domenica 21 novembre 2010

AGI 20.11.10
LAICITA’: BONINO, TORNARE IN PIAZZA PER LIBERTA' DI SCELTA

(AGI) ‑ Roma, 20 nov. - “La laicità è uno straordinario metodo di governo dei temi eticamente sensibili, i diritti civili, che sono in realtà giganteschi problemi sociali, e vanno sempre protetti, senza soste o tentennamenti. E oggi non mi sembra affatto anacronistico un invito a tornare in piazza per la libertà di scelta, l’autodeterminazione, la difesa della libertà e della identità degli individui. La migliore difesa, ho sempre pensato, è l’attacco”. Con questo appello a una grande mobilitazione di massa, in nome della laicità, Emma Bonino, vicepresidente del Senato, ha concluso questa mattina al Teatro Eliseo la manifestazione “Per un’Italia più laica”, promossa dal Pd di Roma, da Iniziativariformista e dal settimanale Left. Il punto di partenza del dibattito, al quale hanno preso parte, tra gli altri, Giovanna Melandri, Massimo Teodori e Massimo Fagioli, il disegno di legge Tarzia, presentato ai consiglio regionale del Lazio, che intende affidare la gestione dei consultori ad associazioni di famiglie, sottraendoli di fatto al servizio pubblico, in nome della tutela della vita fino dal concepimento. “La laicità e la libertà sono e devono ricominciare ad essere il nostro strumento di attivazione di massa; sono temi che coinvolgono milioni di persone”, ha affermato la Bonino, rivolta al pubblico, a prevalenza femminile, che qremiva il teatro. In tempi “di vizi privati e pubblici divieti”, ha aggiunto, la sinistra dovrebbe mostrare maggiore coerenza o adottare “comportamenti politici netti, chiari, comprensibili, che vadano oltre i bofonchiamenti e le cose dette a metà, mezze sì e mezze no”.
“Servono idee più chiare alla sinistra”, ha detto subito dopo lo psichiatra Massimo Fagioli, “oltre a una maggiore nettezza di comportamento. A sinistra non vogliono accettare che la vita umana inizia alla nascita con il pensiero, così come la fine della vita non è quando il cuore cessa di battere. Il diritto all’eutanasia? Sono d’accordo, se fatto con l’assistenza del medico e dello psichiatra, se necessario, per stabilire che non si tratti di una depressione”.
“La Legge 40, quella sul testamento biologico, la proposta Tarzia sui consultori, sono anticostituzionali e hanno tutte un fondo persecutorio”, ha detto Giovanna Melandri: "si sta smantellando lo stato sociale e la legge di sistema porterà un segno pesante, in questa direzione. Berlusconi è l'espressione di una cultura che pensa che tutto si può comprare, anche le donne che vanno al consultorio. Invece no, la libertà e l'autodeterminazione sono diritti intangibili, non sono in vendita. L’Italia - ha concluso la parlamentare del Pd ‑ è sotto sopra, bisogna ripartire con battaglie di libertà e autodeterminazione, facendo fronte comune contro questo familismo moralistico e clericale". Massimo Teodorì ("sono un laico archeologico”, si è autodefinito), storico esponente radicale, ha tracciato la storia degli ultimi 45 anni di battaglie in favore dei diritti civili, a partire da quella sul divorzio, iniziata nel 1965, sostenendo “che la questione laica è provocata dall’incalzante offensiva neoclericale e neotradizionalista”. Maurizio Turco, radicale eletto nel Pd alla Camera, ha ricordato che gli attacchi alle libertà civili, in nome della difesa della famiglia, giungano senza tenere conto della realtà, per cui “a Roma, ad esempio, secondo le più recenti statistiche, il 40% delle famiglie è monoparentale, fatto cioè di persone singole”. “Mai come in questo momento ‑ ha concluso Ilaria Bonaccorsi, direttore editoriale di Left ‑ la laicità è sinonimo di libertà. Una laicità netta, rigorosa, rispettosa. Bisogna creare un anello di congiunzione tra intellettuali e ricerca e ricerca scientifica, tra scienza e sviluppo sociale, prassi politica Questo è quanto Left sta tentando di fare”.



il Fatto 21.11.10
“Altro che vittima, Mara è una zarina”
Per Paolo Guzzanti, la cifra della Carfagna, prodotto della “mignottocrazia”, è la spietata lotta per il potere
di Malcom Pagani


Mara Carfagna in annunciata dimissione dal suo incarico il 15 dicembre, Mara Carfagna difesa da Frattini e Gelmini, Mara Carfagna in lotta apparente con l'ala campana più deteriore del partito. La trinità sembra a Paolo Guzzanti come lo specchio riflesso della medesima immagine. La carfagneide, pur spingendolo a coniare il termine mignottocrazia, fortunato neologismo che offre anche il titolo a un libro in uscita con Aliberti, lo appassiona relativamente. L'esito del minuetto parlamentare ancor meno. “Del suo destino mi importa poco. Questa donna è stata trascinata in politica dal premier che se ne invaghì, al di là della loro ipotizzata e mai provata relazione. La nominò responsabile femminile nella sua regione, un gioco che con il passare del tempo ha assunto il tratto peculiare della cupidigia”.
Mara è avida?
Con gli anni è diventata una zarina, un boss vecchio stile che agisce con spietata determinazione. E nella lotta per il potere, che è la cifra unica dei politicanti, la risolutezza unita all’ubiqua amicizia con Bocchino, l'ha fatta detestare.
Altri riferimenti?
Ho saputo come tutti che si aspettava di essere candidata a Sindaco di Napoli. È affetta da manie di grandezza, mi ha impressionato una sua recente intervista in cui con disarmante spudoratezza affermava: 'So benissimo che la mia fortuna politica è stata calata dall'alto'
Però?
’Però continuava ho preso migliaia di preferenze, un'investitura popolare spaventosa. Smettano di disturbarmi’.
Non hanno smesso.
Ma non è detto che lei abbandoni, Berlusconi le parla per ore, la fine non è nota.
Facciamo un passo indietro.
Tutto inizia nel luglio del 2008. Mia figlia Sabina, in Piazza Navona, la accusò di aver fatto carriera con metodi non dissimili da Monica Lewinsky. Io non fui entusiasta del gergo, ma Carfagna rilasciò all'Ansa una dichiarazione ancor più greve.
Di che tipo?
Ignobili comunicati contro Sabina “La figlia del nostro deputato Paolo Guzzanti”. Mi incazzai come una belva. Era un messaggio mafioso.
Addirittura?
Aveva due sole accezioni: “Attenta tu carina, tuo padre è dei nostri” oppure “Occhio deputato Guzzanti, sappiamo chi è tua figlia”. Una cosa da paese saudita, proveniente dal sedicente araldo delle pari opportunità.
E’ corretto collegare Carfagna alla mignottocrazia?
Berlusconi ha disossato la dignità delle donne con lo lo stesso sistema con cui ha disarticolato la democrazia. I due processi sono complementari.
Veronica si arrabbiò.
E gli fece saltare la compilazione delle liste per le europee. Al di là di darla o non darla, del bunga-bunga, delle allegre cene di Palazzo Grazioli o del Castello di Tor Crescenza, l'idea è quella.
E' ammalato, B.?
Può definirlo anche così. Lo dicevo anche a Ezio Mauro, Berlusconi è il Mussolini nascosto dell' “Eros e Priapo” di Gadda.
Il caudillo di una dittatura fallocratica.
Il pene parlante. Mia figlia lo rappresentò con un enorme membro di gomma sui pantaloni mentre arringa gli italiani. Il priapismo è l'unica cosa che lo avvicini a Mussolini, perché per il resto, Berlusconi non è fascista.
Torniamo a Carfagna.
Le racconto una cosa. Collaboravo a Panorama, un giorno mi chiama Calabrese, il direttore: “Paolo, scriveresti un articolo su un caso umano? Una povera donna afflitta dalla bellezza. Tutti la accusano di aver fatto carriera per ragioni sordide, subisce persecuzioni, è emarginata”. Mi prestai ed eseguito il compitino, raggiunsi Internet.
Risultato?
Trovai in rete delle sue immagini sul crinale della pornografia. Foto davanti alle quali un lettore si poneva una sola domanda: “Ma questa fanciulla, porta o non porta le mutande?”
Fa il moralista?
C'era uno stridore tra le istantanee e l'essere ministro. Mara si veste come un'orsolina in abiti civili , declama intenzioni conventuali, osteggia il Gay pride. E' assolutamente ridicolo. Nessuno ti crocifigge per essere stata abbracciata al palo di una discoteca con i capezzoli bagnati, però dopo non venire a tormentarci ululando come una comare indignata: “signora mia in che tempi viviamo”.
Si comporta così?
E’ molto astuta e ha la faccia più bronzea delle statue di Riace: “Posai per quelle foto e ne sono contenta perché i miei nipotini potranno dire 'mamma mia com'era carina nonna da giovane'”, forse i nipoti ne faranno un uso diverso, meno elegiaco.
Però i gay secondo Mara sono costituzionalmente sterili.
Mentalmente, è un'oscurantista. Ignora che l'omosessualità è una delle varianti umane. Però non è la Merlin, la donna che chiuse i casini nel '58, quelle foto contrastano con proponimenti da monaca medievale.
Il dissidio con Veronica nacque da una sua boutade.
Ai Telegatti, Berlusconi disse: “Se non fossi sposato la impalmerei subito” e lei rispose: “Direi sì senza esitazione se solo fossimo coetanei”. Veronica parte per Marrakech dove B. la raggiunge per una buffonata vestito da saraceno napoletano. Berlusconi è la distorsione dell'antico adagio napoletano.
Quale?
Meglio comandare che fottere. A lui piacciono entrambe le attività. Berlusconi è la quint'essenza dell'albertosordismo nazionale. Il dramma è che la gente lo segue, anche il popolo femminile. Nei sondaggi del post Ruby, c'è stata un’impennata.
Non divaghi.
 Ma no, la Carfagna bigotta piace anche a sinistra, asseconda le crociate più retrograde. E’ una signora piccolo borghese e che vede le puttane dalla finestra e chiama la polizia. Ma il Pci è sempre stato ammantato dalla pruderie, in fondo nel comunista di Morselli, 1951, gli elementi ci sono già tutti.
Lei era amico di Cossiga.
Lui diceva che certe commistioni tra sottane e politica c'erano anche ai suoi tempi, però le amanti non si ricompensavano con un seggio. E Craxi, che era un ossesso che saltava addosso alle giornaliste, confinò Anja Pieroni in una tv romana minore.
Come sono adesso i rapporti tra lei e Mara Carfagna?
Lei minacciò una querela, io sostenni, com'è vero, che non ce l'avevo con lei come persona e che parlando di mignottocrazia, mi ribellavo al sistema nel complesso. Berlusconi era preoccupato, sguinzagliò Cicchitto: “Non andate oltre con la lite ed evitate strascichi tribunalizi”.
Quel dissidio valse la pax familiare?
Come gli inglesi, prima della rottura discutevamo del meteo.
La mignottocrazia scomparirà con il suo inventore?
Non sono convinto che Berlusconi sia al tramonto e in ogni caso non credo. La mignottocrazia gli sopravviverà. E' un danno permanente di cui smaltiremo a lungo le scorie. Nel Pd il bell'aspetto viene considerato un elemento basilare. Meglio belli che brutti, giovani che vecchi e sotto certi aspetti, meglio donne che uomini. Come in certe lande colombiane o albanesi, vince la solita triade. Fianchi, vita, tette.

il Fatto 21.11.10
Nè destra nè sinistra
di Furio Colombo


Ormai è un dato di fatto, al punto che se ne parla continuamente. Un lungo elenco di cose, compreso il lavoro, non sono (non sono più) né di destra né di sinistra. Quando hai finito l’elenco, ti accorgi che non è rimasto più niente da discutere. Certo, non nei termini di contrapposizione continua degli ultimi due secoli. Tutto superato.
D’ora in poi c’è il nuovo e il vecchio (alcuni dicono: il vecchio e il giovane) e la parola-ponte è “innovazione”, che vuol dire il coraggio di guardare le cose da un punto di vista “moderno”. Ci sono due possibili obiezioni. La prima è che il nuovo assetto paesaggistico della politica colpisce una parte sola, la sinistra. La sinistra era nata per contrapporsi allo stato dei fatti (mettiamo: il lavoro sottomesso e le cure solo a che può pagarsele). Senza contrapposizione, lo stato dei fatti resta intatto. Dunque, quando qualcosa “non è più né di destra né di sinistra”, la destra resta sola sul piedistallo. Quando “destra e sinistra non esistono più”, la destra si libera dai tanti pesi e ostacoli creati dalla sinistra. Ovvero, è la sinistra che esce di scena. La seconda obiezione riguarda certe situazioni e immagini e fatti che ci appaiono – da mondi tecnologicamente e politicamente diversi (una volta dicevano “avanzati”) – come contrapposizioni non conciliabili. In un mondo in cui non c'è più destra e sinistra chi sono, che cosa fanno – bene in vista sulla scena americana – Barack Obama e Sarah Palin? La loro contrapposizione è totale.
LA PALIN americana, come la Lega italiana, alza il fucile in nome del suo folklore e non vuol saperne del resto del mondo; Obama si ostina a difendere il diritto dei deboli non solo in America), non si deve perciò perdere tempo con il gioco delle parole. Obama assomiglia a ciò che una volta, nella cultura e nella politica del mondo, era la sinistra. Nessuno può negare che Sarah Palin sia identica alle immagini-guida di ciò che potremmo chiamare “la destra classica”, ovvero sdegno per i diritti umani come debolezza, fastidio per bisogno e richieste di chi non ha potere; onore alla potenza e all'uso spregiudicato di essa, perché auto-giustificato. È una contrapposizione anacronistica, proprio nel cuore del mondo americano che ci era sempre sembrato nuovo? Forse per questo agli autori del programma televisivo “Vieni via con me” è venuta l’idea – rivoluzionaria di questi tempi (con una maggioranza conservatrice e una minoranza “riformista”, che nei sondaggi scendono insieme) di far leggere i “valori di destra” a un personaggio della destra e i “valori di sinistra” al segretario del Partito Democratico inteso come partito di sinistra. Il risultato è strano e interessante.
Solo in apparenza queste due liste si contrappongono. Nessuna delle due descrive un mondo alternativo. La diversa coloritura di fondo (Stato da una parte, comunità dall’altra) è più una diversa angolazione dello spazio osservato che una alternativa di vita. Dopo tutto, Fini vuole cittadini orgogliosi del proprio Stato e Bersani vuole uno Stato consapevole dei bisogni dei cittadini. Come in certi film di effetti speciali, Fini mostra la mappa nitida ma da lontano, Bersani compie una zoomata veloce sui volti dei cittadini. Però destra e sinistra appaiono sulla scena senza zaini e senza valige. Si sente parlare di persone, non di masse, popolo, aggregazione, partiti. Da dove viene questo cambiamento, in cui il discorso su uguaglianza, rispetto delle persone, uomini e donne, deboli e forti, cittadini e nuovi venuti, continua fuori dal “destra-sinistra” tradizionale ?
Dobbiamo essere grati una volta di più allo spettacolo di Fazio e Saviano dedicato non tanto a rivelare l'Italia agli italiani, quanto gli italiani a se stessi. Fini appare a milioni di spettatori senza la destra, storia, partito, percorso, aggregazione. Bersani è sullo schermo da solo. Dice “sinistra” solo all'inizio, perché è richiesto dal gioco di televisione-verità, senza indicare alcun altro punto di raduno, alcuna altra intenzione su ciò che si può fare insieme. Comunica buoni sentimenti, caldi e personali. Abbiamo intravisto l'immagine di due persone rispettabili. Abbiamo visto la traccia di qualcosa di diverso che deve essere venuto prima, nelle rispettive vite diverse. Ma non c'era partito. Anzi, ciascuno dava l'impressione di parlare per sé. Due persone con molto rispetto per gli altri, che potrebbero vivere nello stesso caseggiato con beneficio per tutti. Se abbiamo visto e ascoltato bene, allora è vero che “non ci sono più destra e sinistra”. Però: solo in Italia? Infatti, come spiegare la vitalità aggressiva e tutt'altro che incline alla condivisione generica di buone regole comuni, della destra danese, olandese, svedese dei republikaner tedeschi? E come definire la durissima contrapposizione americana, Sarah Palin (con il velenoso e molto finanziato Tea Party) contro Barack Obama?Abbiamo a disposizione due percorsi per uscire dall'imbarazzante domanda e spiegare l'Italia. Il primo è di accettare un fatto: la destra è troppo forte e non è consigliabile il ruolo della controparte. Ti schiaccia, ti svergogna, ti butta fuori dalla scena. Per sopravvivere, meglio pretendere poco e fingere di non vedere che la “modernità” della destra è uno sfacciato ritorno a un passato tipo l'America prima di Roosevelt. Il secondo è usare come lasciapassare la parola “riformista”. E' gelida e non smuove le folle, come tutti i sondaggi dimostrano. Non contiene un sogno ( è una parola senza finestre) ma neppure progetti. Ci ricordiamo che è stata una parola carica di significato in un altro tempo. Era l'alternativa civile e umana alla rivoluzione.
In questo paesaggio, la parola “riformista” è una indicazione di viabilità politica che porta al centro.
NIENTE DI MALE, ma è bene saperlo e non pretendere di apparire nuovi. Un vento forte spinge al centro come una sorta di “occhio del tifone” in cui, mentre tutto intorno infuria la tempesta, c'è pace e voci basse. Ci sarebbe la grande questione dei diritti umani e dei diritti civili. Tranne che per i Radicali, lo spazio resta vuoto. Si combatte per brutte riforme, nel tentativo, il più delle volte vano, di renderle meno indecorose. Intanto non puoi vivere, se sei venuto in Italia per disperazione, credendo che fosse un paese civile. E non puoi morire perché il tuo Stato osserva le prescrizioni della Chiesa cattolica che lo vietano. E se muori per troppa pena ti chiudono fuori dalle chiese, come è accaduto a Piergiorgio Welby. Ecco dove ti porta un mondo pacificato che non è né di destra né di sinistra. Ti porta a un centro antico e immobile.

l’Unità 21.11.10
Domani il segretario dei Democratici incontrerà Pannella. «Con il partito un problema politico»
Apertura a Berlusconi «Ma la legge sul biotestamento ci fa venire gli incubi»
«Noi autonomi». Radicali in fuga dal Pd, Bersani tende la mano
Bersani ha chiamato Pannella, «vediamoci». Il Pd tende una mano ai radicali che minacciano di votare la fiducia al premier. I quali, dopo le dichiarazioni di Roccella sul biotestamento avvisano: «È una legge irricevibile»
Rita Bernardini: «Noi teniamo al Pd, ma deve riconoscerci come interlocutori politici»
di Maria Zagarelli


Pier Luigi Bersani e Marco Pannella si incontreranno domani, un «incontro serio» per stabilire un percorso su battaglie che sia il Pd sia i radicali possono condurre insieme. Rita Bernardini, mentre è in macchina con il leader radicale, di ritorno dalla manifestazione a L’Aquila, racconta che il colloquio telefonico tra i due, venerdì scorso, è stato «cordiale, come sempre». Ma «con il Pd c’è un problema che deve essere risolto: non ci riconoscono come un interlocutore politico. È questo il tema di fondo che pone Marco. Noi non partecipiamo al borsino di Montecitorio, ci teniamo moltissimo al Pd ma non si può continuare in questo modo».
L’INCONTRO
Dunque, Bersani tende una mano a Pannella, dopo le dichiarazioni di quest’ultimo che si è detto disponibile a votare la fiducia al premier se nel Pdl ci sono intenzioni di una seria interlocuzione politica. I sei voti radicali sono oro in questo momento alla Camera, tanto che come ricorda Marco Cappato, Mario Pepe è «venuto a proporci sei riforme per sei voti, ma aggiunge l’ex europarlamentare conosciamo il premier e sappiamo che promette qualunque cosa quando ne ha bisogno e poi con la stessa facilità cambia idea». Come fidarsi, poi, dopo l’attacco del governo ai registri comunali sul biotestamento, che con una circolare tre ministri, Sacconi, Maroni e Fazio, hanno ritenuto privi di alcun valore? Di più: ieri la sottosegretaria Eugenia Roccella è tornata alla carica: «Ora serve una stretta per varare in tempi brevi la legge sul testamento biologico, che ha compiuto il suo iter parlamentare nelle commissioni e deve solo passare in Aula alla Camera per il varo definitivo». «Irricevibile quel testo», ribatte Bernardini. Marco Beltrandi sospetta «incubi» nelle notti della sottosegretaria e osserva che «quella legge già quando la maggioranza era forte è stata affossata, figuriamoci ora». Vero è che nello stesso Pdl c’è chi ci crede «poco», come Francesco Pionati, ad una possibile intesa con i radicali. I quali dal loro punto di vista, come è nello stile politico che li contraddistingue, non vedono contraddizione tra un eventuale voto di fiducia e una battaglia parlamentare feroce nel caso in cui dovesse arrivare in Aula il biotestamento. «Anche quando abbiamo votato la fiducia a Prodi spiega Beltrandi non condividevamo molte delle scelte di quel governo. Noi d’altra parte siamo una delegazione autonoma nel gruppo Pd, dunque se questo governo si impegnasse ad adottare, per esempio, una legge elettorale che preveda il maggioritario secco all’inglese, potremmo ragionarci su». Cappato rispolvera dal cassetto un manifesto-appello del 1994 sottoscritto da Fi e Movimento del club Pannella, dove si rilanciava proprio il modello anglosassone-americano, presidenzialista, federale, «democratico con grande forza del parlamento federale e di quelli regionali, con l’elezione uninominale, maggioritaria ad un solo turno del Parlamento». Cita anche il programma politico del Pd del 2008, laddove prevedeva «necessaria la scelta diretta di soli 470 deputati in collegi uninominali maggioritari a doppio turno». Insomma, si chiede Cappato, «ne vogliamo parlare? Qualcuno vuole interloquire anche con noi di questi temi e delle riforme che noi riteniamo necessarie?».
Ecco, in un momento di crisi come questo, dove ogni voto è utile ad ogni causa, affossare Berlusconi o rimetterlo in sella, anche i sei parlamentari radicali possono diventare seri interlocutori. Va detto che in via di Torre Argentina si fidano poco del Cavaliere e guardano come fumo negli occhi «le tentazioni clericali, di varare leggi oscurantiste, per farsi perdonare i comportamenti personali non proprio cristallini, sono forti».
Dal Nazareno Maurizio Migliavacca ribadisce come «ci sia da discutere tra noi e i radicali», elenca i « molti punti di una possibile convergenza, dalla situazione di emergenza nelle carceri, alla vicenda di Tareq Aziz, su cui Marco Pannella sta conducendo la lotta non violenta di sciopero della fame». Ben sapendo che nel Pd le posizioni verso i radicali non sono tutte concordi.

il Fatto 21.11.10
Da Fini a Vendola sì può vincere
di Paolo Flores d’Arcais


In primavera si vota, e non è detto che si andrà alle urne in condizioni democratiche. Perché lo siano sarebbero necessarie almeno (almeno) quattro condizioni: legge elettorale senza premio di maggioranza, “implementazione” della legge sul conflitto d’interessi del 1957, restituzione al pluralismo dell’attuale “proprietà bulgara” dell’assetto televisivo, e infine (but non least) un governo diverso da quello di un aspirante dittatore pronto a tutto, quindi anche ai brogli più smaccati.
Se questo parlamento il più indecente del dopoguerra avrà la decenza di ripristinare le condizioni minime per un voto democratico, ben venga. È più probabile, però, che voteremo in condizioni non democratiche. Bisognerà vincere lo stesso. Non è impossibile. Perfino nel Cile di Pinochet una sanguinosa dittatura uscì sconfitta dalle urne, in un referendum che aveva imposto e “truccato”. Possono farcela perciò anche i cittadini italiani ancora fedeli alla costituzione. Purché.
Se Berlusconi-Bossi vincono instaurano la loro dittatura, un fascismo annunciato, anche se di tipo inedito. Senza prigionieri. Il fascismo delle cricche. Solo i Pigi Battista riescono a nasconderselo. B. e B. possono prendere la maggioranza assoluta dei seggi anche con il 35% dei consensi. Perciò, perché siano sconfitti, è inevitabile un solo schieramento repubblicano, da Fini a Vendola (anzi a Grillo). Ed altrettanto necessario che in esso siano presenti una o più liste della società civile, di cittadini senza partito. Non è questione di opinioni, ma di matematica.
 I partiti e le liste di questo schieramento di liberazione non dovranno nascondere le divergenze su temi sociali e civili. La competizione potrà addirittura funzionare da “acchiappavoti”. Dovranno anzi dire chiaramente che il loro compito è cancellare la metastasi di B. e B. perche gli italiani possano tornare a dividersi secondo schieramenti occidentali normali. E visto che la legge impone che indichino un premier, dovranno sceglierlo il più neutrale e istituzionale possibile (governatore della Banca centrale, ex presidente della Corte Costituzionale). C’è il rischio di un berlusconismo senza B.? Sì, ma c’è incombente quello letale. Impedirlo è la priorità assoluta. Chi si sottrae a questi imperativi numerici regala l’Italia al criccofascismo. Il resto è fumo e chiacchiera. Retorica per salvarsi l’anima. Persone in buonafede, magari, ma che ci portano alla tragedia. Dio li perdoni, perché gli italiani (ancora) liberi non potranno.

il Fatto 21.11.10
La Fed chiama Vendola. Per tornare a vivere
Orc e Pdci danno vita a una federazione e chiedono un-alleanza anche col Pd
di Luca De Carolis


Vuole ricucire con Vendola e invoca una grande alleanza di centrosinistra. Con il Pd, da cui aspetta segnali, e se necessario anche con l’Udc, “perché bisogna spazzare via il governo Berlusconi e difendere i diritti dei lavoratori”. Imperativi che valgono alleanze sino a ieri improbabili per la Federazione della Sinistra, che oggi a Roma si trasformerà da cartello elettorale a movimento unitario. Al termine dei due giorni di congresso in un albergo sull’Aurelia, Rifondazione Comunista, Comunisti Italiani, Socialismo 2000 e Lavoro-Solidarietà avranno un unico statuto e un unico simbolo, l’inevitabile falce e martello. La base per ripartire, con l’obiettivo di tornare   in Parlamento, da cui sono stati esiliati due anni fa.
NELLE POLITICHE del 2008 il Pd dell’autosufficienza veltroniana schizzò al 34%, e la Sinistra Arcobaleno arrancò al 3%, sotto al quorum del 4% che valeva seggi.   Il prezzo delle scorie della dissestata Unione. Un lutto che nel gennaio 2009 portò alla rottura tra il nuovo leader di Rifondazione, Paolo Ferrero, e il bertinottiano Vendo-la. Pochi mesi dopo, le Europee dimostrarono che la sinistra radicale con i suoi due litigiosi tronconi (Rifondazione e Pdci, Sel) valeva oltre il 6%. A un anno e mezzo di distanza, Sel vola nei sondaggi tra il 7 e l’8% e la Fed oscilla attorno al 3%. Numeri da mettere assieme, come esorta nella relazione di apertura il portavoce della Fed, Cesare Salvi: “La diversità della proposta politica con Sel non deve impedire di cercare l’unità. Ho apprezzato quanto detto da Vendola pochi giorni fa, quando ha invitato Fed e Sel a passare dai risentimenti ai sentimenti. Io gli chiedo di passare alla politica”. Ovvero, un accordo di programma “in vista delle prossime amministrative” in primavera   . Il successo di Giuliano Pisapia nelle primarie a Milano potrebbe aiutare, e Salvi evoca “quel bel risultato dell’unità”. Pisapia e Vendola non sono in sala: il legale ha mandato una lettera e il leader di Sel è appena tornato dagli Stati Uniti. Un convitato di pietra ancora un po’ riottoso. “Mi sono rivolto a Vendola con un videomessaggio pochi giorni fa, ma non mi ha ancora risposto” si lamenta Ferrero, che comunque assicura: “In caso di primarie per il candidato premier, voteremo per il candidato più a sinistra”   . Ergo, Vendola. C’è da ragionare anche su un’eventuale coalizione di centrosinistra. Dal palco Salvi propone “un’alleanza democratica per la Costituzione”. Anche con il Pd, presente con il coordinatore della segreteria Maurizio Migliavacca, Rosa Calipari e il responsabile organizzazione   , Nico Stumpo. “I Democratici indichino alleanze e programma, noi siamo pronti” garantisce Salvi, che ricorda: “I sondaggi danno vincente un’alleanza di centrosinistra”. Ma la Fed è contraria a quel governo tecnico a cui il Pd è più che disponibile. Migliavacca è cauto: “Tra Pd e Fed ci sono molte differenze, ma ci può essere un orizzonte comune”. Diliberto entra nel dettaglio: “A un governo di centrosinistra daremmo l’appoggio esterno. Ci basta l’accordo su tre punti fondamentali: riduzione della precarietà, investimenti nella scuola e il fisco”   . E Ferrero aggiunge: “Siamo disposti a parlare con tutta l’opposizione, compresa l’Udc”.
A SINISTRA della Fed rimane Marco Ferrando, escluso nel 2006 dalle liste del Prc per un’intervista in cui parlava di “resistenza irachena”   dopo l’attentato di Nassiriya. Ora rappresenta il Partito comunista dei lavoratori, e tuona contro la Fed perchè “vuole allearsi con Pd e Udc, che fanno gli interessi di Confindustria”. Dissente anche Flavia Angeli di Sinistra Critica: “Faremo una lista a parte”. La Fed invece celebra l’adesione   di Giovanni Impastato, il fratello di Peppino, ucciso dalla mafia nel 1978. Al Congresso è arrivato un messaggio di saluto del presidente della Repubblica, Napolitano, che invita a scongiurare “il distacco di giovani, lavoratori e cittadini dalle istituzioni e dalla vita politica”.

l’Unità 21.11.10
Fini elettorali
La bioetica porta voti
di Maurizio Mori


Perché proprio ora che il governo Berlusconi sembra giungere al capolinea arriva la Circolare ministeriale che ne-
ga ogni valore legale ai Registri del testamento biologico istituiti da circa 100 Comuni italiani per rispondere alle esigenze dei cittadini? In parte perché non è più vero che la bioetica non sposta voti. È, infatti, su temi di bioetica che (almeno di facciata) la Destra è entrata in crisi: a fine luglio Fini veniva espulso dal Pdl, e subito il 5 agosto spuntava l'Agenda Bioetica del Governo, per cercare di ricompattare l'unità bioetica dei cattolici. In questo senso, la Circolare diventa la bandiera attorno a cui tentare di riacchiappare l'appoggio dei cattolici e fare quadrato nella battaglia finale per arginare la nuova fase della crisi politica.
Un'altra parte della risposta non è solo politica ma socio-culturale. Aperti su sollecitazione del "volontariato civico" i Registi stanno acquisendo una dimensione nuova. Sono sostenuti sul piano istituzionale dai notai, che in modo silenzioso e lungimirante si ritagliano un nuovo spazio di azione. Di più, sono sostenuti dalla chiesa valdese, che a Milano, Trieste, da ultimo a Torino, e presto altrove, apre sportelli per il testamento. Sul piano simbolico e culturale questo è un evento straordinario: dopo secoli, per la prima volta in Italia si presenta al grande pubblico un cristianesimo non-cattolico capace di intercettare le esigenze della gente. Bisogna chiudere al più presto i Registri perché potrebbero diventare la miccia di un nuovo scisma (non più sommerso) verso altre forme di cristianesimo, in un momento in cui la chiesa cattolica perde credibilità per gli scandali interni (pedofilia, Ior, ecc.), per l'appoggio ad un Premier poco presentabile e per la difesa ad oltranza del ddl Calabrò criticato aspramente anche da molti cattolici doc.

il Fatto 21.11.10
Per il governo non si può morire in pace
Dichiarati “illegittimi” i registri comunali con le volontà dei cittadini
di Roberta Zunini


La settimana si è aperta con la critica di Avvenire a Roberto Saviano per aver ricordato i percorsi tormentati ma sempre nel solco della legalità di Beppino Englaro e di Piergiorgio Welby, allo scopo di affermare il diritto all’autodeterminazione del malato. La settimana si chiude con una circolare dei ministri Maroni, Fazio e Sacconi che definisce “illegittimi” i registri comunali, istituiti dallo scorso anno in settantadue città, per raccogliere le volontà dei cittadini sul fine vita, in assenza di una legge nazionale che lo regoli.
Il disegno di legge sulle disposizioni anticipate o testamento biologico però è ultimato ma è fermo da mesi e non sembra sul punto di sbloccarsi. Mancano ancora alcuni pareri e sembrerebbe che lo stesso presidente della Camera Gianfranco Fini avesse sollecitato il parere della presidente della Commissione Giustizia, Giulia Bongiorno.
Il nodo insolubile rimane l’obbligatorietà o meno dell’alimentazione e idratazione artificiale. In realtà è un disegno di legge che, per i suoi contenuti sensibili, conviene tener insabbiato. Pronto per venire ripreso e usato strumentalmente ogni qual volta gli schieramenti hanno necessità di marcare il territorio”. La legge sulle disposizioni anticipate in materia di fine vita è pronta dal luglio scorso – scandisce il senatore Pd Ignazio Marino – il fatto è che questa legge il governo del “fare” non la vuole fare. Non gli conviene, è un argomento troppo spinoso in questo momento. Ma noi a questo punto chiederemo che venga subito calendarizzata la votazione alla Camera. Del resto così non è più possibile andare avanti: la legge non si fa, i registri comunali che dovrebbero in parte arginare questo vuoto legislativo e dare la possibilità ai cittadini di esercitare il proprio diritto all’autodeterminazione, neanche. Il fatto è che questo governo oggi non è in grado di decidere nulla”, conclude Marino. Insomma non decide ma si oppone ai registri comunali, nati sulla base di iniziative popolari. na.
 “DI CERTO non si può pensare che questo documento contro i registri comunali risponda al volere della maggior parte degli italiani – sostiene l’Onorevole Benedetto Della Vedova, vicecapogruppo dei finiani alla Camera – i cittadini non vogliono che siano i ministri, i legislatori, i giudici a decidere della propria salute . Sembrerebbe piuttosto una mossa per accontentare una parte della gerarchia ecclesiastica”, Della Vedova sostiene che quando il ddl approderà in aula, i deputati del Fli voteranno secondo coscienza. Ribadisce però che la cosa migliore sarebbe una “soft law”, una legge morbida che lasci al codice di deontologia medica, il compito di regolare una materia così delicata, che dovrebbe essere maneggiata solo dai diretti interessati assieme ai medici e semmai ai familiari. Ieri si sono espresse varie associazioni che hanno promosso il ricorso ai registri. Secondo Libera Uscita, “il Comune che istituisce il registro dei testamenti biologici non deborda in nessun modo da quelle che sono le sue competenze”. I registri, spiegano, sono “semplici atti amministrativi” che “non entrano nel merito del contenuto delle dichiarazioni anticipate di volontà”, con i quali si riempie “un vuoto di tipo amministrativo”.
IL DOCUMENTO firmato dai ministri dell’Interno, della Salute e del Welfare minaccia azioni legali contro chi promuova i registri, per “uso distorto di risorse umane e finanziarie”. Il radicale Marco Cappato che è stato tra i promotori della raccolta di firme per l’istituzione dei registri comunali sostiene che non ci sono leggi che impediscano l’utilizzo dello strumento dei registri comunali per esercirtare l’autodeterminazione . “In uno stato liberale è proibito ciò che è vietato dalla legge. É dunque legittimo per un comune aiutare i propri cittadini a vedere rispettata la libertà di autodeterminarsi, anche se ciò implica le spese di cancelleria e il lavoro di un impiegato comunale”.
Nel comunicato del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali si legge: “...nessuna norma di legge abilita il Comune a gestire il servizio relativo alle dichiarazioni anticipate di trattamento...”.
IN LINEA generale, occorre considerare che la materia del “fine vita” rientra nell’esclusiva competenza del legislatore nazionale e non risulta da questi regolata. É d’accordo con questa circolare l’onorevole Isabella Bertolini della direzione nazionale del Pdl che ieri ha esultato: “La circolare del ministero sbugiarda la propaganda della sinistra, tesa ad introdurre in Italia non solo quello che non è previsto e regolamentato dalla legge, ma anche quello che è vietato”. La deputata con grande “senso dell’opportunità” conclude la sua dichiarazione dicendo che “su questa pagliacciata ideologica va messa una pietra tombale”. Purtroppo c’è chi ha dovuto scegliere davvero di mettere una pietra tombale sulla propria esistenza perchè diventata insopportabile. Era Luca Coscioni che spese pubblicamente gli ultimi anni della sua breve vita combattendo per il diritto all’autodeterminazione del malato, il premio Nobel Josè Saramago quando morì gli dedicò queste parole: “Purché la luce della ragione e del rispetto umano possa illuminare i tetri spiriti di coloro che si credono ancora, e per sempre, padroni del nostro destino. Attendevamo da tempo che si facesse giorno, eravamo sfiancati dall’attesa, ma ad un tratto il coraggio di un uomo reso muto da una malattia terribile ci ha restituito un nuova forza”. Dobbiamo augurarci un altro malato si faccia carico di ricordare alle istituzioni il diritto all’autodeterminazione della persona sancito dal diritto internazionale oltre che dall’articolo 32 della Costituzione?

l’Unità 21.11.10
La leader Cgil ha chiesto l’apertura degli archivi sulle stragi degli anni Settanta e Ottanta
Convegno a Sesto S. Giovanni: «Il Paese deve essere libero di indagare sul proprio passato»
Il lavoro contro violenza e terrorismo
Camusso: «Togliere il segreto di Stato»
«È ora di aprire gli archivi e di togliere il segreto di Stato sulla stagione del terrorismo in Italia» ha invocato la leader della Cgil, ieri a Sesto San Giovanni per un convegno sulla lotta alla violenza nelle fabbriche.
di Luigina Venturelli


La fabbrica come luogo del lavoro, come spazio della democrazia e partecipazione, dunque come avamposto della lotta alla violenza, che nella stagione buia degli anni Settanta e Ottanta impedì il diffondersi del terrorismo tra i lavoratori e ne decretò la sconfitta da parte dello Stato.
LA LOTTA AL TERRORISMO
Questo il tema del primo convegno unitario su Fabbriche e terrorismo organizzato ieri a Sesto San Giovanni, alle porte di Milano, in occasione del trentesimo anniversario dell’uccisione di tre dirigenti industriali lombardi da parte delle Brigate Rosse. C’erano le istituzioni locali, i sindacati, le imprese di Assolombarda e tutte le associazioni del comitato antifascista per commemorare Paolo Paoletti, direttore di produzione Icmesa assassinato per strada a Monza, Renato Briano, capo del personale Ercole Marelli freddato in metropolitana, e Manfredo Mazzanti, direttore tecnico delle Acciaierie Falk ucciso la mattina del 28 novembre 1980 vicino alla sua abitazione.
Per ricordare la lotta dei lavoratori e dei sindacati per arginare le infiltrazioni terroristiche negli stabilimenti: con i consigli di fabbrica, i picchetti e i servizi d’ordine, le mobilitazioni. «Mi ricordo le resistenze opposte da alcuni gruppi violenti,
fiancheggiatori delle Br, all’accordo del 1978 per la nuova Giulietta dell’Alfa Romeo» ha raccontato Antonio Pizzinato, oggi presidente regionale dell’Anpi, all’epoca dirigente della Fiom Cgil. «Si erano concordati sabati lavorativi ad Arese per lanciare la nuova vettura. Il primo cercarono di bloccare gli operai ai cancelli, il secondo fecero saltare i piloni dell’energia elettrica, il terzo distrussero le automobili già caricate sul treno. Ma non ebbero successo: l’accordo si applicò e tutti lavorarono come previsto. La lotta alla violenza passò anche dalle intese aziendali, che i terroristi cercavano di impedire in ogni modo».
IL BISOGNO DI GIUSTIZIA
Ieri come oggi, inoltre, la lotta alla violenza passa dall’accertamento della verità. «È ora di aprire gli archivi, di togliere il segreto di Stato sulla stagione del terrorismo» ha ribadito la segretaria generale della Cgil, Susanna Camusso. «Anche dopo gli ultimi fatti, come la sentenza assolutoria per la strage di Piazza della Loggia a Brescia, rischiamo di essere di fronte all’umiliazione del lavoro di tanti magistrati che magari riescono a disegnare il quadro reale dei fatti, ma poi non hanno accesso a documenti che possono essere fondamentali per provarli fino in fondo. È tempo che anche in Italia si introduca un meccanismo a tempo, che ci sia più trasparenza. Questo Paese deve essere libero di indagare sul proprio passato».

l’Unità 21.11.10
L’OsservatoreRomano anticipa alcuni brani del libro-intervista di Benedetto XVI
«Luce del mondo» Tra i temi affrontati anche la pedofilia, il burqa e l’azione di Pio XII
Ratzinger apre all’uso del preservativo: può essere giustificato per le prostitute
Nel giorno del Concistoro l’Osservatore Romano pubblica stralci del libro-intervista del Papa. Aperture all’uso del condom, rispetto per l’Ebraismo, ma difesa di Pio XII. Sì al burqa volontario.
di Roberto Monteforte


«Concentrarsi sull’uso del profilattico significa banalizzare la sessualità» e questo rappresenta un rischio pericoloso, ne è convinto Benedetto XVI, perché può portare a separarlo dall’amore. È una delle sue risposte date al giornalista tedesco Peter Seewald e raccolte nel libro «La luce del mondo. Il Papa, la Chiesa e i segni dei tempi» editato in Italia dalla Libreria Editrice Vaticana, che nelle sue 284 pagine affronta temi scottanti anche per la Chiesa anticipato dall’Osservatore Romano.
I SINGOLI CASI
Sin qui niente di nuovo. Poi, improvvisa, arriva l’apertura: «Vi possono essere singoli casi giustificati, ad esempio quando una prostituta utilizza un profilattico, e questo può essere il primo passo verso una moralizzazione, un primo atto di responsabilità per sviluppare di nuovo la consapevolezza del fatto che non tutto è permesso e che non si può far tutto ciò che si vuole». Quindi la puntualizzazione. A conferma di quanto già affermato durante il viaggio apostolico in Africa, ribadisce che non è con l’uso del condom che «è possibile vincere veramente l'infezione dell' Hiv». Quello che serve, invece, «è una umanizzazione della sessualità». Un’apertura, anche se parzialissima, pare esserci, ma tutta da approfondire. Si vedrà martedì prossimo alla presentazione ufficiale del libro in Vaticano. Certo è che dalle anticipazioni emerge con nettezza il punto di vista personale di Joseph Ratzinger su questioni delicate per la Chiesa. Intanto lo shock degli abusi sui minori e
Foto di Giuseppe Giglia/Ansa
Il Concistoro Il Papa durante la cerimonia nella Basilica di San Pietro per la creazione di 24 nuovi cardinali
l’uso che ne hanno fatto i media. Il Papa l’aveva messo nel conto. Da prefetto della Congregazione per la fede sapeva e aveva contrastato lo scandalo negli Usa e in Irlanda. Ricorda di avere da Papa immediatamente incontrato le vittime. Ammette la difficoltà per la Chiesa di «vedere il sacerdozio così insudiciato». Riconosce pure con coraggio l’importanza dell’operazione verità compiuta dai media, anche se vi può essere stato compiacimento nel mettere alla berlina la Chiesa, i fatti ci sono stati. Una presa di distanza dalla teoria del complotto.
Non nasconde però la polemica verso la «vera intolleranza», che sarebbe volere imporre a tutti «la razionalità occidentale», una pretesa di totalità «nemica della vera libertà». Tra le libertà difende quella religiosa e non solo per i cristiani. Per Benedetto XVI anche i musulmani
devono poter pregare nelle moschee in Occidente. Risponde anche sull’uso del burqa: «Non vedo ragione per una proibizione generalizzata». Ma deve essere una libera scelta della donna e non una violenta imposizione.
Dedica molto spazio, anche biografico, al difficile rapporto con l’Ebraismo. Per lui, racconta, è stata sempre «in qualche modo chiara» la profonda unità tra antica e nuova Alleanza, tra ebrei e cristiani, ma a maggior ragione dopo «quanto accaduto nel Terzo Reich ci ha colpito come tedeschi e tanto più ci ha spin-
to a guardare al popolo d'Israele con umiltà, vergogna e amore».
Da qui alcune sue scelte, come quella di modificare la preghiera del Venerdì Santo nella messa in latino. La cui versione «era tale da ferire gravemente gli ebrei». «L'ho modificata in modo tale che vi fosse contenuta la nostra fede, ovvero che Cristo è salvezza per tutti». Ratzinger ritiene ingiusta la polemica su Papa Pacelli ritiene ingiusta. «Pio XII ribadisce ha fatto tutto il possibile per salvare delle persone». Il resto pare essere opinabile. «Bisogna veramente riconoscere che è stato uno dei grandi giusti e che, come nessun altro, ha salvato tanti e tanti ebrei». Tra i tanti temi affrontati nel libro-intervista vi è anche quello del sacerdozio femminile. Il no di Papa Ratzinger è assoluto: «Non si tratta di non volere ma di non potere.

il Fatto 21.11.10
Papa Ratzinger tra burqa e preservativo
“Etico usarlo in alcune condizioni” Sì anche al velo islamico volontario
di Marco Politi


Il preservativo si può usare. In certi casi. Se lo usa una prostituta come atto di responsabilizzazione. Benedetto XVI sdogana cautamente il profilattico venti mesi dopo la bufera scatenata dalle sue affermazioni durante il viaggio in Africa, quando dichiarò che il condom “aumenta il problema”. Il pontefice allora fu sommerso da una valanga di critiche da governi ed organizzazioni internazionali e ora mostra di tornare sui suoi passi, dando ragione a chi nella Chiesa ha invano chiesto per decenni che si tenesse conto del “male minore”.
 LA SVOLTA CLAMOROSA è contenuta nel libro-intervista “Luce del mondo”, redatto con il suo giornalista di fiducia Peter Seewald. “Vi possono essere singoli casi giustificati”, ammette Ratzinger ed è la prima volta che un pontefice fa marcia indietro sulla sistematica demonizzazione del preservativo. Come esempio Benedetto XVI spiega che l’impiego è pensabile “quando una prostituta utilizza un profilattico e questo può essere il primo passo verso una moralizzazione, un primo atto di responsabilità per sviluppare di nuovo la consapevolezza del fatto che non tutto è permesso e che non si può far tutto ciò che si vuole”. Da tempo i teologi moralisti hanno allargato la casistica: la moglie che ha il diritto di difendersi dal marito infetto (ne parlò il cardinale Tettamanzi in un suo libro di bioetica), il partner consapevole di rapporti occasionali, i cosiddetti gruppi a rischio. Ratzinger tiene, tuttavia, il suo punto sul piano generale: “Questo, tuttavia, non è il modo vero e proprio per vincere l’Hiv”. Il Papa respinge la banalizzazione della sessualità, che porta a considerare i rapporti come una droga e non come espressione di amore.
Il libro di Seewald tocca tantissimi temi, anche perché è stato volutamente pensato come modo per riparare ai danni delle crisi mediatiche, succedutesi nei cinque anni di pontificato ratzingeriano. Di fronte ai cosiddetti “errori di comunicazione”, il libro dovrebbe rilanciare l’immagine di Benedetto XVI nell’opinione pubblica. In questo senso alterna posizioni dottrinali a confessioni personali e giudizi su vicende di cronaca.
RATZINGER RACCONTA il suo sgomento dinanzi all’esplodere degli scandali di abusi sessuali. “Vedere il sacerdozio improvvisamente insudiciato in questo modo, e con ciò la stessa Chiesa cattolica, è stato difficile da sopportare”, si legge nelle anticipazioni del libro pubblicate sull’Osservatore Romano. I fatti, dice il Papa, “non mi hanno colto di sorpresa del tutto. Alla Congregazione per la Dottrina della fede mi ero occupato dei casi americani; avevo visto montare anche la situazione in Irlanda. Ma le dimensioni comunque furono uno choc enorme”.
Le critiche di stampa e tv, nell’esposizione del pontefice, fanno l’abituale parte del cattivo. Era evidente, sostiene Ratzinger, che “l’azione dei media non fosse guidata solamente dalla pura ricerca della verità, ma che vi fosse anche un compiacimento a mettere alla berlina la Chiesa e, se possibile, a screditarla… (Però) i media non avrebbero potuto dare quei reso-conti se nella Chiesa stessa il male non ci fosse stato”. In questo senso, quando si tratta di portare alla luce la verità, bisogna essere “riconoscenti”. Peraltro solo perchè il male era dentro la Chiesa, “gli altri hanno potuto rivolgerlo contro di lei”.
Sorprendente è l’apertura di Benedetto XVI al burqa. Non si può accettare l’imposizione violenta – afferma il pontefice – ma se ci sono donne che “ volessero indossarlo volontariamente, non vedo perché glielo si debba impedire”. Burqa sì, sacerdozio delle donne no. Nella lunga intervista Ratzinger ribadisce il ripetuto veto dgià espresso da papa Wojtyla: “La Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l'ordinazione sacerdotale”, poiché Cristo ha “dato forma alla Chiesa” con gli apostoli e poi con la successione dei vescovi e dei sacerdoti.
NON MANCANO accenni autobiografici. Il senso di “umiltà,vergognaeamore”versoIsreale, che prova in quanto tedesco dopo la Shoah. La trepidazione con cui accolse l’elezione papale. In Curia, confessa, “avevo una funzione direttiva, però non avevo fatto nulla da solo e ho lavorato sempre in squadra. Proprio come uno dei tanti operai nella vigna del Signore, che probabilmente ha fatto del lavoro preparatorio, ma allo stesso tempo è uno che non è fatto per essere il primo e per assumersi la responsabilità di tutto”. Una nota di sincerità e grande umanità. Il dubbio di non sentirsi destinato a fare il monarca della Chiesa cattolica.

il Fatto 21.11.10
Il regista Jia Zhang-Ke
“Sfido la censura nel Paese della libertà immobile”
di Federico Pontiggia


Né Liu Xiaobo né la moglie sono liberi di andare a ritirare il Nobel per la pace? Vorrà dire che sul palco di Stoccolma salirà l’ambasciatore cinese…”.
È il sarcasmo l’arma preferita del regista Jia Zhang-ke, Leone d’Oro a Venezia 2006 con Still Life. Lo incontriamo a Roma, dove porta ad Asiatica Film Mediale il documentario I Wish I Knew (homevideo con Atlantide nel 2011), che ripercorre la vita di Shanghai dagli anni ’30 a oggi, passando per la vittoria dei comunisti nel ’49 e il conseguente esodo verso Hong Kong e Taiwan, la Rivoluzione Culturale del ’66 e la riforma del ’78. Tre location (Shanghai, Hong Kong e Taipei), diciotto persone e altrettanti capitoli per un romanzo inedito su una metropoli in drastica evoluzione.
Da dove nasce questo progetto?
Dai miei studi universitari: mi interessava il Kuomintang, sconfitto dal Partito comunista cinese, e la Rivoluzione culturale. Sono periodi complessi: non è facile parlarne né studiarli. Allora ho cercato punti di vista inediti, e mi sono scontrato con Shanghai. Volevo rintracciare il nostro passato, che ancora oggi non conosciamo, e Shanghai è imprescindibile: dalla guerra sino-giapponese alla formazione del partito comunista, ha avuto un ruolo fondamentale. I protagonisti sono quasi tutti scomparsi, ma ne ho ricostruito le vicende grazie ai figli, ed ecco I Wish I Knew.
Bastoni tra le ruote?
Durante le riprese non abbiamo avuto problemi, perché sul documentario la censura non è molto pesante. Ci hanno solo chiesto una lista delle persone che avremmo intervistato, ma poi neanche hanno controllato. Le difficoltà sono arrivate dopo…
Ovvero?
Il 1949 è ancora un argomento tabù. Essendo cresciuto in Cina, ho ascoltato sempre la versione del Partito comunista, mentre a Taiwan c’è quella del Kuomintang: a me interessava far parlare entrambe, e pure quella di Hong Kong. Stesso discorso per la Rivoluzione culturale, altro nervo scoperto. Finito l’editing, ho presentato il film alla censura per ottenere il visto, ma la procedura si è bloccata per due mesi: nessuno sapeva dirci qualcosa, proprio per le difficoltà insite in questi due eventi storici. Alla fine, ci hanno dato via libera, senza chiederci di cambiarlo.
Con Still Life aveva avuto problemi?
Parla della diga delle Tre Gole, un progetto molto controverso: volevano sapere quale fosse la mia opinione, ma (ride) gli ho ribattuto che il mio parere era inutile, tanto la diga era già stata costruita.
La censura l’ha sforbiciato?
Mi hanno fatto tagliare una scena per la versione cinese, ma non so perché: inquadra una riunione in una fabbrica in via demolizione, dove si vedono i ritratti di Lenin, Stalin e Marx. Nella copia internazionale è rimasta, strano che in patria non si possano mostrare i nostri eroi (ride)…
Tra quelli più recenti, Ai Weiwei, l’architetto della stadio di Pechino e attivista per i diritti umani, è stato rilasciato dopo 3 giorni agli arresti domiciliari.
Eh?!? Davvero? Non sapevo neanche fosse stato arrestato, in Cina non se n’è parlato affatto…
Qual è la situazione oggi?
Più strana. La libertà è un problema sempre più oscuro, e le difficoltà per artisti, intellettuali e non aumentano ogni giorno: al festival di Tokyo la delegazione cinese ha protestato furiosamente perché quella taiwanese non era stata presentata come “Taiwan, Cina”. È sempre più complicato dare un quadro preciso, anche all’interno del Sistema ci sono molte contraddizioni: qualcuno si apre, altri rimangono su posizioni retrive.
E i media?
Dipende, alcune volte sono più realisti del re: qualche giorno fa a Shanghai, il premier Wen Jiabao ha parlato pubblicamente di riforme, ma nessuno ne ha dato notizia.
Nuovi progetti?
Zhai Qin Chao, il mio primo film di kung-fu, ambientato tra 1899 e 1911. Non sembra a rischio censura… Vedremo, ma sono anni cruciali: nel 1911 viene fondata la Repubblica, la Cina inizia lì. Comunque, il mio atteggiamento verso la censura è da sempre lo stesso: non la evito né faccio compromessi. Perché il controllo si allenti, bisogna tirare la corda.

Repubblica 21.11.10
Le lettere d´amore del Duce
di Barbara Raggi


Trovato in tre casse di legno, rinchiuso nell´Archivio di Stato, negato agli storici per settant´anni. Ora il Fondo Petacci è raccolto in un libro È il carteggio dei seicento giorni di Salò tra un dittatore decaduto che pensa alla fuga e la donna che non fu solo amante, ma consigliere politico e militante devota. E che anche per questo si firmava "Clara", mai "Claretta"

Tre casse di legno incatramate dormono per cinque anni sotto terra. Dalla notte del 18 aprile 1945 alla mattina del 9 febbraio 1950, quando Augusto Isgrò e Romeo Ferrara, funzionari di Pubblica sicurezza, le dissotterrano dal garage di Villa Mirabella dei conti Cervis a Gardone e scoprono 68 pacchetti impilati. Sono le carte di Clara Petacci. Dopo una storia dai tratti romanzeschi finiranno nella cassaforte dell´Archivio centrale dello Stato di Roma dove il Fondo Petacci è ancora conservato. Architetto della propria esistenza, Clara ha organizzato le carte come un archivio, dai primi diari agli ultimi appunti: dalle lettere inviatele dagli italiani alla corrispondenza con Nicolò De Cesare, segretario personale del Duce fino all´arresto del 25 luglio. Dai documenti di Stato inviati da Mussolini alle copie della corrispondenza con i familiari. Con un´attenzione particolare per le 318 lettere che le scrisse il Duce dal 10 ottobre 1943 al 18 aprile 1945, lungo i 600 giorni della Repubblica di Salò. Sono queste missive il tracciato della ricostruzione storica contenuta nel libro L´ultima lettera di Benito, in uscita per Mondadori.

il Fondo Petacci ha una storia complessa. Per due volte Renzo De Felice chiese di poterlo consultare, ma si trovò di fronte a un irremovibile rifiuto. Le carte di Clara sono state protette dalla legge sulla privacy per settant´anni, e sono state oggetto di una lunga controversia giudiziaria. Finché, il 16 marzo 2010, un decreto ministeriale ha consentito di prenderne visione. Lettere inviate a Buffarini Guidi, potente ministro dell´Interno, carte di Stato, appunti, e il carteggio con il Duce: inedite le lettere di lui, inedite quelle di lei. Tuttavia l´epistolario non esiste schedato come tale: per ricostruirlo si sono incrociate le lettere di Mussolini cercando riscontri di date e argomenti tra le migliaia di lettere di Clara.
Nella sua ultima lettera, datata 18 aprile 1945, Mussolini informa Clara che la via di fuga verso la Spagna è chiusa. Si tratta di un progetto politico che percorre i quasi due anni della vita di Salò, legato alla privatissima decisione del Duce di scegliere definitivamente Clara e di tentare, sul finale di partita, di inserirsi nei contrasti tra gli Alleati e di trattare da una posizione di forza, sotto la protezione di un governo formalmente neutrale, la propria sorte. Lo blocca Francisco Franco con un secco no. «Riconoscenza della Spagna!», chiosa il Duce. Così Benito e Clara partono insieme per Milano. Su macchine separate e con orari sfalsati per non destare sospetti o un ennesimo scandalo in quanti vedono nella loro relazione la causa di tutti i fallimenti del fascismo repubblicano. Così come aveva constatato Mussolini in una delle prime lettere: «Della tua rigorosa clausura - tanto rigorosa che per oltre 40 giorni fu inosservata - si vorrebbe fare un evento capace di influire sui destini del mondo!!! Se ti dico che la follia stupida - forma particolare di follia - ha invaso i cervelli te lo dico in base a questi discorsi senza capo né coda».
Ma la vera novità è proprio lei, Clara. Non viene mai chiamata Claretta, ché l´uso pubblico di quel vezzeggiativo è parte di una strategia di delegittimazione messa in atto nel periodo badogliano, quando fu arrestata con tutta la famiglia. Dalle lettere di Mussolini emerge una donna inedita: non solo confidente sentimentale ma anche primo consigliere per gli affari di Stato, non solo prima amante in carica ma interprete del suo pensiero politico. Clara si dimostra fascista fervente. Il carcere l´ha indurita. L´8 settembre l´ha lasciata attonita: come si può tradire l´alleato e l´idea? Non ama solo Benito, segue il capo. Il loro è quasi un incesto spirituale: tra l´inventore del fascismo e la figlia della sua ideologia. L´italiano nuovo vagheggiato dal regime esiste. È una donna. È Clara. Lui stesso lo riconosce quando le scrive in due lettere databili 1944: «Io non permetterò a nessuno, intendi a nessuno, di elevare il nemmeno indirettissimo dubbio sulla tua cristallina fede di fascista e di italiana. Di coraggiosa fascista - sino ai tempi della tua adolescenza».
Altro che vestaglie e attese di ore nell´appartamento di Palazzo Venezia. A Gargnano la signora dimostra un fine intuito tattico. La politica è il centro della loro relazione. Sono illuminanti le lettere di lei in occasione del viaggio del Duce a Klessheim, dove va a incontrare Hitler, e sono da leggersi come un promemoria per cercare di restituire all´Italia della Repubblica Sociale e quindi a Mussolini la dignità perduta. Nello stesso modo, prima e durante il processo di Verona, è ferma la volontà di lei per la condanna a morte dei traditori, Ciano in testa. Mussolini approva. Dalle lettere di lei emerge con chiarezza l´idea che Mussolini debba rafforzare il suo potere sul Garda facendo leva sul mandato ricevuto a Monaco da Hitler stesso. Per questo muore Ciano, per rendere credibile Mussolini agli occhi dei nazisti.
Tutto l´epistolario è attraversato dall´incomprensione di Mussolini per il popolo italiano, soprattutto per chi lo combatte, armi alla mano. «Ribelli», «Pistoleros», «Terroristi» e una volta persino «Partigiani»: gli uomini e le donne della Resistenza visti dal Duce sono dei traditori. Per chi ha sedotto le masse per un intero ventennio è dura essere ridotti a comparsa: «Oggi sono niente. Dopo quattro mesi non c´è ancora un soldato italiano che combatta. È questa la suprema delle mie umiliazioni». Il Duce rimpiange di non «essere morto in tempo», tuttavia non è capace di togliersi la vita ma solo di progettare una fuga. Di fronte al fallimento, non accetta la sconfitta ma sogna un nuovo inizio. Clara lo incoraggia: fuggire non è un tradimento ma una possibilità per traghettare il capo e l´idea nel dopoguerra. In chiave antisovietica. L´anticomunismo li unisce tanto quanto l´odio verso gli angloamericani. E l´antisemitismo, che lui dichiara con orgoglio: «Sono antisemita per istinto razziale».
Ciononostante, fin da quando arriva a Salò, Clara si trova sotto il fuoco amico del fascismo intransigente e del clan Mussolini. Fino al punto che è in pericolo la sua stessa vita. Le carte danno per certi almeno due attentati. È un bersaglio per tutte le trame, obiettivo di spie e sicari che costringono Mussolini a farle scudo. In una lettera del 4 aprile 1944, nei giorni del primo attentato, il Duce rivendica il diritto di Clara a stargli accanto, misura del suo potere a Salò, e spiega ad Alessandro Pavolini - e a lui per tutti - che Clara «durante i famosi giorni ha avuto molto più coraggio di tanti uomini, anche gerarchi del partito, i quali sono stati dei grandissimi vigliacchi».
Queste carte sono importanti e non si può non tenerne conto nello scrivere la storia di Salò. Per di più non contengono nulla di privato nel senso comune del termine, tranne le frasi affettuose di due amanti non più giovani. E ciò che non è detto pesa quanto ciò che è scritto. Manca ogni accenno al fatto che Mussolini stia "riscrivendo" di Mussolini mentre c´è una minuziosa disamina degli articoli giornalistici che va stilando ogni giorno. Niente su misteriose lettere a Churchill e nessun desiderio di arrendersi agli angloamericani. Mussolini non vuole né morire né organizzare l´ultima battaglia. L´appello alla resistenza fino all´ultimo uomo è una maschera pubblica: il capo ha le valigie in mano. È pronto a spiccare il volo per la Spagna.
Clara e Ben, come nel loro carteggio sempre si firmano, muoiono dieci giorni dopo l´ultima lettera. Insieme. Entrambi subiranno una trasfigurazione: per molti nostalgici lui è la vittima di qualche gioco oscuro di spie, determinato a impedirgli di raccontare la verità in un tribunale. Lei diventa Claretta, la martire dell´amore. O, più di recente, spia degli inglesi o dei tedeschi - ce n´è per tutti i gusti. Li lasciamo là dove si fermano le carte, forse gli ultimi inediti del fascismo, nella notte del 18 aprile 1945. Persuasi che il Duce «al naturale», secondo una brillante definizione di Emilio Re, così come si rivela a Clara, sia impossibile da mitizzare e bandisca ogni possibile nostalgia, ogni tentativo di riabilitazione postumo. La Storia ha le sue beffarde vie per saldare i conti. E chiudere le polemiche.

Corriere della Sera 21.11.10
Il tesoro (sperperato) dei Beni culturali
di Marco Gasparetti
 

La stima: 100 euro investiti nell’arte attivano 249 euro nell’intera economia

FIRENZE — Tanti governi, di ogni colore politico, si sono succeduti negli ultimi anni. Tutti hanno avuto un unico comun denominatore: «Hanno tagliato i fondi per i beni culturali e non hanno avuto la saggezza e il coraggio di guardare più il là del contingente verso una prospettiva di lungo termine», dice Corrado Passera. E per denunciare la politica della scure che si abbatte sul «bello», il consigliere delegato di Intesa SanPaolo sceglie un luogo simbolo. Il Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio dove ieri si è chiuso Florens 2010, la rassegna internazionale dedicata ai beni culturali e ambientali.
È un discorso da manager, quello di Passera, eppure con le carte in regola per parlare di investimenti nei beni culturali. Intesa SanPaolo è il primo gruppo bancario a finanziare poli museali e a investire nel restauro di opere d’arte. «Ne abbiamo restituite seicento alla collettività e continuiamo a farlo», sottolinea Passera. L’ultimo restauro sarà consegnato a Firenze a marzo. È un tabernacolo del Beato Angelico che tornerà al museo di San Marco: per l’occasione sarà allestita una mostra a Palazzo Pitti e ci saranno altre opere salvate grazie ai finanziamenti del gruppo».
Investire nel bello e nella cultura in generale non è un dovere che l’etica deve all'estetica, non è soltanto mecenatismo. «Certo, i beni culturali — spiega Passera — non sono replicabili, sono un tesoro sul quale abbiamo una responsabilità verso noi stessi e verso l’umanità». Ma allo stesso tempo sono anche un grande motore di sviluppo. «Mettono in moto lavoro, mestieri, tecnologia e indotto di saperi e competenze che l’Italia può giocarsi in tutto il mondo».
Le cifre, arrivate da Florens 2010 e ribadite ieri dal presidente della rassegna e di Confindustria Firenze, Giovanni Gentile, sono incontrovertibili: ogni 100 euro di incremento di Pil nel settore culturale attivano 249 euro di Pil nel sistema economico generale, di cui 75 euro nell’industria. E ancora due unità di lavoro nel settore culturale generano tre unità di lavoro nel sistema economico. «Se si dovessero ridurre 500 milioni di euro di Pil del settore culturale, ciò equivarrebbe alla mancata attivazione di 1,2 miliardi di euro di Pil nazionale di cui 375 milioni di euro in meno nell’industria», sottolinea Gentile.
Eppure i beni culturali sono un vantaggio competitivo dell’Italia che purtroppo il Paese non sa sfruttare. «È necessaria una logica di lungo periodo», sottolinea Passera. E allo stesso tempo è necessaria «una classe dirigente che lo sappia fare».
Come valorizzare questo tesoro dimenticato? Ci sono due direttrici da percorrere. La prima è quella della tutela. «È qui c’è bisogno di soprintendenze attrezzate», dice Passera. La seconda è la valorizzazione. Percorso complicato perché «molto c’è da imparare e sono necessari meccanismi di coordinamento a livello locale e anche forme organizzative, per valorizzare anche il ruolo imprenditoriale».
Il ruolo della banca è fondamentale, deve essere un ponte che facilita il collegamento tra pubblico e privato, tra università e impresa. «Abbiamo il dovere di supportare iniziative come Florens — conclude Passera — che ha il nostro appoggio convinto e che vogliamo continui e diventi sempre più efficace».