Fotografato il «flash» chimico alla base della vista umana
L’invisibile attimo che trasforma gli impulsi in immagini
di Mario Pappagallo
Flash, il supereroe dei fumetti che ha il potere di muoversi a velocità straordinaria (fino all’invisibilità) sfidando le leggi della fisica, oggi sarebbe fotografabile. Grazie agli scienziati italiani, riusciti per la prima volta a immortalare l’iperveloce reazione chimica alla base della visione umana. Un flash della durata di molto meno di un milionesimo di milionesimo di secondo. È il tempo dei flash fotochimici che consentono l’avvio del meccanismo della visione. Tanti impulsi in sequenza che, «tradotti» dalle vie nervose, sono velocemente letti dal cervello e trasformati in immagini. Questi flash fotochimici sono stati per la prima volta fotografati e fissati in immagini da ricercatori italiani. Il tutto finora era teorico, virtuale, data la velocità con cui il di secondo. È il tempo dei flash fotochimici che consentono l’avvio del meccanismo della visione. Tanti impulsi in sequenza che, «tradotti» dalle vie nervose, sono velocemente letti dal cervello e trasformati in immagini. Questi flash fotochimici sono stati per la prima volta fotografati e fissati in immagini da ricercatori italiani. Il tutto finora era teorico, virtuale, data la velocità con cui il processo avveniva. Ostacolo superato dal genio italico, tra Milano (Politecnico) e Bologna (Università). Alla scoperta hanno partecipato anche l’Università di Berkeley (Usa), l’Università di Oxford (Gran Bretagna) e l’Istituto Max Planck di Mülheim (Germania). Le prospettive che si aprono sono molteplici e importanti, a cominciare dalla retina dell’occhio, le cui patologie sono spesso causa di cecità. Non solo. La fantasia corre verso nuovi tipi di memorie ottiche, verso motori molecolari azionati dalla luce che alimentano nano dispositivi, verso congegni artificiali fotosensibili che riproducono (appunto) il comportamento della retina. Il metodo «fotografico» inventato nei laboratori italiani potrà inoltre essere applicato per lo studio dei meccanismi di fotoprotezione nel Dna. Meccanismi essenziali per la salvaguardia e la trasmissione del codice genetico. Gli impulsi visivi sono uno dei fenomeni più rapidi in natura. Dall’istante in cui un fotone — la particella elementare di cui è fatta la luce visibile — colpisce le cellule della retina dell’occhio (o meglio una determinata molecola-sensore chiamata rodopsina), la prima reazione si conclude in molto meno di un milionesimo di milionesimo di secondo (cioè 0,000000000001 secondi). Solo un’apparecchiatura più veloce poteva immortalarlo. «Siamo stati in grado di realizzare un film in tempo reale di questo processo grazie a una speciale cinepresa che raccoglie i singoli fotogrammi attraverso flash di luce laser ultraveloci (della durata di pochi miliardesimi di milionesimi di secondo)» , spiega Giulio Cerullo del Politecnico di Milano. «Combinando queste informazioni con simulazioni teoriche realizzate con efficienti computer e con complessi programmi di calcolo— aggiunge Marco Garavelli, dell’Università di Bologna —, siamo quindi riusciti a seguire passo passo il velocissimo cambiamento di forma della molecola responsabile della visione umana e a capire il motivo per cui l’occhio è così sensibile» . Insomma, la cinepresa italiana sarebbe riuscita a filmare anche il mitico Flash, il personaggio creato da Gardner Fox e Harry Lampert nel 1940. L’esperimento ha anche fornito la prova dell’esistenza di un fenomeno conosciuto come «intersezioni coniche» . «I buchi neri sono delle singolarità dello spazio. Le intersezioni coniche possono essere viste come "buchi neri della chimica": singolarità che mettono in collegamento stati elettronici diversi della materia» , raccontano Garavelli e Cerullo. «Fino ad oggi queste regioni erano state previste solo teoricamente, eludendo ogni tentativo di osservazione diretta. In questa ricerca per la prima volta questi "buchi neri"sono stati osservati sperimentalmente, dimostrando la fondatezza delle previsioni teoriche. Si tratta di punti che, come in una sorta di "buco nero", catturano le molecole, accelerandone incredibilmente la reazione chimica e rendendola estremamente efficiente. Questa è, in fondo, la ragione dell’elevatissima sensibilità dell’occhio umano» .
l’Unità 14.12.10
Intervengono in aula i leader democratici, da D’Alema a Veltroni, da Bindi a Letta a Fassino
L’ex segretario del Pd cita De Gasperi: il premier rischia di gettare il paese nella sovversione
Bersani: «Il governo è finito Non si va avanti rubando voti»
Il Pd affronta compatto la prova della sfiducia. In aula parlano i big. D’Alema: «Berlusconi non è più il proprietario del centrodestra». Riunione dei parlamentari: niente assenze al momento del voto.
di Simone Collini
Berlusconi vuole la fiducia per andare a nuove elezioni. I parlamentari del Pd lo dicono ai colleghi del gruppo misto che incrociano nei corridoi di Montecitorio, a quelli che hanno cambiato casacca nelle ultime ore e che ora si dicono scettici o contrari alla mozione di sfiducia. E poi lo dicono apertamente anche nell’Aula della Camera, via via che nel corso della giornata si fa chiaro che da oggi, bene che gli vada, il premier potrà contare su una maggioranza troppo risicata per continuare a governare.
Bersani riunisce i vertici del partito la mattina e la raccomandazione è una sola: per 48 tutti concentrati sull’obiettivo di mandarlo a casa, ora niente distinguo sul dopo e soprattutto niente assenze al momento del voto. Anche la decisione di convocare una riunione del gruppo dei deputati per la sera serve a garantire la presenza a Roma di tutti con largo anticipo. I dirigenti del Pd assicurano che oggi non ci saranno assenze tra i loro 206 deputati, ma sono anche coscienti che le variabili sono troppe negli altri gruppi e che nella notte potrà succedere di tutto. Ma si lasciano anche con la convinzione che, in ogni caso, questo governo non reggerà. E che se pure oggi passasse potrebbe andar sotto già domani, quando si voterà il decreto sull’emergenza rifiuti in Campania.
BERLUSCONI IRRESPONSABILE
«È sempre più evidente che l’interesse del paese sarebbe formalizzare la crisi e dare vita a un governo di responsabilità istituzionale», dice Bersani conversando poi con i giornalisti, «solo l’irresponsabilità e un ego smisurato possono portare Berlusconi a non prenderne atto». Il leader del Pd, dopo aver affidato gli interventi di ieri a Bindi, Letta, D’Alema, Veltroni e Fassino (e al Radicale Turco), interverrà oggi per la dichiarazione di voto del suo partito (Franceschini prende la parola per chiedere come mai Berlusconi non sia in Aula a dibattito iniziato: «Vorrei sapere se sta utilizzando anche questi minuti per convincere qualche parlamentare indeciso»). Nel discorso di Berlusconi il leader del Pd non vede «niente di nuovo»: «Un po’ di bastone e un po’ di carota, neanche un barlume di consapevolezza dei problemi del paese. Forse continua a pesare più la compravendita che la sua retorica». Ma se questo è il quadro «la sequenza logica» è che il premier voglia la fiducia per poi andare a elezioni. «Non può pensare di governare rubacchiando un voto». Insomma se oggi Berlusconi dovesse evitare la sfiducia, «siamo daccapo, con in più Fli che è all’opposizione». E con Fini, assicura Bersani, «ci sarà lo spazio per una strategia d’opposizione comune». Se poi questo «governo precario» e questo «tramonto di Berlusconi» dovesse portare alle urne, dice in serata, il Pd non avrà paura delle elezioni «perché dopo 16 anni questo paese non ne più».
Per il Pd la via d’uscita da questa crisi rimane comunque un governo «di responsabilità nazionale» che approvi una nuova legge elettorale e affronti le emergenze economiche. D’Alema, che nel corso della giornata parla con Casini e anche l’ex-Idv Scilipoti, interviene in Aula dicendo a Berlusconi che se fosse uno statista si farebbe da parte nell’interesse del Paese: «Lei non è il leader del centrodestra, ne è stato a lungo il proprietario, credo ormai non lo sia più. Questa è la novità che gli italiani hanno di fronte». Anche Veltroni parla di un premier finito «in un vicolo cieco», da cui potrebbe uscire «solo con un atto di responsabilità, che non mi sembra in grado di compiere». L’ex segretario del Pd cita l’ultimo discorso in Parlamento di De Gasperi (a cui Berlusconi più volte si è richiamato), nel quale diceva che se un politico guarda ai suoi interessi personali e non a quelli del Paese getta la democrazia «nel mare agitato della sovversione». Bindi dice senza giri di parole che «chi vota la fiducia vota per le elezioni anticipate» e Letta dopo aver detto che il governo «si è ridotto a mendicare con mezzi che non fanno onore alle nostre istituzioni una fiducia minima», chiude il suo intervento citando la canzone di Bennato “Venderò”: «Ogni cosa ha il suo prezzo ma nessuno saprà quanto costa la mia libertà». Citazione che piace ai deputati di Futuro e libertà, meno a quelli che hanno cambiato casacca.
Repubblica 14.12.10
Bersani: il Pd pronto a lavorare con Fli
"E il voto non ci fa paura". Casini accusa: "Girati quattrini per far cambiare idea"
Il segretario dei democratici detta la strategia nel caso il governo ottenesse la fiducia
D´Alema evoca la Germania: "Lì le forze politiche sono capaci di trovare convergenze"
di Giovanna Casadio
ROMA Le urla dai banchi democratici a Berlusconi («Questa l´abbiamo già sentita») e Fini annuisce. L´intesa con Fli insomma c´è e, dice Bersani, soprattutto ci sarà: «Nel denegato caso, come dicono gli avvocati, in cui non passi la sfiducia, è evidente che da qui a un mese siamo daccapo, con in più Fli che è all´opposizione. Per carità, saranno due opposizioni diverse, ma ci sarà uno spazio per una strategia d´opposizione comune».
Giornata di riunioni ieri anche per l´opposizione alla Camera. Pier Ferdinando Casini, leader Udc, convoca i suoi nel pomeriggio e poi, in tv, attacca sul mercato dei voti: «Sono girati quattrini, si può anche cambiare idea ma non possono girare soldi». Il Pd si riunisce di mattina in un "caminetto" dei big e a sera tiene l´assemblea del gruppo, che serve per un "serrate le file" e per l´ultima chiamata di Dario Franceschini ai parlamentari: «Vincerà la sfiducia». Bersani accusa: «Il premier è un irresponsabile, l´interesse del paese sarebbe formalizzare la crisi, solo un ego smisurato può portare Berlusconi a non prenderne atto per dare vita a un governo di responsabilità istituzionale». È il leit-motiv dei Democratici, preoccupati dalle elezioni che aprirebbero una partita «pericolosa» per il paese e molto difficile per il partito, alle prese con la scelta delle alleanze e con i malumori interni. In aula intervengono ben cinque big democratici (Letta, D´Alema, Fassino, Veltroni, Bindi); Fioroni è critico: «Vuol dire che siamo sicuri di vincere se ci mettiamo tante facce e quasi tutte di ex segretari Ds... «. D´Alema incalza: «Lei è stato a lungo il proprietario del centrodestra, ora non lo è più». E se si andrà al voto, aggiunge, «se sfida ci sarà, noi non ne abbiamo paura; lei non è invincibile e le elezioni le ha già perse due volte». Però la strada migliore è un´altra, quella tedesca della Grosse Koalition, perché «le forze politiche in certi momenti sono capaci di trovare convergenze». Insomma ci vorrebbero le dimissioni del premier che portino a «un nuovo governo di centrodestra o a un governo di responsabilità nazionale». Anche Veltroni (con il quale D´Alema si complimenta) rilancia, rivolto a Berlusconi: «Lei è in un vicolo cieco e ne potrebbe uscire solo con un atto di responsabilità che non è in grado di compiere». Lo spauracchio delle urne tiene banco. Proprio se Berlusconi oggi dovesse vincere sono più vicine. Gli ex popolari di Modem si vedono a cena (oggi si riuniranno tutti i "75" con Veltroni e Gentiloni;) Bersani invece è alla cena del Pd Lazio con gli imprenditori: «In ogni caso questo governo finisce, non può garantire più stabilità al paese. Le elezioni non ci fanno paura. Noi dovremo rimediare ai suoi danni». Bindi: «Chi vota la fiducia, sceglie le elezioni anticipate». Il Pd pensa di esserci al completo: Marco Fedi, malato, è venuto dall´Australia per votare. Al Senato, Emma Bonino, la leader radicale dice al premier: «Guardare oltre il voto, perché se pure lei ottiene la fiducia lo scenario sarà ancora peggiore di quello vissuto finora».
l’Unità 14.12.10
DaI Colosseo a piazza Venezia, Botteghe Oscure, Corso Vittorio, Lungotevere, piazza del Popolo
La Questura «La gestione dell’ordine pubblico sarà flessibile e modulata caso per caso»
La città proibita della politica sotto l’assedio dei movimenti
Grande corteo «gioioso e pacifico» con i book-block, i libri scudo di gommapiuma. Ma non sono escluse azioni per far sentire la voce di chi protesta «nei palazzi del potere». La Questura: «Scenario complesso».
di Jolanda Bufalini
I titoli dei libri scudo sono stati scelti con un sondaggio on line organizzato dagli studenti di uniriot: il più votato è stato «Volontà di sapere» di Foucault, al secondo posto c’è «1984» di George Orwell e al terzo «Il cavaliere inesistente» di Italo Calvino ma c’è anche «Fahreneheit 451», «La tempesta» di Shakespeare, Q Luther Blisset, «Shock Economy» di Klein, «I Demoni» di Dostoevskij. Più di 5000 i votanti di cui il 30 per cento da Nanterre-Parigi. L’idea ha fatto strada, anche gli studenti cinesi chiedono istruzioni su come costruirli: gommapiuma e plastica, «L’attacco alla cultura è il nostro futuro negato», dice Francesca, studentessa di lettere alla Sapienza di Roma e «i Bookblock sono un simbolo immdiatamente riconoscibile delle nostre ragioni».
SCENARIO COMPLESSO
Scenario «complesso» dicono alla Questura, «assedio» è la parola che passa di bocca in bocca, di movimento in movimento: «assedio sonoro», «assedio ai palazzi del potere», «assedio a Montecitorio». Un popolo variegato si è dato appuntamento in tre piazze di Roma, movimenti territoriali, «uniti contro la crisi», studenti universitari, studenti medi, ricercatori, Fiom, che ha aderito agli appelli della rete antirazzista, di «uniti contro la crisi» e degli studenti. E poi: «tutti a casa» (il movimento dei lavoratori dello spettacolo che invase il Red Carpet alla festa del cinema di Roma) mentre la Flc-Cgil ha indetto un’ora di sciopero, popolo viola e aquilani terremotati (con lo striscione “macerie di democrazia”, i caschetti gialli e le bandiere verde-nere della città), i comitati anti-discarica di Terzigno, Chiaiano e tutti movimenti sorti in difesa dei beni comuni. I pullman dal resto d’Italia sono cominciati ad arrivare già ieri sera: Napoli, Pisa, Bergamo, Nord-Est, Pomigliano d’Arco, Fincantieri di Marghera e di Ancona. Gli universitari romani partiranno da piazzale Aldo Moro (Sapienza) e dall’Ostiense (Roma3), gli studenti medi si raccoglieranno nelle rispettive zone per raggiungere piazza Esedra, tutti i cortei confluiranno al Colosseo dove c’è l’appuntamento dei movimenti territoriali alle 10 e 30. La previsione è di almeno 50.000 persone che, a quel punto, muoveranno verso piazza Venezia.
L’incognita è lì. Per la Questura «non c’è una zona rossa predefinita e ci prepariamo a gestire le situazioni all’impronta, eventuali chiusure saranno decise per motivi di sicurezza e di ordine pubblico in modo flessibile, valutando volta per volta». Millecinquecento gli uomini delle forze dell’ordine mobilitati. Non la chiamano «zona rossa» però le autorizzazioni per piazza Montecitorio sono state negate, sarà «garantito il diritto di manifestare a chi ha «preannunciato o è stato autorizzato», aggiunge la Questura, però la zona intorno al Parlamento era già isolata ieri sera.
CONFLITTO E CONSENSO
Per gli studenti e i movimenti, però, è importante far sentire la propria voce «per la sfiducia dal basso» e quindi arrivare quanto più vicino alle sedi del dibattito parlamentare. Conflitto e consenso i termini da combinare. «Gli studenti hanno saputo suscitare un conflitto intelligente capace di conquistare consensi molto al di là della sinistra», dice un veterano dei movimenti romani come Andrea Alzetta (Tarzan). «Non siamo preoccupati» spiega Francesca, la studentessa di lettere, «noi abbiamo le nostre pratiche pacifiche e comunicative, gioiose. Certo il 30 novembre il centro storico barricato è stato un sintomo della debolezza del governo e della politica, ciò che è consentito negli altri paesi europei, da noi non è stato permesso». E allora? «Tutto dipende dalla gestione della piazza». Conflitto e consenso, «rabbia come quella espressa dagli studenti inglesi». Il corteo da piazza Venezia imboccherà Botteghe Oscure, corso Vittorio Emanuele e poi il Lungotevere. Raggiungerà piazza del Popolo dove si terrà una «grande assemblea popolare». Ma non sono escluse altre azioni per far sentire le voci della protesta nei palazzi dove si discute la fiducia e dove potrebbe essere calendarizzato, se l’esito sarà favorevole a Berlusconi, il Ddl Gelmini sull’università. E c’è a chi sono piaciuti i lanci di uova contro le sedi Cisl, «Meglio un uovo oggi che la cancellazione dei diritti domani», recitava una scritta trovata in una delle sedi contestate.
Mobilitazioni cittadine e regionali del movimento degli studenti e dei ricercatori anche nel resto d’Italia. Continuano le occupazioni sui tetti e ci saranno (sostenute anche da Flc-Cgil) le occupazioni simboliche dei rettorati. La Rete 29 aprile fa sapere che, se la legge Gelmini sarà approvata, l’indisponibilità dei ricercatori alla docenza sarà rinnovata anche nel secondo semestre.
l’Unità 14.12.10
«Portiamo in piazza l’indignazione di una generazione»
«Grideremo “noi non siamo sfiduciati” mentre in Parlamento si deciderà il futuro di questo governo: per cambiare l’Italia pochi voti non bastano. Serve ricostruire un senso comune»
di Roberto Iovino
Nel buio della democrazia italiana uno spiraglio di luce c’è. Oggi da nord a sud, a prescindere dall’esito del voto di fiducia, le piazze del nostro paese saranno piene di studenti e studentesse, e questo rappresenta un fatto politico nuovo. Come nuova è l’idea di partecipazione popolare che abbiamo praticato lungo tutto l’arco di questo autunno, non solo manifestazioni “contro” ma una riappropriazione reale della politica, parola troppo spesso associata alla compravendita di parlamentari e a scandali sessuali.
In Italia c’è un fatto nuovo, gli studenti e le studentesse hanno suonato la sveglia ad un paese da anni atrofizzato dal berlusconismo come dottrina del controllo e del consenso. Abbiamo posto sul piatto l’indignazione di un’intera generazione, decisa a costruire un’alternativa alla fuga, a denunciare lo sfruttamento esistenziale a cui ci condanna la precarietà, a urlare a squarciagola il vuoto di senso in cui versano scuola e università.
Non siamo solo noi i “senza futuro” ma rischia di esserlo l’intero sistema/paese. E allora perché scendere in piazza proprio nel giorno in cui si deciderà il futuro politico del nostro paese? Perché noi non abbia-
mo nessuna intenzione di essere spettatori, in un verso come nell’altro. Il berlusconismo non finisce con Berlusconi e noi pensiamo di avere gli anticorpi giusti, pensiamo di poter costituire un pezzo fondamentale del rinnovamento culturale di un paese che annega nel degrado. Pensiamo che costruire un’alternativa sia possibile solo tramite la contaminazione della carica positiva che abbiamo portato nelle piazze, nelle scuole e nelle università.
Per questo oggi saremo in piazza al grido di «noi non siamo sfiduciati», perché se in parlamento tutto si giocherà per pochi voti, per cambiare l’Italia i voti non bastano, serve invece ricostruire un senso comune che noi sentiamo di condividere. La nostra, quindi, è una battaglia rivolta a tutto il paese e in questo momento siamo convinti di essere in vantaggio, di poter vincere.
Se la fiducia a Berlusconi dovesse venire meno sarà anche merito nostro, come merito nostro sarà ricostruire l’Italia dalle macerie in cui versa. Abbiamo deciso di uscire fuori a riveder le stelle, convinti che tutto il paese debba uscire con noi a rivedere questo meraviglioso spettacolo.
il Fatto 14.12.10
Il Quarto Stato marcia su Roma
Mentre continuano i giochi di palazzo i cittadini assediano la piazza:
«Ora basta»
di Caterina Perniconi
Oggi il Quarto Stato marcerà su Roma. Mentre in Parlamento Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini misureranno deputati e distanze al centimetro, i cittadini scenderanno in piazza. Gli stessi che il premier ha invocato nel suo discorso come “sovrani”, arriveranno nella Capitale per sfiduciarlo “dal basso”.
Non solo studenti, quindi, in corteo verso Montecitorio, ma anche tutti quelli che negli ultimi due anni e mezzo hanno pagato un prezzo troppo alto per la gestione del paese portata avanti dal governo Berlusconi. Ci saranno rappresentative dei terremotati de L’Aquila, delegazioni dalla Campania con i sacchetti d’immondizia al seguito, gli operai di Pomigliano d’Arco, gli immigrati asserragliati sulla gru a Brescia, precari da tutta Italia e studenti mobilitati contro la riforma Gelmini dell’Università.
PER L’OCCASIONE la città sarà inevitabilmente bloccata e blindata con un piano straordinario senza precedenti: più di duemila uomini circonderanno il centro di Roma, con una “zona rossa” che la Questura definisce “flessibile” a seconda delle necessità e “dell’atteggiamento dei manifestanti”, che si prevede siano più di centomila. Di certo, nel-l’unica occasione in cui il nostro paese si è trovato a dover fronteggiare una situazione di tensione simile, con una “zona rossa” così ampia, non è stato all’altezza. E il G8 di Genova è ancora una ferita aperta.
Il blocco vuole impedire ai manifestanti di raggiungere i Palazzi del potere. Ai parlamentari è stato chiesto di affrettarsi nel raggiungere il Senato e la Camera per non incontrare i contestatori. I cortei saranno molteplici: l’appuntamento è per gli studenti “medi” alle 9:30 in piazza della Repubblica , per gli universitari alla stessa ora in piazzale Aldo Moro, di fronte all’ingresso de La Sapienza, mentre la società civile si raccoglierà al Colosseo alle 10:30, guidata dal Popolo Viola.
“Sono in arrivo 60 pullman da tutta Italia – spiega Claudio Riccio, del coordinamento universitario Link – sarà una manifestazione importante, non legata solo ai temi studenteschi, ma a quelli del futuro del paese”. In piazza scenderanno anche i ricercatori della Rete 29 aprile che hanno protestato sul tetto nelle ultime settimane.
“Cercheremo di avvicinarci quanto più possibile al centro – ha detto Stefano Vitale, dell’Unione degli studenti – perché vogliamo portare i nostri regali al governo, pacchi pieni di soldi fasulli, come le loro promesse”.
LE PROTESTE non si svolgeranno solo a Roma. Sit-in e flash mob caratterizzeranno tutte le più importanti piazze italiane. Atteso a Milano un corteo di studenti e di precari che partirà alle 9:30 da largo Cairoli. A Torino l’appuntamento è alle 9 a piazza Arbarello. Alla stessa ora concentramenti anche a Napoli e Palermo. Per dire “basta” all’era berlusconiana.
il Fatto 14.12.10
Costituzione e “segretezza”
“Le sedute sono pubbliche: tuttavia ciascuna delle due Camere e il Parlamento a Camere riunite possono deliberare di adunarsi in seduta segreta”. Nell’articolo 64 della Costituzione, al comma 2, esiste effettivamente l’opzione della “seduta segreta”, ma la possibilità “eccezionale”, ricorda il sentatore Pd e costituzionalista Stefano Ceccanti, “di una seduta segreta fu inserita su particolare sollecitazione del democristiano Giovanni Uberti motivandola sulla base di un precedente relativo alla prima guerra mondiale per affrontare questioni di politica estera che non potevano essere trattate in pubblico”. Il 20 settembre del 1946, il padre costituente Uberti, che sarà anche sindaco di Verona all’inizio degli anni ‘50, ritenne che si dovesse tenere aperta questa opzione proprio ricordando la specificità di alcune decisioni di politica estera. “Con tutta evidenza chiosa Ceccanti essa non è in alcun modo utilizzabile per una seduta relativa a voti di fiducia e sfiducia per i quali la Costituzione (art. 94, comma 2) prevede l’appello nominale, collegata indissolubilmente alla pubblicità della scelta”.
l’Unità 14.12.10
L’atroce destino dei minori migranti cacciati come gli adulti
Il Comitato per i minori stranieri non accompagnati (organo istituito presso il ministero del Lavoro) ha calcolato che dal 2000 al 2009 il dato che ne quantifica la presenza oscilla tra le 7/8 mila unità. Si tratta di un dato approssimativo in quanto non tutti gli arrivi vengono registrati, a causa delle reti criminali che li gestiscono, e anche quando la registrazione avviene è forte il rischio di una fuga successiva. Infatti, l’Italia non è considerata generalmente la meta finale ma una via di transito verso altri paesi come la Svezia o la Norvegia. Le modalità di arrivo sono quelle, via mare e via terra, riportate dalla cronaca: viaggi estenuanti a bordo di barconi affollati oppure – ed è ancor peggio, se possibile – precariamente appesi al fondo di un tir o nascosti all’interno del suo carico. L’ultima notizia del genere è di qualche giorno fa: undici ragazzi afghani tra i 13 e i 17 anni scaricati da un camion sull’Autostrada del Sole, sono stati intercettati dai carabinieri a San Cesario e affidati a una struttura di prima accoglienza. Il fatto è in linea con quanto avviene solitamente: l’età dei minori arrivati, la provenienza (si tratta infatti di paesi in stato di guerra o di guerra civile), la modalità di arrivo e la successiva sistemazione. Al momento dell’arrivo si provvede ad affidare la persona a una comunità o a una famiglia, garantendo un titolo di soggiorno (per minore) valido fino alla maggiore età. E poi? Se non c’è un lavoro o un percorso di studio avviato con una regolare documentazione, interviene la legge italiana in materia di immigrazione che, oltre a non essere comprensiva nei confronti di chi è irregolare, non predispone adeguate politiche di accompagnamento.
l’Unità 14.12.10
L’esposto presentato dall’associazione Telefono Viola alla procura
Il nosocomio smentisce e annuncia una indagine interna
Abusi nei reparti di psichiatria del Niguarda: 5 decessi sospetti
La denuncia in procura dell’associazione Telefono Viola: morti e abusi nei reparti psichiatrici dell’ospedale Niguarda. La direzione sanitaria respinge le accuse. Il Pd con Marino chiede un’istruttoria ai carabinieri.
di Giuseppe Vespo
Pazienti legati ai letti per giorni, violenze e lesioni, morti per maltrattamenti: le corsie dei tre reparti di psichiatria dell’ospedale Niguarda, uno dei più grandi di Milano, sono un inferno per chi viene ricoverato. Almeno così vengono descritte nell’esposto presentato ieri dall’associazione Telefono Viola con l’avvocato Mirco Mazzali alla procura del capoluogo lombardo. Secondo la denuncia, in cui si ipotizzano reati che vanno dall’omicidio alle lesioni, tra il 2005 e il 2010 cinque persone sarebbero morte a seguito degli abusi del personale medico, mentre altre cinque avrebbero subito forti lesioni.
Casi come quello del signor Filippo S., in gergo (non molto elegante) definito un «residuo manicomiale»,
ricoverato in un reparto di psichiatria del Niguarda il 10 marzo scorso e morto sette giorni dopo. Secondo quanto ricostruito nell’esposto, intontito dai neurolettici il paziente sarebbe stato abbandonato a se stesso durante il pranzo e il cibo l’avrebbe soffocato. Medici e infermieri, dicono quelli del Telefono Viola, avrebbero dovuto sapere che intense terapie di neurolettici (detti anche neuroparalizzanti) possono sviluppare disfagia iatrogena, quindi soffocamento. Filippo S. non sarebbe stato l’unico a morire in questo modo: la stessa sorte sarebbe toccata ad un’altra paziente, la signora Maria Graziella B., morta a 71 anni il 13 gennaio.
La signora Rita F., invece, viene ricoverata in una delle tre strutture psichiatriche del Niguarda il 2 marzo 2006. Entra in ospedale con le sue gambe, ma secondo quanto denunciato, ne esce sulla sedia a rotelle. Ad impedirle di camminare sarebbero state le piaghe da decubito provocate dalla lunga «contenzione», ovvero dalla pratica (non vietata dalla legge) di legare i pazienti a letto. Rita, che si sarebbe mostrata reticente alla cura del medico, sarebbe stata legata per troppo tempo, tanto da causarle oltre alle piaghe anche infezioni alle vie urinarie, trombosi venosa e tromboembolia polmonare. La «contenzione» al Niguarda, dice Giorgio Pompa del Telefono Viola, è praticata ai limiti della «tortura». Prova ne sarebbe la testimonianza della signora Marinella S., una paziente che secondo la denuncia sarebbe stata legata al letto per 438 ore consecutive, cioè 18 giorni e sei ore. Un tempo, si legge nel documento presentato ai magistrati, «pari a trentasei volte la durata massima della contenzione consigliata dai protocolli». E ancora: «Al Grossoni 2 (uno dei tre reparti di psichiatria, ndr) sono riportate le centinaia di firme del controllo della lunghissima contenzione». Al Niguarda sarebbe poi «avallato» anche «lo spallaccio»: pratica che consiste fissare il paziente «supino con un lenzuolo arrotolato che ferma le spalle al piano del letto». L’ospedale respinge le accuse sulle violenze e annuncia l’apertura di un’indagine interna da parte della direzione sanitaria e del dipartimento di salute mentale. Mentre il senatore Pd Ignazio Marino, già impegnato su questo fronte con la Commissione parlamentare d’inchiesta sul servizio sanitario, ha chiesto ai carabinieri un’istruttoria su quanto denunciato.
l’Unità 14.12.10
La denuncia di padre Zerai: «Sappiamo chi è il sequestratore, si chiama Abu Khaled»
Tra i 250 prigionieri nel Sinai ci sono almeno 80 profughi scappati dai lager libici
«Gli eritrei prigionieri a Rafah L’Italia sa tutto, deve salvarli»
Padre Zerai ha fatto il nome del capo della banda. Ha indicato la città dove sono tenuti in ostaggio. Lo ha detto a funzionari della Farnesina. Ma il governo egiziano continua a negare l’esistenza dei 250 ostaggi eritrei.
di Umberto DE Giovannangeli
Il suo nome è Abu Khaled. È lui il capo della banda di predoni che da oltre un mese tiene in ostaggio 250 eritrei, somali, uccidendoli uno dopo l'altro se non pagano 8mila dollari a testa. La città-prigione è nota alle cronache (di guerra) internazionali: Rafah, tra Egitto e la Striscia di Gaza. «Ho fatto nomi e località a funzionari della Farnesina che a loro volta mi hanno assicurato di averli trasmessi all'Ambasciata italiana al Cairo...Ma le autorità egiziane continuano a sostenere di non saperne nulla, per loro quelle persone sembrano non esistere..», dice a l'Unità don Mussie Zerai, sacerdote eritreo e presidente di Hadashia, l'Ong che si occupa dell'inserimento dei migranti africani in Italia».
TRAGEDIA INFINITA
La mattanza continua. Nell'inerzia del Governo egiziano. E nell'immobilismo della Comunità internazionale. Sono almeno 8 gli ostaggi finora uccisi. Gli ultimi erano due «diaconi»: «Li chiamavano così spiega don Zerai perché erano gli animatori del gruppo, coloro che organizzavano le preghiere collettive, leggevano la Bibbia...Li hanno prima picchiati selvaggiamente e poi li hanno uccisi». L'ultimo contatto telefonico risale a sabato pomeriggio: «Su molte persone riferisce il prelato – grava anche la minaccia dell'espianto di organi per pagare il loro riscatto». «Altri ostaggi aggiunge sono in fin di vita dopo essere stati picchiati selvaggiamente sabato pomeriggio, mentre da qualche giorno viene negata loro l'acqua da bere e vengono costretti a bere la loro urina». Quello che sta accadendo è una barbarie», sottolinea il sacerdote chiedendo ancora una volta che «la comunità internazionale condanni tutto ciò e richiami il Governo egiziano ad intervenire con decisione per sottrarre queste vite umane dalle mani dei trafficanti e il loro complici in quella regione del Sinai». «Non si possono più aspettare i tempi della diplomazia insiste il missionario eritreo perché la gente sta morendo a causa della fame e della sete quando non è massacrata di botte. Al Governo italiano torno a chiedere, a implorare un suo intervento sul Governo egiziano perché intervenga con decisione per sottrarre queste vite umane dalle mani insanguinate dei trafficanti e dei loro complici nel Sinai». Don Zerai non lo dice, ma fonti bene informate rivelano a l’Unità che i predoni godono di protezione tra la polizia di Rafah.
ROMA COLPEVOLE
Dal Cairo, il ministro degli Esteri egiziano Ahmed Abul Gheit si è detto nuovamente «sorpreso» delle affermazioni «europee» circa questo gruppo di eritrei che si presume sia tenuto in ostaggio in Sinai e su cui il dicastero dell'Interno «non ha alcuna informazione». Dal punto di vista egiziano è certo solo che un gruppo di eritrei ha tentato di arrivare in Italia e che, dopo essere stato fermato, ed è stato rimandato in Libia; almeno 83 di loro si sono infiltrati in Egitto ed hanno cercato di attraversare il canale di Suez, senza però riuscirvi. Nell’affermarlo, Abul Gheit ha aggiunto che ci sono tentativi per fare entrare clandestinamente immigrati nel Sinai per arrivare in Israele, ma che il Governo egiziano fa del suo meglio per prevenire questo fenomeno.
I REDUCI DA BRAK
Secondo la ricostruzione di padre Zerai molti di quegli 80 suoi connazionali sarebbero stati respinti dall’Italia (dove avrebbero avuto diritto di asilo) in Libia nel 2009, quindi rinchiusi nel carcere di Al Brak. Dopo qualche mese gli 80 escono a seguito di una amnistia. Si disperdono nel deserto, non potendo tornare in Eritrea dove verrebbero incarcerati nuovamente e molto probabilmente giustiziati. Sono intrappolati: l’Italia li ha respinti, la Libia se ne è lavata le mani. Riescono a mettersi in contatto con un gruppo di trafficanti che promettono, per 2.000 dollari a testa, di farli arrivare nel Sinai e di lì in Israele. Il destino di questo gruppo di eritrei è comune a decine di altri immigrati provenienti da vari Paesi africani che tentano di raggiungere Israele risalendo l'Africa, attraversando il Mar Rosso e tentando di risalire il Sinai fino ad arrivare alla frontiera. Proprio per arginare questo fenomeno Israele ha cominciato, il 22 novembre scorso, a costruire una barriera anti immigrati clandestini lunga 240 chilometri per rendere la sua frontiera con l'Egitto impermeabile a uomini, ma anche a traffici di altro genere. Secondo stime della stampa israeliana, dall'inizio del 2010 sono entrate illegalmente nel Paese 12mila persone e il numero mensile di ingressi è in aumento costante. Trasportati su camion cisterna o per il bestiame, gli immigrati arrivano nel Sinai e devono pagare 1.000 dollari ai trafficanti, spesso armati, che percorrendo i sentieri montagnosi del Sinai li avvicinano al confine con Israele. Spesso vengono presi in ostaggio. E se non pagano altre migliaia di dollari, uccisi.
il Fatto 14.12.10
La verità sugli immigrati
di Ignazio Marino
Per lavorare da immigrato avevo fatto anche io il mio test di lingua inglese. Nonostante questo la centralinista dell’ospedale mi riconosceva sempre prima che finissi di dire “good morning” per il mio forte accento straniero. Sono arrivato in America a metà degli anni Ottanta e, come tanti, sono rimasto con un visto a studiare, ma anche a lavorare come chirurgo. La mia situazione non era stabile e annualmente dovevo rinnovare i documenti e farmi riprendere le impronte digitali. La cittadinanza americana è arrivata dopo diversi anni. Ma questo non mi impedì di divenire il direttore del Centro Trapianti del Veterans Affairs Medical Center, l’unico dipartimento per trapianti di fegato appartenente al governo degli Stati Uniti.
In Italia potrebbe accadere? Permetteremmo, per esempio, a un marocchino di 37 anni di dirigere l'Agenzia Spaziale Italiana oppure il Consiglio Nazionale delle Ricerche?
L’invasione straniera
MI SEMBRA che la politica di questi tempi, anche a livello locale, sia molto impegnata nel rassicurare chi è preoccupato per una "invasione straniera" incapace di integrarsi: è una cultura che si nutre di provvedimenti simbolici e di ipertrofia burocratica, di affermazioni e scandalose campagne xenofobe, come il sapone anti-immigrati distribuito qualche mese fa dalla Lega Nord nell'aretino; oppure del principio che lega il diritto di voto esclusivamente alla cittadinanza e non, ad esempio, alla contribuzione fiscale.
I diritti, tuttavia, dovrebbero accompagnare le regole perlasicurezza:ildirittoalle cure, allo studio, al lavoro, ad avere un tetto sulla testa. Il rispetto della dignità personale dovrebbe essere al centro delle decisioni, come ha chiesto Mohammed Fikri, il ragazzo marocchino accusato per errore della scomparsa di Yara Gambirasio.
Contraddizioni leghiste
COME MAI la Lega non ha alcun problema a concedere spazio ai cittadini extracomunitari quando si tratta di accudire i nostri anziani, pulire le nostre case, mandare avanti le fabbriche, raccogliere pomodori? Per la Lega è importante che siano invisibili e muti, resi incerti da una legge (la Bossi-Fini) che ha dimostrato di non funzionare e ha creato maggiore clandestinità. Il nostro dovere, invece, è di rendere più semplice la regolarizzazione per chi lavora e rispetta le leggi: barriere burocratiche insormontabili e incomprensibili fanno solo proliferare l'illegalità.
Sfatiamo qualche luogo comune. Non è vero che "vengono tutti qui": da noi gli immigrati rappresentano il 6% della popolazione, contro il 12 dell'Irlanda, l'11 della Spagna il 10 dell'Austria e l'8 della Germania. Non è vero che "nei loro paesi non ci fanno costruire le chiese": in Marocco, ad esempio, i cattolici sono circa 27 mila (su una popolazione di 34 milioni di persone) e hanno 3 cattedrali e 78 chiese. Non è vero, inoltre, che "vengono qui e ci rubano il posto, lavorando in nero": semmai contribuiscono a pagare le nostre pensioni, visto che il 92% degli immigrati con permesso di soggiorno sono iscritti all'Inps . Di più, contribuiscono alla produzione del Pil per l'11%, secondo i dati della Caritas.
Un bimbo afghano
RAMLAH è un bambino afghano di 9 anni, giunto in Italia 3 anni fa, perché la sua mamma ha pagato mani estranee affinché lo portasserovia.Nelcongedarsi,con le lacrime che le rigavano il volto, gli disse: “Figlio mio, voglio che tu cresca in un paese dove non rischierai di saltare su una mina, dove se ti ammalerai potrai essere curato e dove potrai studiare”. E Ramlah studia e parla bene l’italiano. L’immigrazione assieme alla tutela dell’ambiente sono le sfide della nostra epoca. Dobbiamo affrontarle con razionalità, rigore, intelligenza, e non diffondendo paura e odio. Ecco la verità. Alla luce di ciò, a mio avviso, gli unici che dovrebbero prendere "cammelli e barchette" e andare a casa (per citare un celebre adagio anti-immigrati) sono la Lega e il Partito dell'Amore.
il Fatto 14.12.10
Se lo Stato cede alla Chiesa
di Ferruccio Sansa
Disarmati. Impotenti. Così si sentono oggi tanti cattolici italiani di fronte all’ennesima improvvida ingerenza politica del cardinale Bertone. Ma che cosa può fare un cattolico per manifestare la propria profondissima disapprovazione verso gli uomini che rappresentano la sua Chiesa (e più in profondità perfino la sua fede)? Si parlava una volta di cattolicesimo del dissenso. Ma quando i motivi di distacco prevalgono su quelli di unione allora bisogna affrontare questioni più profonde. Mettere in discussione perfino un’appartenenza che ti porti dentro da bambino, che è una delle ragioni fondanti della tua persona. Già, pensi per un attimo a un gesto di protesta personale, ad abbandonare la messa. Ma capisci che non avrebbe senso: chi se ne accorgerebbe, chi ne sarebbe turbato, a parte te che ti priveresti di un colloquio di cui hai bisogno? Nessuno.
E POI PERCHÉ punire quei poveri sacerdoti già lasciati soli in chiese vuote, uomini che – tra l’altro – spesso si trovano altrettanto spaesati di fronte a una Chiesa cui hanno dedicato la vita e di cui non capiscono più le decisioni? Ma allora, che cosa... allontanarsi definitivamente da questa Chiesa? No, non bisogna lasciarla a loro, perché non è soltanto di Ratzinger e di Bertone, non più di quanto sia nostra, come insegna San Paolo: ognuno è un membro dello stesso corpo, nessuno più importante dell’altro.
Lo smarrimento – di fronte alle immagini di Bertone e Berlusconi sorridenti, oppure ai resoconti delle incredibili cene a casa Vespa – può arrivare perfino a far vacillare la stessa fede già messa a dura prova dal dolore che spesso sembra prevalere in questo mondo. Ma qui non stiamo parlando nemmeno più della stretta attualità. Ormai tanti cattolici e cittadini italiani hanno rinunciato a sperare che questa Chiesa riesca ad afferrare il significato della parola laicità. Tornano in mente le cristalline parole del cardinal Mar-tini: “Io penso che sia di Cesare tutto ciò che riguarda il potere, il ben-essere, il ben-avere, il volere; e siano invece di Dio il servizio, l’umiltà, la povertà, l’essere, il dono, la carità”. I cattolici sono rassegnati di fronte alla perversa commistione tra gerarchie ecclesiastiche e potere, di cui la cronaca offre quotidiani esempi: dalla strenua difesa di Antonio Fazio, ai conti opachi dello Ior, fino all’appoggio a Berlusconi per mendicare due soldi per le scuole private. Sono allibiti di fronte al sostegno che la Chiesa concede a uno schieramento che lancia ogni giorno messaggi intrisi di razzismo e immoralità.
IL PUNTO è un altro. Avvilisce (e smarrisce) nelle notizie delle “trattative” tra Bertone e Berlusconi la debolezza della Chiesa, la totale mancanza di fiducia che le gerarchie ecclesiastiche manifestano nel proprio messaggio. No, non si chiede al Vaticano di schierarsi a sinistra, piuttosto che a destra. Anzi, si chiede soltanto alla Chiesa di essere testimone – coerente – del Vangelo.
Non sono le leggi che salvano formalmente la tutela della vita nello stesso istante in cui concretamente l’esistenza degli immigrati viene calpestata. Non sono le scuole cattoliche che salvano la fede. È piuttosto la testimonianza. E sbaglia, di quanto!, chi pensa che i cattolici – e non solo loro – respingano il rigore, perfino la severità del rivoluzionario messaggio di Cristo. Anzi, proprio questo attendono in tanti: qualcuno che ci ricordi di amare il nemico e ci ripeta ogni giorno che beati sono i miti, i poveri, chi ha fame e sete di giustizia. Qualcuno che invece di accanirsi sui diritti degli omosessuali ricordi le parole di Sant’Agostino: “Ama e fai ciò che vuoi”.
È falso che gli uomini contemporanei non credano più nel messaggio del Vangelo. Si allontanano piuttosto dalla Chiesa perché nei suoi vertici non vedono più chi lo testimoni. Ma poi si trovano soli, smarriti, e perdono anche la fede.
Repubblica 14.12.10
Un bel sorriso alla gravidanza
Sedici su cento sperimentano varie forme di depressione, poche chiedono aiuto, pochissime vengono curate. Per le donne incinte arriva una campagna triennale sul web e sui cellulari, mentre aprono sei centri di riferimento
Gravidanza e nascita non sempre sono periodi felici per la madre e la coppia. Tant´è che il 16 per cento delle donne sperimenta una qualche forma di depressione perinatale. Poche quelle che chiedono aiuto, poche quelle curate. Per loro, per farle sentire meno sole e rompere il muro di silenzio, inizia la Campagna triennale "A smile for moms" promossa dall´Osservatorio nazionale sulla salute della donna (Onda) che stavolta mette in campo tutti gli strumenti di comunicazione (Sms, Tim Spot, You Tube, Facebook) incluso un sito dedicato, una rete regionale di sei Centri di riferimento a Milano, Torino, Pisa, Ancona, Napoli, Catania, e una mozione presentata da 68 parlamentari bipartisan, appena approvata in Senato.
«La gravidanza è un momento di profondi cambiamenti e di sentimenti contrastanti per la donna che non sempre è in grado di affrontarli ed esprimerli - dice la presidente di Onda, Francesca Merzagora - per questo abbiamo deciso di occuparcene, per evitare che diventino vera malattia». Sono 90 mila le donne che ogni anno in Italia soffrono di un disturbo più o meno grave dell´umore, di loro meno della metà riceve aiuto. Perché la depressione è una malattia taciuta e perché mancano allo stato attuale le competenze. «Chiediamo al governo - sottolinea la senatrice Emanuela Baio - che dentro gli ospedali vi sia personale sanitario formato e capace di individuare una donna in difficoltà e che siano garantiti assistenza e accesso alle cure per evitare che la depressione si aggravi».
In attesa che vengano emanate presto le linee guida della gravidanza fisiologica, una raccomandazione del ministro della Salute, Ferruccio Fazio, ai professionisti degli ospedali e del territorio: «È opportuno rivolgere attenzione agli incontri con la futura mamma per rilevare anche il minimo disagio, un aiuto può essere quello delle domande aperte».
Da considerare, inoltre che la nascita, il rientro a casa e l´avvio della quotidianità aprono scenari complessi e faticosi: il 70-80% delle mamme, attempate o giovani, scivola nella malinconia puerperale, una forma di labilità emotiva fastidiosa ma transitoria che nulla ha a che vedere con la più importante e meno frequente depressione post partum che riguarda il 10-15 per cento delle donne.
(mp. s.)
«Faccio sogni chiari, a colori, ha idea di quanto sia bello sognare continuando a vedere le cose perfettamente?»
il Fatto 14.12.10
Sergio Staino
Provaci ancora Bobo
di Malcom Pagani
Per gli amici che vanno e ritornano indietro, Sergio Staino rimane ancorato al tavolo di sempre. Vedere senza osservare è un esercizio inutile, ma Bobo ha vissuto e quindi, indifferente alla decadenza, tratteggia anche con gli occhi velati. Iniziò nel '79, su Linus, il mensile che amava e che negli anni freddi delle tasche vuote e del vino versato nel cammino, divenne molto più di una coperta. Poi Messaggero, Unità e le massime familiari di un microcosmo militante che emigrarono nella calda culla di un messaggio universale. L'architetto Sergio Staino disegna da trent'anni e nonostante la retina fosse impazzita già al tramonto dei '70, tirarsi indietro non era tra le variabili. Cammina con il bastone, ride spesso, si orienta a fatica mantenendo stabile la religione unica dell'ironia: “Oggi è Santa Lucia, protettrice dei non vedenti, giorno perfetto per un'intervista”.
Staino, da dove partiamo?
Dai primi anni, sono quelli a formarci e renderci ciò che siamo. Fortunatamente Sono un meticcio perché gli incroci, anche quelli estremi, portano con loro un vento consolante.
La sua tramontana?
Mio padre era lucano, sud estremo, un bracciante fuggito dalla povertà con due sole strade davanti: fare il prete o il carabiniere.
Vicoli corti.
Babbo era una testa calda, i preti non lo vollero. Così indossò il pennacchio e da carabiniere conobbe questa fanciulla toscana figlia di un contadino anarchico poi diventato sindacalista, ferroviere e rivoluzionario.
Ossimori sentimentali.
Casini deliranti e contraddizioni politiche figlie dell'incontro tra due etnie che si comprendevano a stento. Il giorno dell'attentato a Togliatti, il padre di mia madre si trovò di fronte al mio babbo. Davanti alla ribollita, la discussione si alzò di tono. Il vecchio aprì le ostilità: ‘Guardia, fatti vedere poco in giro perché per l'insurrezione popolare aspettiamo soltanto il via da Roma’.
E suo padre?
Laconico. Freddo. Indignato. Si alzò e guardandolo dritto negli occhi disse soltanto: ‘Pregate dio che non succeda, perché la mia prima fucilata sarà per voi’.
Un bel clima.
A mio padre devo l'estroversione e la capacità di contaminarsi con gli altri, a mia madre la serenità. Se sono diventato un disegnatore lo devo a lei. Perdeva ore per insegnarmi a copiare figure fiabesche e stilizzazioni. Mi ha fatto amare il disegno e una cosa la fai bene solo se la ami. Altrimenti, qualsiasi mestiere è una condanna.
Altri precetti?
La dignità nel comportamento. La capacità di dire no all'ingiustizia, di sollevarsi senza ribellismi parolai, pure fertili per tradizione, a tutte le latitudini della Toscana. ‘Ricordati Sergio, i doveri vengono prima dei diritti’.
Sembra un motteggio di Bobo.
Bobo è morale e moralista. In ogni caso ha lasciato un segno. Me ne accorgo quando trovo dei giovanottoni di 30 anni: ‘Me lo fa un disegnino per mio padre?’. Richieste che mi rivelano quanto tempo sia passato davvero.
Perché Bobo è sopravvissuto alle epoche?
Fa scattare l'identificazione, in molti si riconoscono. Per le masse popolari legate alla sinistra, ha rappresentato lo sdogana-mento del fumetto. Oggi sembra automatico, ma nei primi anni '80, per chi faceva satira avvicinare un lettore trinariciuto era un'impresa.
Addirittura?
Per uno abituato a leggere testi di Marx o editoriali di Togliatti e Berlinguer, trovare le mie figurine in mano ai suoi figli equivaleva a uno choc.
Quale l'orizzonte di Bobo oggi?
Soffre anche lui. Non è in crisi la satira, è in crisi la politica. L'autore satirico è l'ironico sintetizzatore di una passione. Se quella passione langue, piange anche la satira.
Il primo a darle fiducia fu Oreste Del Buono.
Non avevo una lira e la spinta pratica a inventare fumetti dipese da un imperativo prosaico: arrivare in fondo al mese. Io ero un precario dello scuola. Bruna, la mia compagna, una peruviana senza permesso di soggiorno. Del Buono era un galantuomo, Linus il mio faro e un po' meccanicamente, pensai di spedirgli una mia striscia. Andò bene e continuai.
Fortunato.
La ventura fu che nel bagaglio che poi ebbi il coraggio di riversare sulle strisce, pulsava una vera crisi. C'erano ideali crollati, disillusioni, ferite. L'impegno militante nei marxisti-leninisti ai quali mi ero iscritto perché ritenevo il Pci troppo revisionista, mi aveva temprato e bruciato al tempo stesso, in un arco di tempo lungo un decennio. Dal '68 al ‘78.
In vacanza, lei andava in Albania.
Raggiunsi la cecità ideologica prima di quella fisica. Avevamo il prosciutto sugli occhi, vedevamo nell'estremismo cinese o cubano il sol dell'avvenire. Quando mi snebbiai e intuii gli sbocchi tragici nei quali ci stavamo incanalando e il destino dei miei compagni di militanza, in bilico tra l'ingresso in manicomio e quello nel partito socialista, per recuperare il tempo perduto era già tardi.
Ma l'Albania di Enver Hoxha?
Gli albanesi si servivano di noi non perché sperassero che in Italia avremmo rovesciato il potere per instaurare la dittatura del proletariato, ma per una ragione più terrena. Ci usavano come specchietto per le allodole.
Specchietto?
Erano talmente isolati e raccontavano così tante balle al loro popolo per giustificare la follia totalitaria il regime che avevano necessità di una legittimazione dall'esterno. Utili idioti, questo eravamo. Però mi lasci dire una cosa.
Prego.
Non si può capire la parabola di un militante nei ‘70, senza capire cosa furono i primi anni ‘60. I fermenti che a un tratto trasmutarono in movimento.
I suoi ‘60 come furono?
Mi sentivo solissimo e in balera non andavo di certo. Mi dividevo tra il lavoro nella fabbrica di ceramica di Marcello Fantoni, l’ascolto dei dischi del Sole, i cineforum e i libri. Leggevo moltissimo: i volumi Einaudi, i testi teatrali, quelli sulla mobilitazione antifranchista.
Un’esperienza come Tango sarebbe ripetibile?
No, manca il partito totalizzante in funzione di stimolo. All'epoca c'era il Pci. La satira vive dell'intelligenza dell'autore e dell’ambiente circostante. Io non fui cattivo, irriverente tutt’al più, ma dall'interno della stessa chiesa, i graffi bastarono a creare il caos.
Aneddoti?
Al congresso di Rimini, il prologo dello scioglimento del Pci ero a pranzo nell'albergo in cui era ospitata la nomenklatura. A un tratto entrò Natta, il segretario.
Scena?
Mi vide nella sala e venne verso di me urlando. Gridò, diventò paonazzo: “Tu, tu, tu, te e il tuo maledetto Tango. Siete stati voi a trascinarci nella tragedia che stiamo vivendo”.
Esagerato.
Era un'accusa sovradimensionata, però un contributo a far crollare il Pci monolitico e ad aggiornarne le istanze, io, Pazienza, Ellekappa e Altan lo fornimmo.
Degli impulsi giovanili il Pci ha spesso capito poco.
È sempre stato così. Hanno uno schema in tasca e pensano di poterlo applicare a tutte le sfere. Alle pulsioni che animano gli operai, hanno sempre preferito i modelli prestampati, i giochi di corridoio. Un peccato.
Dicono che D’Alema la detesti.
Credo che tra noi ci sia un’amicizia profonda e che in certi momenti, come è normale, Massimo mi avrebbe visto volentieri morto.
Renzi le piace?
Non sono d’accordo con lui e la parola rottamare non mi garba. Però chi ha avuto la sua occasione , chi ha perso ripetutamente e ci ha ridotto in questo modo, dovrebbe sparire dal partito.
Duro.
Perché mai? Tirarsi indietro e occuparsi di altro non è mica una bestemmia. Questa prolungata eterodirezione bicefala tra Veltroni e D’Alema, è grottesca. Prolunga l’agonia, rende impossibile comprendere ciò che accade realmente nel Paese.
Tra Veltroni e D’Alema chi preferisce?
Veltroni sa fingere meglio, D'Alema almeno è trasparente. Walter, tra gli altri, ha anche quel difetto.
Insomma per l’assoluzione piena di un dirigente bisogna tornare al suo antico maestro di vita, Berlinguer.
Enrico aveva visto lungo ma noi non lo capimmo. Parlava di questione morale e austerità e quanto avesse ragione l’abbiamo capito molto tempo dopo, osservando i comportamenti di Craxi e Berlusconi.
Prospettive?
Quegli idioti dei brigatisti, eliminando Moro hanno ucciso l’ultima speranza di reale compromesso. Da allora etica, politica generale e interesse comune hanno preso strade diverse.
Un’ultima curiosità. Lei tra il 1989 e il ‘92 girò alcuni film. Poi si fermò.
Purtroppo non sono più stato in grado di farlo. Il cinema è molto divertente e puoi fare cose in compagnia, che è consolante. Mentre il disegno con le tavole elettroniche e i prodigiosi strumenti della modernità può mettere la cecità in un angolo e continuare a farmi pittare strisce a ritmi fordisti, la macchina da presa senza l’occhio somiglia da vicino al nulla.
Però resta la testa.
Infatti. È il cervello che fa ogni cosa. Disegno in automatico e anche senza l’autonomia di un tempo, mi resta l'attività onirica. Faccio sogni chiari, a colori, ha idea di quanto sia bello sognare continuando a vedere le cose perfettamente?
anima e neuroscienze
Avvenire Agorà 14.12.10
L’anima della neuroscienza
Domani e giovedì a Milano dibattito tra storici, teologi, filosofi, fisici e psichiatri: un’indagine a tutto campo sui nodi ancora irrisolti tra mente, comportamento e immortalità
Da una parte le indagini sui meccanismi cerebrali e sul loro rapporto con libertà e volontà; dall’altra la millenaria tradizione del pensiero occidentale che riflette su corpo e spirito.
A che punto è arrivato il confronto? È ancora un limite invalicabile quella corrente «riduzionista» che vorrebbe correlare ogni azione e ogni scelta dell’uomo a un moto meccanico dell’encefalo? Faccia a faccia tra un filosofo e un fisiologo
Avvenire 1.
Ghisalberti: «Scienze dello spirito e scienze del cervello dialoghino»
Ma è innegabile che il senso comune mantiene un riferimento all’anima, soprattutto nel vissuto del singolo soggetto
di Andrea Lavazza
Alessandro Ghisalberti, professore di Filosofia teoretica presso l’Università Cattolica di Milano, ha dedicato la sua lunga attività di studio e ricerca alla filosofia scolastica e ai rapporti tra razionalità filosofica e rivelazione cristiana.
Che cosa resta oggi vitale della veneranda tradizione filosofica e teologica sul concetto di anima?
«La parola anima, assunta a indicare in senso generale la parte spirituale dell’uomo, appartiene in modo irreversibile alle tradizioni religiose, teologiche, filosofiche, letterarie e scientifiche della civiltà occidentale, così come, nonostante il carattere astratto dell’anima, la sua raffigurazione in modalità pittoriche e figurative di ogni genere si riscontra sin dai primordi delle civiltà mediorientali. Direi che dell’anima oggi resta tutto in teologia, ma anche in filosofia. Si potrebbe dire che il caso dell’anima è analogo a quello di Dio: chi vuole negarne con prove filosofiche o scientifiche l’esistenza, è costretto a dichiarare di avere una nozione di anima. Ma sappiamo che 'provare' (e non semplicemente dire a parole) la non esistenza di entità concettuali così forti, come Dio e anima, invisibili perché immateriali, è impresa del tutto impossibile».
La scienza sta erodendo nel senso comune l’idea di anima come componente immateriale dell’uomo. Che cosa può replicare la filosofia?
«Non ritengo che la scienza possa seriamente minare la nozione di anima come componente o facoltà immateriale dell’uomo, composto di anima e corpo; certamente la divulgazione scientifica meno rigorosa ha portato a un diffuso modo di concepire in termini fisicistici (materiali) i processi che determinano le funzioni psichiche, emotive e cognitive dell’uomo».
Mente è un sinonimo moderno di anima o si rischia di fare ulteriori e pericolose confusioni?
«Servirebbero molte distinzioni, si può tuttavia osservare, in generale, che se si prende l’uomo nella sua definizione più diffusa di organismo dotato di un corpo animale e della capacità di pensare, allora il significato di anima razionale può avvicinarsi al moderno termine di mente. Con l’avvertenza, però, che all’anima appartiene tutto il vissuto biopsichico dell’io, con le sue aspirazioni intime».
In che senso si può dire, come nel testo introduttivo del convegno, che le neuroscienze sono una dimensione che più adeguatamente delinea e difende l’anima?
«Le neuroscienze difendono l’anima perché sanno di trovarsi, nei territori complessi dell’anima, su terreni assai delicati. Quello che esse verificano sperimentalmente nella corteccia cerebrale offre dati positivi certi, che però sono circoscritti al campo d’indagine attivato; il resto, come spiegare la natura del pensiero astratto, o la dimensione della coscienza soggettiva, non è compito delle neuroscienze, ma costituisce oggetto dell’interpretazione sulla base di analisi filosofiche o teologiche. Non è il neurone che avverte lo stato di depressione o di angoscia, ma spesso accade che si producano reazioni nell’interiorità del soggetto, prima sentite come angoscia, poi come ritorno alla normalità: angoscia o serenità sono elaborazioni dell’anima, ossia del vissuto peculiare del soggetto umano».
Quale dialogo vi può essere attualmente tra scienze dello spirito e scienze del cervello? Ci sono utili terreni di confronto?
«Indubbiamente, vi deve essere dialogo tra scienze dello spirito e scienze del cervello, perché trattano tutte la specificità dell’uomo: affrontare una stessa questione da molteplici punti di vista arricchisce la visuale, e consente un discorso complessivo sulla realtà unitaria dell’uomo, del suo essere unità di anima e corpo. Senza dimenticare che la millenaria riflessione sull’anima ha costituito proprio il campo base della ricerca da cui si sono poi sviluppate le varie branche della psicologia e delle neuroscienze».
Avvenire 2.
Berlucchi: «Ma l’approccio interdisciplinare resta arduo»
intervista di Andrea Lavazza
Giovanni Berlucchi, professore di Fisiologia al dipartimento di Scienze neurologiche e della visione dell’Università di Verona, è uno dei decani delle neuroscienze italiane.
Le neuroscienze hanno qualcosa da dire sul concetto di anima, così come è stato delineato da teologi e filosofia nei secoli, oppure ne prescindono completamente?
«Se per anima si intende un’essenza immateriale che sopravvive alla morte (e a me pare che oggi questo dovrebbe essere il senso del termine) le neuroscienze non hanno niente da dire, se non che non si vede come questa essenza possa contenere la mente del defunto, visto che questa è inscindibilmente legata al cervello. Il problema della resurrezione della carne va lasciato teologi».
Alle scienze del cervello, che usano un indispensabile riduzionismo metodologico, si imputa spesso anche un riduzionismo ontologico, che oscurerebbe una parte fondamentale della nostra vita personale. Come risponderebbe a questa critica?
«Dagli anni ’60 le neuroscienze (almeno quelle illuminate) hanno attribuito all’esperienza soggettiva una dignità ontologica propria, anche se imprescindibilmente dipendente dall’attività nervosa. Il mio dolore non ci sarebbe senza una specifica attività del mio cervello, ma ho il diritto di considerarlo diverso da quell’attività. Il grande enigma rimane quello della possibile efficacia causale dei processi mentali sui processi cerebrali. Forse non c’è, ma negarla equivarrebbe a negare i concetti di libertà e responsabilità, indispensabili alla coesistenza umana».
Se al neuroscienziato si chiede di parlare di anima, qual è la sua reazione? La mente è diventato sinonimo moderno di anima? Ma anche la mente sembra perdere rilievo a favore del funzionamento 'materiale' del cervello...
«Il neuroscienziato può parlare di anima come tutti, e ciò che dice può avere senso o no. Certo, non mi pare utile equiparare anima a mente, o ritenere che l’anima come essenza spirituale immortale contenga la mente. Per quanto riguarda la mente conscia o inconscia, crederla totalmente dipendente dall’attività nervosa non significa affatto negarne l’esistenza.
La scienza del cervello che 'cancella' l’anima è necessariamente destinata a entrare in urto con la religione? Oppure i loro ambito possono o devono restare distinti, senza pretesa di trovare un punto di incontro?
«Se si restringe (come mi pare opportuno) il concetto di anima alla sopravvivenza di una entità che non ha bisogno del corpo, le neuroscienze non cancellano affatto l’anima. Anzi, l’esigenza di prolungare oltre alla morte la propria esistenza va riconosciuta come un’aspirazione intrinseca del cervello umano, da cui sono nate tutte le religioni. Se la religione dà conforto di fronte alla previsione certa della fine del proprio mondo, per quale ragione la scienza dovrebbe entrare in conflitto con essa?».
Immagino che tra gli scienziati, al di là del comune linguaggio dei dati, vi sia diversità di opinioni. Uno scienziato può continuare a credere all’anima senza subire ostracismi? Il confronto tra scienziati, filosofi e teologi può dare risultati significativi o è diventato un dialogo tra sordi?
«Penso che credere o non credere (in senso religioso) rifletta in ogni persona l’esistenza di fondamentali differenze psicologiche (cerebrali) fra gli individui, dipendenti dai geni, dall’esperienza, dall’educazione e da moltissimi altri ingredienti dell’esistenza umana. Quindi, vi sono scienziati che credono e altri no. Entrambi sono liberi e degni di rispetto. Conosco personalmente grandi scienziati alcuni dei quali sono religiosi e altri no. Non mi pare in genere che la loro scienza (né per il vero la loro moralità) dipenda dalla loro religiosità. Quanto agli incontri fra filosofi, teologi e neuroscienziati, le mie esperienze sono state spesso negative. Non si tratta di sordità, ma di hybris professionali».