´anni dopo il nostro Paese dimostra di aver dimenticato la grande rivoluzione sessuale. O quasi
Dietro il rifiuto di usare contraccettivi ci sono il mito della spontaneità e la paura che ogni "barriera" tolga spazio all´amore
Resistono i metodi naturali di sempre E oggi come ieri la strategia più utilizzata è il "rapporto interrotto"
Si registra un aumento di aborti tra le ragazze più giovani, anche minorenni. E una recrudescenza dei contagi da Aids
Non piacciono alle ragazze né ai ragazzi. Non li usano né le donne, né gli uomini. Almeno nei grandi numeri. Almeno nelle statistiche. Contraccettivi, anno zero. Per i sessuologi dietro il pervicace rifiuto di usarli ci sarebbero il mito della spontaneità, della naturalità e la paura che ogni "barriera" possa togliere all´amore passione e bellezza. I ginecologi e gli andrologi dicono invece, e non senza apprensione, che si tratta di ignoranza, di inesperienza, ma anche di un bel po´ di irresponsabilità e di azzardo. Parliamo di sesso e di sessualità. E di contraccettivi, che in Italia vengono usati davvero poco. Agli ultimi posti in Europa.
Oltre il 70% della popolazione dai 18 anni in su e in età fertile ammette semplicemente di farne a meno. Magari per ricorrere poi con affanno alla "contraccezione d´emergenza". O peggio. Non importa se ormai la pillola è sempre più leggera, e si fanno strada addirittura i microimpianti, rivoluzionari dispositivi che vengono inseriti sotto la cute per avere tre anni consecutivi di contraccezione sicura. Nel nostro paese resistono invece i metodi naturali, tradizionali, quelli di sempre. E in particolare, oggi come ieri, la strategia contraccettiva più utilizzata è il "rapporto interrotto", l´amplesso che si spezza nel momento clou.
Il "rapporto interrotto" è la metodologia di pianificazione familiare tra le più antiche, ma che ha com´è noto alte possibilità di fallimento. Tra il 16 e il 25% è stato calcolato nella letteratura medica internazionale, e come rivela un dettagliatissimo libro appena uscito, "Contraccezione", edito da "L´asino d´oro", firmato da due ginecologi famosi, Carlo Flamigni e Anna Pompili.
Un libro-manuale che in duecento pagine ci restituisce la storia e il quadro attuale della contraccezione in Italia, analizzando alla luce delle più recenti scoperte scientifiche tutte le varie tecniche esistenti, da quelle ormonali ai microimpianti, dai preservativi maschili a quelli femminili, dalla spirale al diaframma, dal conteggio dei giorni alla pillola del giorno dopo. Di ogni metodo vengono indicati pregi, difetti, effetti collaterali, rischi, prezzi, ma anche false credenze e pregiudizi. Perché, a leggere i dati più recenti sul modo con cui ragazzi e ragazze, ma anche donne e uomini affrontano la sessualità in Italia, emerge che il profilattico è usato soltanto dal 28,4% dei maschi e la pillola dal 16,3% delle femmine, il coito interrotto dal 31,6% delle coppie, e tutto il resto è free, senza rete. Risultato: a cinquant´anni dall´epoca della grande rivoluzione sessuale in Italia, a mezzo secolo dall´arrivo dalla pillola, è boom di "contraccezione d´emergenza", mentre si registra, purtroppo, un aumento di aborti tra le ragazze più giovani, anche minorenni. E una netta recrudescenza dei contagi da Aids.
Spiega Carlo Flamigni, padre della fecondazione assistita in Italia, e oggi presidente onorario dell´Aied, l´associazione italiana per l´educazione demografica: «Lo scopo di questo libro è fare informazione. Perché nonostante il diluvio di notizie pseudoscientifiche che circolano, c´è un´enorme ignoranza sui temi del sesso, della sessualità, della contraccezione, ma anche di quelle scelte che possono poi compromettere la fertilità, e quindi l´arrivo di un figlio, quando si decide davvero di metterlo al mondo. La pillola fa paura perché, si dice, fa ingrassare, il preservativo perché si rompe, la spirale perché è un corpo estraneo, il diaframma perché è difficile: non esiste il contraccettivo ideale, tutti hanno controindicazioni ed effetti collaterali. Esiste però un "percorso contraccettivo" in cui ognuno può trovare la strada giusta per sé. La mancanza di informazione invece porta da una parte a vivere senza la percezione del rischio, ma dall´altro a sottovalutare le conseguenze della poca conoscenza. Quanti sono ancora oggi gli aborti clandestini delle minorenni? Ma nello stesso tempo, quante donne che rinviano fin oltre i 40 anni la gravidanza sono consapevoli che se a 20 anni il rischio di avere un bimbo down è di 1 su 1600, a quarant´anni la media è di un piccolo down ogni novanta nascite…».
Si fa sempre più strada infatti, tra i medici e i ginecologi, la convinzione che una serie di problemi legati oggi all´infertilità di coppia derivi proprio da comportamenti a rischio nella prima fase della vita sessuale, quella delle giovinezza vissuta "senza rete". I dati della Sigo, società italiana di ginecologia e ostetricia, dicono con chiarezza che gli italiani utilizzano poco i contraccettivi perché "li rifiutano" nel 53% dei casi, "non li conoscono" nel 38% delle risposte, o perché "non li sanno usare" nel 9% dei casi.
«E infatti qui torniamo al tema dell´informazione, anzi della disinformazione» aggiunge Anna Pompili, ginecologa e autrice con Carlo Flamigni di "Contraccezione". «Quante volte mi sento dire che il preservativo non è sicuro perché si rompe, ma quanti sanno utilizzarlo nel modo giusto? Ad esempio con l´accortezza di togliersi gli anelli prima di metterlo per evitare appunto che si laceri? Spesso nei colloqui mi rendo conto che quando passa il messaggio che la sessualità deve essere vissuta con serenità, vedo come le coppie si rilassano e accettano di aprirsi. Non credo infatti che agire sulla leva della paura, dello spettro delle gravidanze indesiderate - aggiunge Anna Pompili - sia la strada giusta. Basta vedere quello che succede in Gran Bretagna, dove c´è un numero di altissimo di parti tra le adolescenti, nonostante le campagne "terroristiche" del governo inglese. Anche se, e dobbiamo dirlo, in Italia gli aborti tra le giovanissime sono tornati a crescere, purtroppo anche in un´area clandestina, e così le malattie a trasmissione sessuale».
Infatti sono proprio le minorenni a ricorrere con più facilità alla cosiddetta contraccezione di emergenza, cioè la pillola del giorno dopo. Nel 55% dei casi le confezioni di questo farmaco vengono vendute a ragazze poco più che adolescenti. «A volte con orgoglio donne giovani ma anche adulte affermano: il mio uomo non mi permette di prendere la pillola perché fa male, ci pensa lui… E c´è molto dietro queste parole, proprio in termini di rapporti tra i sessi», sostiene Anna Pompili.
Eppure una recente e ampia inchiesta del Mulino sulla sessualità degli italiani condotta Marzio Barbagli, Giampiero Della Zuanna e Franco Garelli, ha dimostrato come e quanto oggi nell´amore uomini e donne siano più spensierati, liberi da convenzioni. Se non una rivoluzione, certo una "modernizzazione sessuale". E allora perché tutta questa diffidenza su pillola, condom, spirali e altro? Roberta Giommi, che dirige il Centro Internazionale di Sessuologia di Firenze, chiama in causa una serie di "difficoltà immaginarie". «C´è la convinzione che qualunque strategia preventiva tolga mistero e naturalità al rapporto, che per una donna o una ragazza non sia elegante presentarsi ad un appuntamento con il preservativo nella borsa, l´essere intelligenti nel sesso viene vissuto come un pensiero fastidioso. E purtroppo in questo - ammette Giommi - vedo una passività femminile ancora resistente, anche nelle ragazze. Quasi che il consegnare la scelta "protettiva" all´uomo sia un atto d´amore… Quello che mi stupisce poi è come mai alle generazioni più giovani sia stato trasmesso il concetto che fare esperienza è un diritto, ma non che anche il proteggersi sia un diritto. Il paradosso è che fino a 15, 20 anni fa la pillola veniva vissuta dalle donne come scelta di responsabilità, autonomia, sì, anche di liberazione». Oggi, dunque è come se si stesse tornando indietro. E se il preservativo viene vissuto con fastidio, la pillola viene guardata con sospetto quasi fosse un farmaco altamente nocivo. «Tutti elementi considerati "nemici" della spontaneità e del romanticismo - conclude Roberta Giommi - e la strada per poter parlare correttamente della contraccezione è davvero ancora lunga".
Repubblica 18.2.11
Se il sesso è una sconfitta per l’Italia
Visto l´andazzo pecoreccio perché non servirsene per fare quella propaganda anticoncezionale che da noi manca?
di Natalia Aspesi
Tutte quelle belle anzi bellissime signorine attualmente in gran fermento, causa magistrati che vogliono sapere delle loro simpatiche feste e dei loro illustri corteggiatori (clienti?, mah!), a quali gruppi appartengono? Al 28,4% (profilattico), al 16,3% (pillola), al 31,6% (coito interrotto) o addirittura al 15% (nessuno)? E sull´Isola dei Famosi le magnifiche ragazze già passate dal bunga bunga o in procinto di essere invitate a condividerlo, essendo spesso sotto i 25 anni, apparterranno a quel 27,5% che secondo le ricerche non sono mai andate dal ginecologo; e le gentili ospiti del Grande Fratello, capitasse mai una distrazione per la noia da recluse, faranno parte di quel 10% di italiane che ricorrono alla pillola del giorno dopo? Viviamo in una bizzarra parentesi storica, in cui pare che non si faccia altro che l´amore, possibilmente di gruppo, con frustini e berretti da poliziotto, su nelle alte sfere del potere e giù nei finti reality.
Forse anche tra la gente normale, tutti impegnati, per usare un termine probo, a scopare: le gerarchie ecclesiastiche non approvano, ma neanche disapprovano apertamente, con i toni frementi con cui attaccano invece preservativi e contraccettivi, quelli sì demoniaci e peccaminosi.
Praticamente non si parla d´altro, di sesso mercenario e no, sui giornali e in televisione, e allora ci si chiede: visto l´andazzo pecoreccio e guai a fare i barbogi moralisti, c´è il Ferrara antiabortista che ti mena, perché, anziché inutilmente deplorare, non servirsene per fare quella propaganda anticoncezionale che da noi non esiste, e se non sei una mamma sapiente e preveggente che porta le sue piccine dal ginecologo a 13 anni perché spieghi loro la rava e la fava, te le trovi gravide in un baleno? Secondo le statistiche riportate nel prezioso libro dei ginecologi Flamigni-Pompili, tre giovani su quattro sotto i vent´anni non utilizzano alcuna protezione sessuale durante i rapporti, e comunque in generale i contraccettivi vengono rifiutati dal 53% degli italiani, perché non li sanno usare o non li conoscono. Sapessero che Fabrizio e la sua fidanzata Belen, l´intraprendente Ruby o la svelta Nicole, il buon Emilio o la turbolenta Sara, persino il paterno Lele, guai a non uscir di casa con il loro contraccettivo (a ognuno il suo) in tasca, perché non si sa mai, può capitare qualche cattivo incontro, forse se ne saprebbe di più e se ne userebbero di più. Se ne sapeva di più cinquant´anni fa, quando apparve nell´inquieto universo femminile questo miraggio, una semplice miracolosa pillola che avrebbe permesso di non restar rigide di paura come baccalà conoscendo la vaghezza maschile, di non ritrovarsi sole a gestire una gravidanza rifiutata soprattutto dal disimpegnato partner, di sentirsi finalmente libere.
Ragazze e signore correvano nei consultori pubblici e privati che sorgevano come funghi, e pazienza se nelle parrocchie si tuonava contro, e certi padri sparavano alle figlie sorprese con la pillola in tasca, e c´era chi ne raccontava le tragiche conseguenze, dal cancro ai foruncoli. Insomma l´amore era una realtà, non una pornofiction o un´inchiesta giudiziaria: che dopo cinquant´anni in Italia non se ne senta quasi parlare, non si faccia ancora una seria educazione sessuale nelle scuole, si tuoni tuttora contro, chiudendo però gli occhi davanti alla pornograficazione di tutto, dalla televisione alla politica, fa parte delle tante sconfitte subite dalle italiane e dall´Italia.
il Fatto 18.2.11
L’opposizione in sonno
di Antonio Padellaro
Era scritto sui muri che Berlusconi rinviato a giudizio per reati gravissimi (caso unico al mondo per un premier) non avrebbe fatto una piega. Incrementando, anzi, il suo business preferito: la compera dei parlamentari per gonfiare la sua maggioranza di estrogeni umani e restarsene tranquillo a Palazzo Chigi. Avevamo chiesto un gesto forte e drammatico per provocare le elezioni anticipate, unico antidoto democratico a questo scandalo a cielo aperto. Avevamo ipotizzato le dimissioni di tutti i parlamentari dei gruppi dell’opposizione alla Camera e al Senato, già del resto trasformati dal governo in enti inutili. Una provocazione certo, un modo per scuotere tanti presunti leader, capaci solo di pigolare all’infinito la parola dimissioni (e si vede con quali paurosi effetti sul Caimano). Un Solone democratico ha parlato a sproposito di Aventino mentre la richiesta, al contrario, è quella di volare alto finendola con l’autolesionismo che, per esempio, gela Rosy Bindi candidata premier solo perché l’ha proposta Nichi Vendola. Non sappiamo se sia solo la “pigrizia” evocata da Menichini direttore del quotidiano pd Europa, non certo tacciabile di estremismo. O la “tremarella” che fa sbagliare i calci di rigore. Ma a furia di buttare la palla in tribuna non solo si perdono la partite ma si dà modo all’avversario di risollevarsi e tornare più forte di prima. E questo sarebbe davvero imperdonabile.
Corriere della Sera 18.2.11
Come perdere le elezioni
di Giovanni Sartori
Se fossi al teatro non mi sarei mai divertito tanto. Ma non sono al teatro e non mi diverto per niente. Lo spettacolo allestito da Berlusconi&Co. è allucinante. Ma anche lo spettacolo offerto dalle opposizioni è desolante. Piluccando fior da fiore, non si era mai visto, nemmeno in Italia, che ben 315 parlamentari votassero e accreditassero la favola (favola anche per un bambino di sei anni) di un Berlusconi che crede davvero che la carnosa Ruby fosse una nipote di Mubarak e che lui era intervenuto telefonando a notte fonda alla questura di Milano per evitare un incidente diplomatico con l’Egitto. A parte il fatto che il Nostro trasforma una marocchina in una egiziana, non si capisce proprio quale terribile incidente diplomatico potesse nascere da questo modestissimo episodio. Non si capisce proprio, anche se 315 onorevoli sono evidentemente più intelligenti di me e l’hanno capito. Ma forse la questione non è di intelligenza, è che i 315 sono (come scrive Mauro Calise, politologo della Università di Napoli) inglobati in un «partito personale» al quale debbono obbedienza cieca. Perché se fiatano perdono il posto. Ma se Berlusconi non ride, le opposizioni possono solo piangere. Chiedono le sue dimissioni e quindi nuove elezioni. Ma sono davvero in condizioni di affrontarle con una ragionevole speranza di vincerle? Oggi come oggi direi proprio di no. Per la semplicissima ragione che sono opposizioni al plurale spesso profondamente divise (anche al proprio interno) che hanno poco di «unitario» da proporre. E il recente congresso dei finiani ha peggiorato questo quadro rivelando che anche in quel partito regna la zizzania. Eppure il duo Berlusconi Bossi è battibile solo se tutte le opposizioni fanno, elettoralmente, fronte comune. È possibile? Sarà possibile? Forse lo è se ricordiamo il principio che mettersi d’accordo per dire no è molto più facile che mettersi d’accordo per dire sì. Una alleanza sulle tante cose da ripudiare o disfare del lungo periodo berlusconiano potrebbe risultare più facile del previsto. Una circostanza facilitante, in questo disegno, è proprio il Porcellum. Tutte le opposizioni sono state danneggiate da questo iniquo sistema elettorale, perché il premio di maggioranza regala seggi a minor prezzo ai partiti che ne usufruiscono mentre rende più «cari» (e rari) i seggi degli altri partiti. Il no al Porcellum di tutte le opposizioni è da considerare scontato. Analogamente tutti hanno da guadagnare dalla abrogazione di un’altra scandalosa «legge truffa» , la legge Frattini sul conflitto di interessi, che ha regalato a Sua Emittenza un esorbitante potere sugli strumenti di comunicazione di massa. Sono anche da cancellare tutte le leggi o leggine ad personam, fatte per favorire e proteggere il Cavaliere. Tanto può già bastare per giustificare— lo dico solo a titolo del tutto personale e non propongo affatto un’ «ammucchiata programmatica» , contro la quale il Corriere si è già espresso — una «Federazione democratica» nella quale ogni partito sottoscrive le abrogazioni che accennavo, e poi mantiene la propria identità specificando le proprie proposte caratterizzanti.
il Riformista 18.2.11
Vendola riapre la conta Pd. Latorre vuole il leader subito
Bersani irritato col governatore pugliese: «Vedo che ora rinuncia alle primarie». Casini chiude alla Santa Alleanza mentre tra i dalemiani si cerca un «nuovo Ciampi» che assomigli a Monti
di Tommaso Labate
Repubblica 18.2.11
Bindi e la candidatura a premier "Vendola non crei tensioni nel Pd"
Bersani irritato col leader di Sel. Chiamparino: calma
di Mauro Favale
Nei sondaggi l´ipotesi registra consensi altissimi. Gli auguri della Binetti, sua ex "rivale" sulle unioni civili ora nell´Udc: "È il momento di una donna"
ROMA - Si schermisce per tutto il giorno, sorride, dribbla le domande dei giornalisti. Poi, alle sette di sera, uscendo dalla sede del Pd, risponde a chi le chiede se ci sia un nesso tra la manifestazione delle donne del 13 febbraio e il fatto che Nichi Vendola abbia lanciato il suo nome per la guida della "coalizione di emergenza": «Che quelle piazze abbiano messo in moto un processo che non si ferma è fuori di dubbio. Di più non fatemi dire». Rosy Bindi sa di essere al centro dell´attenzione, fuori e dentro il suo partito. I primi sondaggi registrano a suo favore consensi altissimi: su Repubblica.it arriva al 77%. E anche il suo sponsor, Vendola, insiste su «un entusiasmo popolare straordinario». Una sorta di "benedizione" arriva da Pier Ferdinando Casini: «Rosy sarebbe una candidata di grande prestigio. Se fossi nel centrosinistra la sceglierei anche perché ha dismesso le asperità che la rendevano antipatica». Casini, però, ribadisce anche l´ennesimo «no» alla "Santa Alleanza".
Ma è dentro il Pd che la Bindi si trova in una posizione non comoda. Imputa a Vendola di averla messa in difficoltà. In Transatlantico si ferma col portavoce del leader di Sel. «L´ho cazziato un po´», racconta bonariamente. Un modo per far arrivare a Vendola anche l´irritazione di Pierluigi Bersani, convinto che la mossa del presidente della Regione Puglia sia giocata per destabilizzare il Pd. E dopo la bocciatura dei veltroniani e la mezza frenata di Massimo D´Alema, ieri, è intervenuto il sindaco di Torino Sergio Chiamparino (che aveva dato la sua disponibilità a correre alle primarie) a liquidare la questione così: «Non mi pare si sia aperto alcun concorso per candidato a premier. È bene parlare di queste cose quando si è in prossimità del voto, altrimenti sono chiacchiere». Simile il ragionamento di Beppe Fioroni: «Non ci sono le elezioni e non c´è neppure la coalizione. E abbiamo già avuto almeno 6 candidature». Chi accoglie positivamente l´ipotesi-Bindi è il senatore Nicola Latorre: «A me va bene. Ora bisogna stringere sulla leadership. È importante che Vendola intenda essere partecipe di un progetto indipendentemente da una sua candidatura alle primarie».
Sulle mosse di Vendola, il prodiano Mario Barbi si chiede: «Vendola ha rinunciato alle primarie per la scelta del candidato-premier del centrosinsitra o intende fare lo sponsor di Rosy Bindi?». Un modo anche per alleggerire "l´investitura" che il Professore avrebbe dato alla presidente del Pd e che nello staff di Bersani viene liquidata come una battuta. Fuori dal recinto del centrosinistra, la candidatura della Bindi trova l´appoggio della sua ex rivale Paola Binetti, ora Udc: «È arrivato il momento in cui la possibilità che una donna diventi premier non sia più un´ipotesi di scuola». Ancora più a destra, il ministro Giorgia Meloni e Alessandra Mussolini «apprezzano e rispettano» la candidatura della Bindi. Laconico Sandro Bondi: «La Bindi rappresenterebbe la più coerente erede di Prodi».
Repubblica 18.2.11
Renzi, sindaco di Firenze: la leadership guardi di più al futuro
"Rosy parla a un mondo chiuso con lei giocheremmo a perdere"
E così Vendola archivia tutta la ‘narrazione´ sulle primarie. Ce la dovrebbe spiegare questa storiella
di Maria Cristina Carratù
FIRENZE - «Rosy Bindi leader? Beh, se giochiamo per perdere può andare bene. Ma se tanto tanto il centro sinistra volesse vincere... Possibile che non si esca mai da questa visione decoubertiniana, per cui basta sempre e solo partecipare?». Non piace a Matteo Renzi, sindaco di Firenze, l´idea di Nichi Vendola di candidare la presidente del Pd alla premiership, sostenuta da un´alleanza democratica estesa a Udc e finiani.
Eppure la Bindi, in quanto donna, risponderebbe a un´esigenza di rappresentanza femminile molto sentita nell´elettorato di centrosinistra. Ed è anche cattolica, come lei...
«Ma insomma, stiamo vivendo un momento difficilissimo, c´è un paese sbattuto dalla crisi che avrebbe bisogno urgente di riforme strutturali e un governo che invece naviga a vista, un 40-44% di indecisi e possibili astenuti e se vogliamo schifati dalla situazione, e noi che facciamo? Il totoleader. Il superenalotto dei nomi, invece di impegnarci in un ragionamento su una chiara linea politica e di governo per il dopo-Berlusconi».
Il fattore-donna però è importante.
«Per dare peso al fattore-donna servono gli asili nido, mica una candidatura femminile così, come fosse un gioco di prestigio».
Ma della Bindi come esponente politico cosa pensa?
«E´ una donna di grande esperienza, però le manca la capacità di parlare a una altro mondo rispetto al suo. E poi ha già fatto cinque legislature nel parlamento italiano più una in quello europeo, la prossima sarebbe la settima. Ancora: alle primarie si era già presentata, nel 2007, e ha perso contro Veltroni. Insomma: la Bindi rappresenta una delle facce dell´antiberlusconismo generato dal berlusconismo. Mi chiedo: dopo tanti anni, non è il caso di immaginare una leadership in grado di segnare l´Italia dei prossimi vent´anni, anziché riproporre il girone di ritorno dei venti appena trascorsi?».
E´ comunque vero che il centrosinistra ha un problema di leadership.
«Sì, ma a che serve una discussione sulle persone fatta in questo modo? Di fronte a quello che sta accadendo il centrosinistra cambia posizione ogni giorno, litiga, rincorre sempre qualcuno che sta al di fuori, oggi Fini, domani Bossi e dopodomani chissà, magari Sara Tommasi. Questo è il vero problema, mica la scelta di un nome. Io non so come finirà il lungo periodo del berlusconismo, ma dei miei tre desideri - il premier si presenti ai giudici, il premier dimostri la sua innocenza, il centrosinistra lo sconfigga alle elezioni - il terzo, che non è morale, ma politico, è di gran lunga il più importante. Vogliamo o no cominciare a prendere sul serio l´ipotesi di una nostra competizione elettorale?»
Però, che Vendola proponga una figura come la Bindi non è anche un segnale politico?
«Mah... Dopo tutta la "narrazione" che ha fatto sulle primarie, questa storiella del farsi da parte all´improvviso Vendola ce la dovrebbe proprio spiegare. Mi sembra un giocatore che, per evitare un rigore, butta la palla in calcio d´angolo... «.
La Stampa 18.2.11
Centrosinistra, democratici al bivio
La Bindi premier? E’ già “rottamata”
Renzi boccia la candidatura, tutto il Pd è prudente sull’idea
di Francesca Schianchi
Nei sondaggi on line, il consenso sul suo nome vola alto, al 70% o giù di lì. Tra i compagni di partito, invece, ci sono commenti scettici e anche bocciature, con qualche eccezione favorevole, come Nicola Latorre. Due giorni dopo la proposta del leader di Sel, Nichi Vendola - candidare la presidente del Pd Rosy Bindi alla guida di una coalizione allargata dell'opposizione contro Berlusconi - fra i democratici l'ipotesi continua a far discutere. Anche il leader Udc, Pier Ferdinando Casini, la definisce «una candidata di grande prestigio», salvo però cassare l'idea di presentarsi tutti insieme: «Io alle sante alleanze costruite antiBerlusconi non ci credo. Non ci sarà nessuna alleanza con il Pd».
La giornata dei democratici si apre sulla Bindi, tirata in ballo da Vendola (e qualche giorno prima, scherzosamente, anche dall'ex premier Romano Prodi: "Rosy for president") che registra un «entusiasmo popolare straordinario» su questa proposta. Lei, la vicepresidente della Camera, glissa sull'argomento, anche se strapazza il portavoce di Vendola («l'ho un po' cazziato…», scherza coi cronisti in Transatlantico) e si sente al telefono con il governatore della Puglia. Nessuna strumentalizzazione, è il senso del colloquio, nessun tentativo di creare frizioni all'interno del Pd. Frizioni che peraltro i democratici sono bravissimi a coltivare, dividendosi tra chi boccia platealmente (come il giovane sindaco di Firenze, Matteo Renzi) e chi approva con entusiasmo, come il senatore Nicola Latorre.
E' tranchant il rottamatore Renzi: «La Bindi ha già fatto cinque mandati in Parlamento, uno al Parlamento europeo, ha perso le primarie con Veltroni. Non credo sia la persona giusta: è la persona giusta per partecipare, noi vogliamo vincere». Taglia corto anche l'ex ministro popolare Giuseppe Fioroni: «Non ci sono le elezioni e non c'è neppure la coalizione, e già abbiamo avuto almeno sei candidature. Se aspettiamo ancora un po' ne avremo altri due. Così - ironizza - facciamo una coalizione di soli candidati, e vinciamo nonostante gli italiani…». Mentre il deputato Giorgio Merlo riprende Latorre, «già entusiasta dell'ennesima piroetta di Vendola che adesso ha sospeso momentaneamente la predica sulle primarie e ha già scelto come premier Rosy Bindi. Nel frattempo, è possibile essere meno ridicoli e grotteschi?», chiede. Il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, rinvia la discussione: «Se ne parlerà. Queste sono cose di cui è bene parlare quando si è in prossimità del voto, altrimenti rischiano di rimanere chiacchiere».
Commenti, anche lusinghieri, arrivano pure dal centrodestra: «La Bindi è una persona che ha un lungo percorso politico, ed è molto capace. E' una cosa a cui guardo con simpatia», solidarizza la ministra Meloni. Dichiarazioni di stima anche dal collega Rotondi, che ammira «il piglio, la grinta e il carattere della Bindi». Sandro Bondi ricorda che la presidente del Pd «rappresenterebbe la più coerente erede di Romano Prodi alla guida di una Santa Alleanza comprendente anche Casini e Fini», che il capogruppo Pdl alla Camera Cicchitto riassume in «un'Armata Brancaleone, che è anche minoritaria in Parlamento».
E se una sua eventuale candidatura piace alla base si potrà capire già oggi: tocca a lei aprire la Conferenza delle donne democratiche.
La Stampa 18.2.11
Intervista
Latorre: “Prima bisogna costruire un’alleanza di tutte le opposizioni”
“Mi spiace che Casini punti sul Terzo Polo, è velleitario”
di Carlo Bertini
A questo punto il gran parlare di una candidatura Bindi assume un’attualità del tutto nuova. Ai militanti Pd l’idea piace e a lei?
«Nella proposta di Vendola registro due cose importanti: la prima che offre la sua disponibilità a partecipare ad una coalizione ampia, prescindendo dal passaggio delle primarie, da lui considerate sempre valide, ma non più irrinunciabili. E poi si pone anche lui il problema di come costruire, da coprotagonista, un nuovo grande soggetto politico di centrosinistra del futuro. Che Vendola sia disposto a convergere sulla candidatura del presidente del Pd è un segnale importante. E uno stimolo a scegliere presto il profilo della coalizione e un leader. In questo quadro, credo che il nome della Bindi vada valutato bene, perché ha una serie di requisiti e qualità positive».
Se è vero che pochi a sinistra credono si voti a maggio, non pensa che quella di Vendola sia una mossa tattica?
«Considero un errore cercare in ogni iniziativa politica un retropensiero. Sarebbe sbagliato non cogliere gli elementi positivi che contiene la sua proposta. E inoltre, rispetto alle voci ricorrenti di possibili candidature di alto profilo come Draghi o Monti, che richiamano alla necessità di cercare una personalità fuori dal recinto dei partiti, mi permetto di dire che in una fase costituente come quella che ci attende, la politica dovrà piuttosto ristabilire il suo primato. E aggiungo che, anche se si votasse tra un anno o due, prima si metterà in campo una proposta di coalizione e di candidatura, tanto più potremmo recuperare quella grande quota di indecisi che ha abbandonato Berlusconi».
Ma lei a quale genere di coalizione pensa?
«Io sono convinto che noi dobbiamo seguire la strada imboccata da Bersani di proporre un’alleanza a tutte le forze di opposizione che dal 2008 si sono presentate come alternative a Berlusconi. Il congresso di Fli ha dimostrato che il Terzo polo è un’entità dello spirito. Ma nutro profondo rispetto per l’iniziativa coraggiosa di Fini che si propone di cambiare il centrodestra, anche sulla base di alcuni valori condivisibili che possono agevolare una stagione costituente. Spero vinca la sua battaglia che però si combatte in quel campo...»
Il suo no a Fini è controcorrente nel Pd. E ad esser maligni verrebbe da pensare che voglia rimuovere il sogno di un’alleanza col Terzo polo solo dopo il no di Casini...
«No, sono assolutamente convinto che un’alleanza di governo con chi si muove dichiaratamente nell’ambito del centrodestra perde di credibilità. Per quel che riguarda Casini, considero velleitario il suo progetto di un terzo polo: non c’è un minimo denominatore comune tra chi vuole rinnovare il centrodestra e chi pensa a un’ipotesi centrista autonoma dal centrosinistra e alternativa alla destra. Non gioisco affatto della sua scelta, perché reintroduce delle pregiudiziali che non hanno ragion d’essere, senza neanche un preventivo confronto. E aggiungo che si assume la responsabilità di non partecipare alla costruzione di quell’alternativa di cui ha bisogno il paese. Ancor di più, questo ci induce a stringere i tempi della nostra iniziativa e dobbiamo predisporci a farci carico della parte moderata della società che non digerisce più Berlusconi. Per usare una celebre battuta di Prodi, competition is competition...»
Una curiosità: da tutto quello che dice sembra si sia rotto il tandem pluriennale con D’Alema. E’ disposto ad ammettere che Casini certifica la sconfitta della linea con cui Bersani ha vinto il congresso?
«D’Alema è stato e resta il mio maestro e il più grande insegnamento che mi ha trasmesso è di avere il coraggio delle proprie idee senza calcoli opportunistici. Per il resto, è innegabile che da Casini arrivi uno stop a un percorso cui abbiamo lavorato da tempo. Comunque non consideriamo definitivamente chiuso questo capitolo, ma certo ora sarà ancora più significativo il contributo che potrà venire alla nostra azione dalla parte cattolico-moderata del Pd».
Corriere della Sera 18.2.11
Casini chiude a Bersani: no alla «santa alleanza»
«L’Udc ha un percorso diverso dai democratici. Fini ha ragione sul Cavaliere»
di Lorenzo Fuccaro
ROMA — Pier Ferdinando Casini dice no a una «santa alleanza anti-Cavaliere, sarebbe il miglior regalo a Berlusconi perché lo resusciterebbe» , ma allo stesso tempo è contrario a una coalizione con il Pd. In caso di voto, annuncia, «l’Udc presenterà una proposta di larga coalizione aperta alla società civile, faremo cioè un appello alle forze responsabili che ci stanno a governare il Paese e a ricucirlo, penso a Luca di Montezemolo, penso a Pisanu, Letta e Fioroni» . Ecco perché dice no anche a un’alleanza con il Pd: perché «il nostro è un percorso diverso» . Per Casini «c’è una seria emergenza nel Paese a cui bisogna rispondere con le armi della democrazia: le grandi ammucchiate non servono» . Il leader dell’Udc parla a Otto e mezzo su La7 ed è convinto che, a spoglio ultimato, il terzo polo, dato tra il 18 e il 20 per cento, sarà l’ago della bilancia non soltanto al Senato: «Visto che c’è un sistema bicamerale, saremo determinanti in Parlamento. Faremo una proposta di larga coalizione perché questa Italia non si governa più dividendo la mela a metà, gli uni contro gli altri, berlusconiani contro antiberlusconiani» . In altre parole, incalza Casini, proporremo «un governo di unità nazionale dopo il voto. Il terzo polo impone a chi vince di sedersi al tavolo. Non si porteranno dietro tutte le forze politiche? Pace, si metteranno a sedere quelle che vorranno...» . E inoltre dà ragione alla denuncia del potere economico di Berlusconi fatta ieri da Gianfranco Fini: «La pensano così tutti gli italiani» . Insomma, il leader centrista espone con chiarezza il proprio punto di vista e di certo non farà piacere a quanti, nel centrosinistra, avrebbero voluto arruolarlo nel proprio esercito. Boccia anche l’ipotesi avanzata da Nichi Vendola di fare guidare la grande alleanza anti-Cavaliere a Rosy Bindi. Del presidente del Pd, Casini parla bene sul piano personale e riconosce che «sarebbe una candidata premier di grande prestigio» . Ma io, precisa, «sto da un’altra parte» . Del resto l’idea lanciata dal governatore della Puglia non convince tutti nel campo del centrosinistra. Se piace al dalemiano Nicola Latorre, che esorta «a non perdere tempo e a stringere sulla leadership indipendentemente dalle elezioni» , lascia scettico Beppe Fioroni. «Abbiamo già avuto sei candidati da Draghi a Monti — dice l’exministro scegliendo un registro sarcastico —. Adesso c’è la Bindi. Ma la coalizione ancora non c’è e le elezioni non si sa quando si faranno. Comunque, se ne escono un altro paio, facciamo la coalizione di candidati e vinciamo le elezioni» . Tiepido, forse ostile, Giorgio Merlo che inanella una serie di domande: «Non sappiamo quando si vota, se si vota, quale sarà la coalizione alternativa al centrodestra, ma qualcuno come Latorre è già entusiasta della piroetta di Vendola» . E anche il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, rinvia ogni decisione: «La Bindi candidata? Troppo presto per parlarne» .
il Riformista 18.2.11
Il dialogo è col premier, non col Cavaliere
Radicali a congresso. «Non entreremo mai in questa maggioranza, ma vogliamo cambiare le regole».
d Angela Gennaro
il Riformista 18.2.11
Quando Tortora e Negri duellavano in tv sul processo
di Luca Mastrantonio
qui
http://www.scribd.com/doc/49095880
Corriere della Sera 18.2.11
Il genio di Montale conquista New York
Galassi: tra gli immortali come Baudelaire
di Alessandra Farkas
NEW YORK — «Eugenio Montale appartiene alla ristretta cerchia di poeti come Baudelaire, Valéry o T. S. Eliot. È uno dei grandissimi che non verranno mai dimenticati» . Reduce dal Convegno e Reading su Eugenio Montale organizzato dall’Istituto italiano di cultura in collaborazione con l’American Academy di Roma e la Fondazione Rizzoli Corriere della Sera, Jonathan Galassi parla con insaziabile entusiasmo del grande scrittore premio Nobel di cui è uno dei più raffinati traduttori, insieme a Charles Wright e William Arrowsmith. —, ma a trent’anni dalla sua morte, l’America rischia di dimenticare Montale. «Purtroppo oggi anche lui è vittima dell’oblio che dopo la morte sembra colpire tutti i grandi della letteratura» , spiega Galassi, che oltre a essere presidente e publisher della Farrar, Straus and Giroux, è anche uno degli intellettuali più colti e raffinati degli Stati Uniti. E punta il dito contro «il bisogno quasi fisiologico di prendere le distanze dai mostri sacri» . —, ma in questa sponda dell’Atlantico negli anni 60 e 70 la sua influenza era straordinaria. Al punto da ispirare le celebri «imitazioni» di Robert Lowell, il grande poeta statunitense, considerato il fondatore della Poesia confessionale, che nel 1961 pubblicò Imitations, un volume di libere traduzioni di Montale e altri poeti europei (vincitore del Bollingen Poetry Translation Prize nel ’ 62). Un tema, quello delle «imitazioni montaliane» esplorato da Fabio Finotti, docente all’Università della Pennsylvania. «Montale resta il poeta italiano più tradotto del XX secolo — incalza Galassi —, ha ispirato generazioni di poeti americani, da Charles Wright a Robert Lowell a Mark Strand» . Rebecca West, docente all’università di Chicago e autrice di Eugenio Montale: Poet on the edge, ha sottolineato come «negli ultimi 20 anni la lingua inglese non ha prodotto nessuna nuova opera su Montale» . Eppure secondo Riccardo Viale, direttore dell’Istituto italiano di cultura newyorchese, la sua poesia resta attualissima. «Eugenio Montale, frequentatore di Gobetti, credeva in una dimensione morale della poesia che alla fine assumeva significato politico» , ha spiegato Viale. «Era la forte decenza della vita quotidiana, il silenzioso, ma fermo non scendere a compromessi il filo conduttore della sua poesia come della sua opposizione al fascismo e la sua lontananza dalla politica del dopoguerra» . Anche la sua attività di giornalista per il «Corriere della Sera» è definita «straordinaria e moderna» da Galassi, che racconta di aver conosciuto Montale a Forte dei Marmi nel 1979. «Stavo lavorando alla traduzione di uno dei suoi libri e nella casa sul mare c’era anche la sua governante toscana Gina Tiossi, eroina di tanti suoi versi. Fu uno degli incontri più formativi della mia vita — aggiunge —. Da allora Montale è uno dei miei eroi e una delle mie ossessioni» . Scindere il Montale uomo dal Montale scrittore è per lui impossibile. «Tutta la sua opera parla della sua vita, dell’amante Irma Brandeis, soprannominata Clizia, e della moglie Drusilla Tanzi, "Mosca". Della guerra e della sua difficile vita durante il fascismo» . Nel 2006 Mondadori pubblicò le sue Lettere a Clizia: «Un volume in un certo senso scioccante — incalza —, perché rivelò al mondo il suo comportamento non certo esemplare nei suoi confronti» . In America ci fu un piccolo scandalo «quando si apprese che alcune delle traduzioni firmate da Montale erano in realtà opera di una donna: Lucia Rodocanachi» . Secondo Galassi non c’è niente di scandaloso, invece, nella relazione tra Montale e l’allora 28enne Annalisa Cima che dopo la sua morte ha pubblicato un volume di poesie che lui le aveva dedicato. «Escludo che siano stati amanti, anche perché lui non era molto sessuale come individuo» . Potrebbero, in futuro, emergere nuovi inediti? «Forse l’unico resta il carteggio pluridecennale con il caro amico Gianfranco Contini— risponde Galassi —, ma l’interesse di tale opera è secondario: sarebbe più importante ritradurre Montale e pubblicare nuovi saggi di analisi sul suo lavoro» . La lacuna sarà presto colmata: «Sto lavorando a un nuovo libro: una collezione di poesie scritte negli ultimi anni della sua vita» .
Corriere della Sera 18.2.11
Radici europee prima di Cristo
Dalle origini greco-romane all’apporto essenziale del Vangelo
di Giuseppe Galasso
P eriodicamente le «origini cristiane dell’Europa» tornano all’ordine del giorno sia sul piano culturale che, forse, più ancora, su quello politico; e sempre si contrappongono chi crede che quel carattere cristiano sia indiscutibile e chi crede che lo si debba negare; e, come spesso accade in simili casi, è proprio questa contrapposizione a fuorviarne i discorsi. Chiediamoci, piuttosto: la tradizione europea è nata col cristianesimo oppure ha già una sua delineazione precristiana? La risposta si presta a pochi dubbi. Nell’antica storia mediterranea, e in specie in Grecia e in Roma, hanno le origini e le prime forme, spesso altissime, punti decisivi dell’identità europea. Tali sono lo spirito critico, il razionalismo storico e filologico, la filosofia, concetti basilari dell’etica e della politica (dignità dell’uomo, libertà, democrazia) così come dello spirito religioso, espressioni fondative nella tradizione poetico-letteraria e artistica, un’amplissima terminologia nei più vari campi dello scibile, elementi centrali nella contrapposizione tra Occidente e Oriente, vicende storiche (di Grecia e di Roma) che sono servite poi sempre agli europei da modelli o da materia di riflessione, una mitologia che ha nutrito per secoli l’immaginario europeo... Una eredità di enorme e determinante spessore, di cui, tra l’altro, anche la radicale rivoluzione cristiana è largamente vissuta. Si può ignorare tutto ciò in qualsivoglia visione del passato e dei «fondamenti» dell’Europa, senza privare le «origini» europee di connotati imprescindibili, e senza, quindi, impoverire fortemente qualsiasi concezione della storia e della realtà europea? Altra cosa sono, invece, è ovvio, la parte del cristianesimo nella storia europea e il suo contributo a questa storia. Parte e contributo tali che per moltissimi secoli «europeo» e «cristiano» sono stati termini equivalenti e interscambiabili, e le innovazioni e gli sviluppi della civiltà europea si sono largamente modellati nello stampo cristiano. Sul piano dell’etica, in specie, l’Europa moderna ha ricevuto un’impronta cristiana profonda, indiscutibile (e perciò un pensatore del tutto laico come Benedetto Croce affermava che «non possiamo non dirci cristiani» , mostrando in ciò ben altra intelligenza rispetto ai tanti che, come Bertrand Russell, pensavano che «non possiamo dirci cristiani» ). Cose ovvie, se si vuole, ma non perciò meno meritevoli di essere ribadite; e il discorso sarebbe, così, chiuso, se con quanto si è qui detto non interferissero a fondo altri elementi. Eccone qualcuno. In primo luogo, il cristianesimo non è mai stato un monolite indifferenziato. Ci sono almeno tre confessioni cristiane in Europa, e in ognuna di esse le differenziazioni interne sono non poco rilevanti. In secondo luogo, nel corso dei secoli l’Europa ha largamente importato dall’esterno concetti fondamentali e altrettanto differenziati e diversi per la sua identità e per il suo patrimonio storico, morale e culturale. Rilevanti e importanti sono state soprattutto le derivazioni dal mondo dell’Islam. In terzo luogo, non solo confessioni cristiane e derivazioni dall’esterno non sono blocchi monolitici, ma non sono nemmeno costanti o, all’opposto, dati una volta per tutte, poiché hanno avuto intensità molto varie nel tempo. In quarto luogo, nella storia europea si è formata una sempre più consolidata tradizione umanistica, laica, scientifica, più o meno lontana da quella cristiana, o anche vicina a essa, o perfino conforme, nella quale è di certo un altro tratto fondante dell’identità europea. E, tutto ciò, a non parlare del crescente processo di secolarizzazione, che ormai da un paio di secoli ha investito l’Europa, e che certo è nato anch’esso dalle viscere della realtà europea e ne è parte costitutiva. In realtà, a ben riflettere, è il concetto stesso di origini a non attagliarsi alla discussione. Le origini, si sa, sono sempre, per lo più, un mito, anche se dei più essenziali e fondanti nella vita degli uomini. Nell’epoca romantica l’identità, la nascita e lo sviluppo di una realtà e coscienza europea sul fondamento della fede cristiana, e, meglio, cattolica, furono elaborati nelle loro versioni più alte e feconde. È dubbio che la stessa altezza di pensiero e fecondità di svolgimenti abbia o possa avere quella tesi oggi, in un mondo e in un’Europa tanto mutati. Il che non toglie, peraltro, che si debba appieno riconoscere alla tradizione cristiana in Europa il luogo eminente, anche se non monopolizzante, che essa ha avuto, e continua, in altro modo e misura, ad avere.
Corriere della Sera 18.2.11
Lotta armata alla Berlinale: terroristi «eredi» del nazismo
Educazione e famiglia in Germania, le accuse di Veiel
di Paolo Mereghetti
«Senza Hitler, tu non ci saresti stato» . Lo dice la madre a Bernward Vesper e si riferisce alle campagne naziste per la natalità (il padre Will, poeta hitleriano, avrebbe preferito non avere figli), ma la battuta ha anche un valore metaforico, a proposito della generazione che negli anni Sessanta passò dalla contestazione alla lotta armata. È questo il tema del film di Andres Veiel Wer Wenn nicht Wir (Se non noi chi) che scava nei complicati rapporti familiari e nelle contraddittorie dinamiche psicologiche alla base delle scelte di vita di Bernward Vesper (August Diehl) e Gudrun Ensslin (Lena Lauzemis), il primo figlio di un poeta celebrato da Hitler che l’aveva educato al valore della letteratura ma anche al timore di un ordine gerarchico che informava l’universo tutto, la seconda figlia di un pastore protestante tanto rigoroso quanto tormentato (anche per aver accettato di combattere nell’esercito nazista pur non condividendone l’ideologia). Naturalmente Veiel (con un buon passato da documentarista) non è così determinista da far risalire ogni cosa all’educazione e alla famiglia, ma è lì che cerca le origini del radicalismo e delle scelte antisistema: Bernward non seguì Gudrun nel terrorismo (anche per odio/gelosia nei confronti di Andreas Baader) ma terminò ugualmente i propri giorni in maniera tragica, incapace di trovare uno sbocco positivo alla divaricazione tra ideali e vita quotidiana. Ed è proprio l’intensità bruciante con cui quei giovani vissero la propria ribellione antiborghese (nell’amore come nella politica) che il film fa risaltare con una radicalità piuttosto inusitata (se si pensa al brutto La banda Baader Meinhof di Uli Edel) e con qualche interrogativo non scontato. Ed è curioso che alla fine di un festival piuttosto deludente, proprio questo film contribuisca a far emergere il tema dominante di buona parte della selezione: l’incapacità delle nuove generazioni di reagire alle sfide della vita. I due amici turchi di Bizim büyük caresizligimiz (Il nostro grande dispiacere) di Seyfi Teoman non sanno prendere l’iniziativa di fronte all’amore che provano per la medesima ragazza. I fidanzati coreani di Saranghanda, saranghaji anneunda (Vieni pioggia, vieni sole) di Lee Yoon-ki scelgono di separarsi ma non hanno la forza di farlo davvero. E allo stesso modo era un rassegnato il protagonista del film argentino Un mundo misterioso di Rodrigo Moreno, o la coppia di The future di Miranda July o i contadini di A torinói ló di Béla Tarr (anche se qui pesa l’incombere di una tragedia apocalittica), così come i protagonisti di V subbotu di Alexander Mindadze. E quando non è il presente, è il ricordo del passato a schiacciare le vite, come alle due palestinesi emigrate a Londra nell’intrigante Odem (Rossetto) di Jonathan Sagall. Tutti film che lasciano in bocca il senso della sconfitta, ma non più vissuta guardando in faccia l’altro (come ci avevano insegnato Hemingway e Humphrey Bogart) ma subita con la rassegnazione di chi non sa più come opporsi a un mondo che non capisce.